La quinta sezione penale della Corte di Cassazione (Sentenza n.24668/2010) ha stabilito che il reato di maltrattamenti in famiglia sussiste a prescindere dalla convivenza o dalla coabitazione. Secondo la Corte per la configurabilità del reato previsto e punito dall'articolo 572 del codice penale è "sufficiente che intercorrano relazioni abituali tra il soggetto passivo e quello attivo". La norma infatti, spiegano gli Ermellini, tutela le persone della famiglia "ove per famiglia non si intende soltanto un consorzio
di persone avvinte da vincoli di parentela naturale o civile, ma anche una unione di persone tra le quali, per intime relazioni e consuetudini di vita, siano sorti legami di reciproca assistenza e protezione e di solidarietà". In precedenza la Corte di merito aveva ritenuto che nonostante le offese e le minaccie alla parte lesa che in molte occasioni aveva anche riportato lesioni personali, aveva escluso che potesse ravvisarsi il delitto di cui all'articolo 572c.p. non essendo emerso che tra le parti esistesse uno stabile rapporto di comunita' familiare. Sta di fatto però che tra i due esisteva una relazione sentimentale. La giurisprudenza di legittimita - ricorda la Corte - "ha da tempo chiarito che il delitto di maltrattamenti in famiglia è ravvisabile anche per la cosiddetta 'famiglia di fatto' , ovvero quando in un consorzio di persone si sia realizzato, per strette relazioni e consuetudini di vita, un regime di vita improntato a rapporti di umana solidarieta ed a strette relazioni , dovute a diversi motivi , anche assistenziali" (v. Cass. n. 8953/1997). In tale sentenza
richiamata ora dalla Corte si è anche precisato che non è necessaria la convivenza e la coabitazione; ciò perchè la convivenza non rappresenta un presupposto della fattispecie criminosa in questione. Gli Ermellini richiamano anche altri precdenti giurisprudenziali come la sentenza n. 49109/2003 in cui la Corte ha affermato ha affermato che il reato sussiste anche quando la convivenza sia cessata a seguito di separazione legale o di fatto. I supremi giudici riconoscono che in giurisprudenza esiste anche un orientamento diverso ma ritengono che, stante al tenore letterale della norma, non è possibile desumere che la stabile convivenza e/o la coabitazione costituiscano presupposti del delitto di cui all'articolo 572 c.p.

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