La restituzione dei contributi inutilizzabili ha carattere eccezionale nel nostro ordinamento, come sottolineato dalla Corte Costituzionale con le pronunzia n. 404/2000 e 438/2005. Ed infatti - nonostante la eventualità (cui recentemente si è tentato di ovviare con l'introduzione del diritto alla totalizzazione) che un soggetto, in forza delle diverse attività svolte, si possa trovare, alla fine della vita lavorativa, in possesso di vari spezzoni contributivi sostanzialmente inutilizzabili perchè non cumulabili tra loro e quindi inidonei al perfezionamento del diritto a pensione presso gli enti cui è stato iscritto - nel regime dell'assicurazione generale obbligatoria vige il principio dell'acquisizione, alla gestione previdenziale di appartenenza, dei contributi debitamente versati, nonostante che gli stessi non siano utili per l'insorgenza di alcun trattamento pensionistico, in forza del principio solidaristico che rappresenta l'impronta caratteristica della previdenza obbligatoria generale, e della tendenziale negazione della corrispettività tra contributi e prestazioni. Ed infatti l'unica disposizione di legge che prevede la restituzione dei contributi è il D.P.R. 26 aprile1957, n. 818, art. 8, che la circoscrive però ai contributi indebitamente versati, mentre i contributi di cui si discute erano invece dovuti a causa dell'espletamento dell'attività di lavoro autonomo che espressamente ne imponeva il pagamento. In ogni caso è principio indefettibile che la restituzione dei contributi debitamente versati sia ipotizzarle solo quando gli stessi rimangano inutilizzati, e non già quando da essi consegua comunque una qualche prestazione a vantaggio dell'assicurato, per cui "restituzione" e "utilizzazione ai fini di una prestazione di qualsiasi genere", sono in relazione necessariamente antitetica.

Cassazione , SS.UU civili, Sentenza 17.1.2007, n. 879

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