Il Tribunale Civile di Piacenza con l'ordinanza di data 30 novembre 2009 emette declaratoria di inammissibilità della prova per testi formulata dalla difesa del convenuto che aveva sì depositato con tempestività le proprie richieste istruttorie in prova diretta, ma l'attività era frutto di costituzione in giudizio tardiva. Il provvedimento, che si segnala per chiarezza e solidità pur nella sua apparente banalità (deliberatamente adoperiamo questo termine, caro ad Hannah Arendt - "La Banalità del Male", che farebbe presupporre un qualcosa privo di originalità per noi avvocati-pratici e prima facie scontato, ma così vedremo tra un attimo assolutamente non è) offre un significativo esempio di come operino in concreto le preclusioni nel contesto del nostro processo civile, reduce da operazioni multiple di maquillage, nessuna finora si stematica.
Orbene, il convenuto si era costituito in giudizio dopo lo spirare del primo termine della triplice sequenza temporale prevista dall'Art. 183, quinto comma c.p.c. Ovviamente non poteva aver previamente dedotto le circostanze di fatto su cui verteva la prova per testi, che, però, era stata capitolata in modo corretto e tempestivamente. Diamo per assodato che, nel caso affrontato dal Giudice piacentino Dott. Morlini (non disponiamo di altri elementi oltre la data dell'ordinanza), le circostanze dedotte dal convenuto non fossero mai state allegate neppure dagli altri protagonisti della lite e si atteggiassero, quindi, quali fatti storici nuovi tali da apportare modificazioni pur senza sconfinare nella mutatio libelli. Ora, pur con il favor spesso ingiustificato che permea il Codice di rito a vantaggio del contumace, è indubitabile che nel processo civile di cognizione ordinaria scattano le preclusioni assertive allo spirare del primo termine di cui all'Art. 183 c.p. c., come scaturito dalla Riforma del 2005 (alfine Legge n°80 del 14.05.2005). Il giudicante presenta schematicamente un'equiparazione tra primo della triplice scansione di termini "nuovi" con cui si precisano e modificano le domande e le conclusioni e primo termine della precedente versione dell'Art. 183 c.p.c. Talché, viene inquadrato con chiarezza che quello rappresenta l'ultimo …tram per fruire dell'auspicata prova per testi da capitolarsi sulle circostanze già dedotte.Rimarrebbe soltanto la prova contraria.
Ma se, come nella fattispecie al vaglio del monocratico piacentino, il convenuto si sia addirittura costituito dopo quel dato temporale, tale attendismo non trova scampo. Poniamo in risalto che la prova per testi di per sé si presentava perfettamente tempestiva, correttamente formulata, rilevante e, dunque, ammissibile! Non rimane che lasciare la parole alle espressioni del Dott. Morlini, che evidenzia anche che nel rito del lavoro, per contro, vi è sempre assoluta co incidenza tra preclusioni assertive e decadenze istruttorie, queste ultime usualmente configurabili come indicazione di mezzi di prova e produzioni documentali:"Né può in alcun modo opinarsi che vi possa essere una sostanziale sovrapposizione e coincidenza tra il momento delle preclusioni assertive e quelle probatorie, così come accade nel rito del lavoro, ove dette preclusioni si consumano, entrambe, per l'attore al momento del deposito del ricorso, per il convenuto al momento della memoria costitutiva tempestivamente depositata (cfr. artt. 414 e 416 c.p.c.). Nel rito ordinario, invece, come si è detto e come accade sin dal vigore della legge n. 353/1990, le preclusioni assertive maturano prima di quelle istruttorie.
Con la conseguenza che è ben possibile che una parte, pur avendo richiesto di provare una circostanza prima dello scadere delle preclusioni probatorie, non sia ammessa a provare tale circostanza, in quanto per la prima volta dedotta dopo lo spirare delle preclusioni assertive."
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