Anche se solo platonica, a volte l'infedeltà che se non si concretizza in un rapporto sessuale, può essere causa di addebito della separazione. Lo ha stabilito la Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione (Sent. 15557/2008) precisando che "in riferimento ai presupposti della pronuncia di addebito ai sensi dell'art. 151 c.c., comma 2, ha ripetutamente affermato che siffatta pronuncia richiede di accertare se uno dei coniugi abbia tenuto un comportamento contrario ai doveri nascenti dallo matrimonio espressamente indicati nell'art. 143 cod. civ., e perciò costituenti oggetto di una norma di condotta imperativa: fra i quali è indicato l'obbligo della fedeltà, strettamente connesso a quello della convivenza e da intendere non soltanto come astensione da relazioni sessuali extraconiugali, ma quale impegno, ricadente su ciascun coniuge, di non tradire la fiducia reciproca, ovvero di non tradire il rapporto di dedizione fisica e spirituale tra i coniugi, che dura quanto dura il matrimonio. In effetti la nozione di fedeltà coniugale va avvicinata a quella di lealtà, la quale impone di sacrificare gli interessi e le scelte individuali di ciascun coniuge che si rivelino in conflitto con gli impegni e le prospettive della vita comune. In questo quadro la fedeltà affettiva diventa componente di una fedeltà più ampia che si traduce nella capacità di sacrificare le proprie scelte patrimoniali a quelle imposte dal legale di coppia e dal sodalizio che su di esso di fonda".
Nell'impianto motivazionale della decisione si legge poi che "il giudice non può fondare la pronuncia di addebito sulla mera inosservanza dei doveri di cui all'art. 143 cod. civ., dovendo, per converso, verificare l'effettiva incidenza delle relative violazioni nel determinarsi della situazione di intollerabilità della convivenza.
Ed il collegio deve ribadire che a tale regola non si sottrae l'infedeltà di un coniuge, la quale pur rappresentando una violazione particolarmente grave, specie se attuata attraverso una stabile relazione extraconiugale, può essere rilevante al fine dell'addebitabilità della separazione soltanto quando sia stata causa o concausa della frattura del rapporto coniugale, e non anche, pertanto, qualora risulti non aver spiegato concreta incidenza negativa sull'unità familiare e sulla prosecuzione della convivenza medesima: come avviene allorquando il giudice accerti la preesistenza di una rottura già irrimediabilmente in atto, perciò autonoma ed indipendente dalla successiva violazione del dovere di fedeltà". "La relazione di un coniuge con estranei - prosegue la Corte - rende addebitabile la separazione ai sensi dell'art. 151 cod. civ. quando, in considerazione degli aspetti esteriori con cui è coltivata e dell'ambiente in cui i coniugi vivono, dia luogo a plausibili sospetti di infedeltà, e quindi, anche se non si sostanzi in un adulterio, comportando comunque offesa alla dignità e all'onore dell'altro coniuge".
Infine, ha aggiunto la Corte, i Giudici hanno il compito di "proceder ad un accertamento rigoroso e ad una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, onde stabilire se l'infedeltà di un coniuge (come in genere ogni altro comportamento contrario ai doveri del matrimonio) possa essere rilevante al fine dell'addebitabilità della separazione, essendo stata causa o concausa della frattura del rapporto coniugale, ovvero se non risulti aver spiegato concreta incidenza negativa sull'unità familiare e sulla prosecuzione della convivenza".

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