La Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione (sentenza 27407/2008) ha stabilito che i comuni sono responsabili del ritardo nela celebrazione di un matrimonio e debbono risarcire il danno che da tale ritardo si può essere verificato. Sulla scorta di tale principio la Corte ha riconosciuto il diritto al risarcimento ad una donna della Capitale che proprio per il ritardo imputabile al Comune non era riuscita a celebrare in tempo le nozze con il suo compagno in fin di vita. La donna aveva insistito perchè il suo matrimonio
fosse celebrato "nel piu' breve tempo possibile" segnalando proprio il fatto che il suo compagno erano rimasti solo pochi giorni di vita. La "rigida burocrazia" però non è risucita a fissare le nozze a breve e l'uomo era deceduto dieci giorni prima della data messa in calendario dal Comune. La donna a quel punto ha chiesto il risarcimento dei danni anche per aver perso la pensione di reversibilità. Il Tribunale di Roma in prima istanza le aveva così riconosciuto un risaricmento di circa 300 mila euro, somma a cui successivamente venivano aggiunti altri 100 mila euro dalla Corte d'Appello per la perdita della quota del patrimonio ereditario che le sarebbe spettato. Ricorrendo in Cassazione il Comune aveva sostenuto che il ritardo non era imputabile alla pubblica amministrazione ma "ad una serie di circostanze sfortunate" e che sarebbe stata comunque necessaria la produzione di una certificazione che attestasse la capacità di intendere e di volere
del partner in imminente pericolo di vita. La Suprema Corte ha respinto il ricorso sottolineando che l'art. 101 c.c. "non richiede la produzione di certificazione che attesti anche la capacità di intendere e di volere di chi, a causa dell'imminente pericolo di vita di uno degli sposi, intenda sposarsi a prescindere dalla pubblicazione". In ogni caso, aggiunge la Corte, "l'ufficio comunale aveva comunque ricevuto senza obiezioni il giuramento" del partner in fin di vita e per questo il rifiuto di celebrare rapidamente il matrimonio "connesso alla preventiva mancanza di quella certificazione, pur non richiesta dalla legge, non appariva sotto alcun profilo giustificato".

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