La Seconda Sezione Penale della Corte di Cassazione (Sent. n. 6080/2009) ha stabilito che commette il reato di appropriazione indebita il liquidatore di una società che si autopaga il compenso, determinandone l'ammontare e senza aspettare l'autorizzazione formale dell'assemblea. La Corte ha quindi precisato che "in virtù di insegnamento giurisprudenziale antico e costante di lunghissimo tempo - dal quale non vi è motivo alcuno di discostarsene - il soggetto attivo del reato p. e p. ex art. 646 c.p. non può ritenere scriminata la condotta contestatagli (né invocare un asserito carattere non ingiusto del profitto) eccependo un credito che non sia certo, liquido ed esigibile; infatti resta ingiusto il profitto che l'agente intenda realizzare in virtù di una pretesa che avrebbe dovuto far valere, proprio perché non compiutamente definita nelle specifiche necessarie connotazioni certezza, liquidità ed esigibilità, soltanto con i mezzi leciti e legali postigli a disposizione dall'ordinamento giuridico. In altre parole il tal caso il profitto è pur sempre ingiusto perché l'azione risulta posta in essere per conseguire quello che non è dovuto o non è ancora dovuto"
. La Corte infine precisa che "ciò detto, il tenore del ricorso è del tutto inidoneo ad inficiare il passaggio decisivo ed ineludibile della motivazione dell'impugnata sentenza, laddove si afferma la mancanza di certezza, liquidità ed esigibilità del credito vantato dall'imputato a titolo di compenso per la sua attività di liquidatore della […] in particolare perché - sempre secondo la precisa affermazione a riguardo della Corte territoriale- al liquidatore non è dato poter quantificare da sé il proprio compenso.
vedi anche:
Appropriazione indebita: guida legale

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