Lo statale che trascorre troppo tempo a navigare nel web per ragioni non legate al suo impiego richia la sospensione dal posto di lavoro. Tale conmportamento, infatti, puo' configurare il reato di peculato punito al pari delle telefonate private fatte dall'ufficio. E' quanto afferma la Corte di Cassazione (Sesta sezione penale sentenza 20326/2008) che sulla base di questo principio ha accolto il ricorso della Procura di Bari contro la revoca della sospensione dall'esercizio di pubblico servizio accordata ad un dipendente comunale sorpreso a servirsi per sopi personali della rete informatica del comune. L'impiegato comunale, spiega la Corte, "navigava in internet su siti non istituzionali, scaricando su archivi personali dati e immagini non inerenti alla pubblica funzione, prevalentemente materiale di carattere pornografico, con danno economico dell'ente". L'uomo, in un primo tempo sospeso, era stato riammesso dal Tribunale di Bari sulla base del fatto che il reato di peculato
"tutela il patrimonio della P.A. e che lo stesso non poteva essere depauperato a seguito dei collegamenti in questione di un computer comunque e sempre collegato alla rete elettrica e telefonica indipendentemente dall'uso della navigazione". Di diverso avviso la Corte di Cassazoine che nella sentenza ricorda come "l'art. 314 c.p., oltre a tutelare il patrimonio della pubblica amministrazione, mira ad assicurare anche il corretto andamento degli uffici della stessa basato su un rapporto di fiducia e di lealta' con il personale dipendente". La Corte rileva inoltre che "sono stati trovati sull'apparecchio in questione e sul disco esterno ben 10 mila files, di cui solo una modestissima parte di natura attinente alle funzioni esercitate".

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