A seguito della legge 15 febbraio 1996, n. 66, che ha apportato "profonde modifiche alla disciplina della materia proprio in favore delle persone che si trovano in uno stato di inferiorità psichica o fisica, attribuendo anche ad esse una capacità di autodeterminazione in campo sessuale e la possibilità di avere, nonostante la loro condizione, rapporti e relazioni sessuali, che invece erano loro in sostanza preclusi dalla legislazione precedente", non sempre si può parlare di reato di abuso per chi ha avuto rapporti sessuali con soggetti affetti da ritardo mentale.
La Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione ha infatti annullato una sentenza della Corte di Appello di Ancona, che aveva condannato a 2 anni e 2 mesi di reclusione un uomo che aveva avuto rapporti sessuali con la cognata, affetta da un lieve ritardo mentale.
I Giudici della Suprema Corte spiegano che la nuova disciplina "ha inteso punire soltanto le condotte consistenti nell'induzione all'atto sessuale mediante abuso delle suddette condizioni di inferiorità". In questi casi "è richiesta al giudice una particolare approfondita analisi di tutte le circostanze del caso concreto per stabilire se esso rientri nei confini della fattispecie penalmente rilevante". Nella fattispecie esaminata dalla Cassazione, sembra sia mancata "quella necessaria ed adeguata indagine diretta a verificare se l'imputato avesse avuto non solo la consapevolezza delle minorate condizioni psichiche della cognata, ma soprattutto la consapevolezza che questa aveva intenzione di interrompere la relazione che aveva con lui da 20-25 anni e quindi la consapevolezza che il rapporto del 25 aprile 1999, diversamente da tutti gli altri rapporti precedenti, si stava verificando a causa di un abuso da parte sua della cognata per fini sessuali".
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