Costringere componenti del circo ad esibirsi in una teca con i serpenti costituisce un'ipotesi di riduzione in schiavitù. E' quanto stabilisce la Corte di Cassazione (sentenza n. 46128/2008) che ha accolto il ricorso della Procura contro l'annullamento, in sede di riesame, di una misura cautelare adottata nei confronti dei titolari di un Circo che avevano costretto una famiglia di immigrati bulgari in una situazione di totale asservimento nell'attività circense. I gestori del circo erano indagati per riduzione in schiavitù per avere mantenuto i membri della famiglia in uno stato di soggezione "impedendo loro di allontanarsi dal circo e in particolare obbligando la figlia minorenne ad entrare durante gli spettacoli in una teca trasparente con serpenti e tarantola e con piranha". Il Tribunale del Riesame aveva ravvisato in un simile comportamento solo una ipotesi di sfruttamento senza che per questo ricorressero gli estremi di cui all'art. 600 c.p. perché la famiglia aveva denunciato i fatti soltanto dopo due settimane. Su ricorso della Procura
la Corte ha chiarito che l'ipotesi di reato deve essere quella di riduzione in schiavitù e che la norma "si attaglia proprio all'ipotesi di approfittamento del bisogno esistenziale di immigrati da paesi poveri. E la casistica dimostra che costoro, spesso incapaci di affrontare le spese di viaggio e di trovare lavoro, impegnano se stessi per pagare il prezzo dell'emigrazione". Sotto questo profilo quindi "l'approfittamento dello stato di necessità era stato ritenuto dal gip nei confronti di un'intera famiglia di immigrati bulgari, di fatto ceduta al circo per il pagamento del prezzo da loro pattuito per trovare lavoro nel nostro paese". Per tale ragione, secondo gli Ermellini, "la brevità del tempo trascorso dalla cessione al circo sino alla denuncia non risulta criterio riconoscibile per escludere la prova dell'evento e neanche la consapevolezza e volontà" dei titolari dei circo.

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