La Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione (Sent. n. 18231/2009) ha stabilito che l'amministratore che ha determinato la crisi aziendale è tenuto a risarcire i danni e ciò anche se non ha violato precise norme di legge o lo statuto della società. Gli Ermellini hanno infatti evidenziato che "se è vero, come costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, che non sono sottoposte a sindacato di merito le scelte gestionali discrezionali, anche se presentino prifili di alea economica superiori alla norma, resta invece valutabile la diligenza mostrata nell'apprezzare preventivamente - se necessario, con adeguata istruttoria - i margini di rischio connessi all'operazione da intraprendere, così da non esporre l'impresa a perdite, altrimenti prevenibili".
Nel caso di specie, ha precisato la Corte "la corte territoriale ha desunto l'inosservanza di tale canone di diligenza, non con il senno del poi - sulla base, cioè, dell'esito economico negativo delle operazioni - bensì dall'imprudente omissione della richiesta di garanzie, reali o personali, nei confronti delle società terze, che si andava a finanziare. In particolare, si è imputato agli amministratori di non aver adottato le cautele atte ad assorbire le conseguenze dell'insuccesso economico dell'impresa, consentendo il recupero dei finanziamenti corrisposti. Al riguardo, è stata anche messa in evidenza la lacunosità della documentazione contabile, non essendo stato neppure rinvenuto il libro - fidi con l'annotazione dei beneficiari, degli importi e delle garanzie offerte".

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