Non c'è straining e il datore non viola l'art. 2087 c.c. se la situazione di forte tensione e di conflittualità crearsi sul posto di lavoro non risulta esorbitante, lo stress eccessivo non comporta il diritto al risarcimento

Il conflitto, se non è esorbitante, non genera danni

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Affinché si possa riconoscere il risarcimento del danno da straining è necessario che il conflitto tra dipendente e datore, che intacca il rapporto di lavoro, risulti esorbitante e tale da recare danno.

In caso contrario, ossia in presenza di una mera conflittualità, anche se accesa, nessun danno è risarcibile se la situazione genera solo un forte stress. Queste le conclusioni della Cassazione nell'ordinanza n. 29059/2022 (sotto allegata).

La vicenda processuale

Rigettata in appello la domanda risarcitoria per mobbing avanzata nei confronti dell'ente pubblico, datore della lavoratrice responsabile dei servizi finanziari poi trasferita ai servizi sociali e cimiteriali.

La richiedente non ha dimostrato l'intento lesivo, incompatibile con i comportamenti che la stessa ritiene dannosi, di cui sono state ritenute responsabili due diverse organizzazioni amministrative, in relazione alle quali è difficile prospettare un comune intento di perseguitare la dipendente.

Inidonee inoltre le asserite "affermazioni sgradevoli dirette alla ricorrente" ad interferire con la sua attività stante l'assenza, in capo alla stessa, di poteri direttivi.

Vero che nel periodo in cui la ricorrente era addetta ai servizi finanziari erano merse delle conflittualità con il datore, ma non tali da configurare condotte vessatorie.

Nessun demansionamento inoltre era intervenuto stante, per stessa ammissione della ricorrente, della corrispondenza delle nuove mansioni alla qualifica posseduta. Nessuna testimonianza è risultata decisiva ai fini delle richieste della stessa, neppure le lamentele della ricorrente sulle scarse dotazioni fornite per il suo lavoro, condizione per la quale la stessa non sia mai attivata per risolverla.

Sottovalutati disagio e il demansionamento

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La donna nell'impugnare la decisione in sede di legittimità però contesta la violazione dell'art. 2087 c.c, che impone al datore di lavoro di adottare le misure necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale di dipendenti, in quanto, anche in assenza di un intervento persecutorio, si sarebbero dovute valutare le condizioni stressogene dell'ambiente di lavoro, riconducibili al fenomeno dello straining, considerando il disagio e il demansionamento come fonti di danno.

Se il conflitto non è esorbitante niente straining

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La Corte di Cassazione adito però rigetta il ricorso. Dalla sentenza della Corte di merito emerge senza dubbio una accesa conflittualità tra le parti che però non si è tradotta in una condotta vessatoria ai danni della lavoratrice.

Nel caso di specie quindi sono sorte senza dubbio forti divergenze tra le parti, ma poiché le stesse non sono sfociate in atteggiamenti esorbitanti dei datori non si configura la violazione dell'art. 2087 c.c.

Il solo disagio lavorativo non è decisivo nè sufficiente ai fini dell'accoglimento di una richiesta risarcitoria, alla luce dell'insussistenza della esorbitanza rispetto ad una situazione di conflitto personale.

Scarica pdf Cassazione n. 29059/2022

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