Per la prima volta in italia una Commissione tributaria si è pronunciata in merito all'obbligo per le prostitute di pagare le tasse. A darne notizia è il Corriere della Sera. La sentenza è stata emessa dalla Commissione tributaria della Lombardia che ha condannato una prostituta proprietaria di sei appartamenti e di due auto a pagare quasi 70 mila euro tra tasse e sanzioni perche' non ha dimostrato documenti alla mano la provenienza del suo reddito.
Nel caso di specie, l'agenzia
delle entrate si era accorta che la donna era intestataria di un lussuoso appartamento nel pieno centro di Milano, di due monolocali in citta' e di altre due case. Insomma un patrimonio di tutto rispetto che però non compariva (se non in parte) nelle dichiarazioni della signora. La donna a fronte della richiesta di pagamento di circa 70.000 euro all'agenzia delle entrate, disse di non avere i soldi per pagare perché dopo aver fatto per venti anni il mestiere piu' antico del mondo, si era poi ritirata dall'attivita'. Rivolgendosi alla Commissione tributaria provinciale la donna ha dimostrato di essere stata una prostituta, raccontando la sua storia a partire da quando era fuggita di casa all'età di 17 anni. Finita sulla strada era riuscita a comprarsi un monolocale e poi aveva accumulato discreti risparmi che aveva deciso di investire in appartamenti. Durante il giudizio il suo legale aveva anche prodotto le inserzioni con cui la donna aveva messo in vendita il suo corpo. I giudici di primo grado le diedero ragione affermando che i guadagni della prostituzione 'non possono essere considerati tecnicamente redditi'. Del resto, secondo la Cassazione, i proventi dal meretricio sono una 'forma di risarcimento del danno' che, vendendo se stessa, la donna subisce alla sua dignita'. Come tali non possono essere tassati. In appello la decisione è stata ribaltata.
Le motivazionei della Commissione tributaria Regionale - spiega il quotidiano - "anche se non affrontano in modo diretto il tema dei guadagni da prostituzione partono dal presupposto che la [...] ha avuto comunque un reddito (che lei ha dimostrato provenire dal suo lavoro di lucciola). Esso e' quello 'presunto' calcolato dall'Agenzia delle entrate. M.L. ha 'chiaramente provato (...) quale era la sua attivita' negli anni, non ha pero' provato ne' quale era o poteva essere l'ammontare delle somme da lei percepite, ne' le somme da lei spese' perche' i'non ha prodotto una documentazione idonea', scrivono i giudici. Se l'avesse fatto, si sarebbe potuto stabilire con esattezza il suo reddito e forse avrebbe pagato meno'.

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