Con la sentenza n. 3471, depositata il 15 febbraio 2010, la seconda sezione civile della Corte di cassazione ha stabilito che il giudice di pace non può decidere sulla base di pretese non fatte valere dalle parti (principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, art.112 c.p.c) e che è necessario inoltre enunciare il principio di equità in base al quale viene definito il giudizio. Secondo la ricostruzione della vicenda, il ricorrente, che aveva adito il giudice di pace
nei confronti del suo condominio per chiedere la dichiarazione di nullità o inefficacia della deliberazione assembleare con la quale era stata ripartita la spesa per l'installazione di luci di emergenza, si era visto respingere la sua richiesta: il giudice, condannando il ricorrente a pagare 11 euro più gli interessi, aveva ritenuto che "le assemblee del condominio sono state regolarmente tenute e le deliberazioni regolarmente approvate, né tali deliberazioni sono state impugnate, pertanto esse vincolano tutti i condomini". Il ricorrente, proponendo ricorso per la cassazione della sentenza, aveva eccepito che il giudice di pace
avesse deciso la causa sulla base di circostanze estranee alla materia del contendere. Gli Ermellini, accogliendo il ricorso, hanno precisato che "in realtà l'attore non aveva contestato la regolarità formale dello svolgimento dell'assemblea o dell'approvazione della deliberazione in questione, né aveva omesso di impugnarla: aveva negato la sua legittimità, proprio con l'atto introduttivo del giudizio, facendo valere un argomento che è stato del tutto trascurato dal giudice di pace, riguardante l'avvenuta applicazione della tabella millesimale generale, in luogo di quella vigente per gli oneri relativi alle scale". In conclusione la Corte ha quindi stabilito che la condanna da parte del giudice di pace, è stata "pronunciata in assenza di una domanda in tal senso del condominio e che non è stato enunciato il principio di equità in base al quale il giudizio è stato definito".

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