La Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione (Sent. 21324/2007) ha stabilito che integra la fattispecie della frode sportiva la somministrazione di sostanze dopanti "capaci di alterare il genuino svolgimento della competizione" sportiva.
Nell'impianto motivazionale della sentenza si legge che "l'extraneus' che somministra ai partecipanti alla competizione, sostanze atte ad alterarne le prestazioni, e che fraudolentemente mira a menomare o ad esaltare le capacità atletiche del giocatore, pone in essere una condotta che consiste in un espediente occulto per fare risultare una prestazione diversa da quella reale, in un artifizio capace di alterare il genuino svolgimento della competizione, con palese violazione dei principi di lealtà e di correttezza: per l'effetto, gli atti posti in essere, sono agevolmente riconducibili alla nozione di atti fraudolenti".
La Corte, inoltre, ha esteso la responsabilità anche agli atleti stessi rilevando in particolare che "nulla autorizza a ritenere, a priori, che l'atleta dopato debba essere considerato la vittima della fattispecie incriminatrice". La Corte osserva poi che "una rigorosa interpretazione della norma non consente di escludere, sempre a priori, la loro punibilità, salvo l'accertamento in fatto della consapevolezza della illecita assunzione e/o somministrazione". Nella sentenza si legge poi che "la somministrazione delle sostanze" dopanti "continua a costituire reato anche dopo l'emanazione della nuova normativa (punito più severamente) con conseguente applicabilità, per i fatti commessi prima dell'entrata in vigore della normativa antidoping, dell'art. 1, legge 401 dell'89 (legge più favorevole)" che punisce appunto la frode
sportiva. Infine la Corte evidenzia come il fatto di punire oltre alla somministrazione di sostanze dopanti "anche l'assunzione diretta […] consente di affermare che il bene presidiato non può essere esclusivamente la tutela della salute dello sportivo, ma anche la regolarità e la correttezza delle competizioni, beni posti in pericolo dalla sleale alterazione chimica della propria capacità di prestazione, nozione 'estesa' dell'interesse protetto della norma che, peraltro, trova un significativo elemento di riscontro proprio nel dolo specifico espressamente previsto che e' quello di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti".

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