Per il Garante Privacy è legittimo il diniego dell'accesso agli atti all'interessato da parte del titolare del trattamento se lo stesso può arrecare pregiudizio al diritto del titolare

Diritto di accesso agli atti

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Sappiamo che gli interessati hanno dei diritti da poter esercitare. Tra questi vi sono il diritto di accesso ai dati (art. 15 GDPR), il diritto di rettifica dei dati (art. 16 GDPR), il diritto di cancellazione dei dati (art. 17 GDPR), il diritto limitazione del trattamento (art. 18 GDPR), il diritto di opposizione al trattamento (art. 21 GDPR), il diritto di revoca del consenso al trattamento.

La vicenda in esame riguarda un'agenzia investigativa, un dipendente e il suo datore di lavoro. Quest'ultimo - appreso della malattia del proprio dipendente e nutrendo alcuni dubbi - ha incaricato il detective di svolgere alcuni accertamenti al solo ed unico fine di rilevare l'esistenza di eventuali comportamenti del dipendente tali da compromettere la sua pronta guarigione, ovvero incompatibili con lo stato di malattia. All'esito della predetta attività investigativa, il datore di lavoro ha effettuato una contestazione disciplinare al dipendente, cui ha fatto seguito il licenziamento.

L'interessato ha quindi presentato istanza di accesso agli atti investigativi in possesso del datore di lavoro, il quale ha negato l'esercizio di tale diritto.

Il lavoratore ha quindi depositato reclamo al Garante contro il suo datore di lavoro per non avergli consentito il diritto di accesso ai dati personali che lo riguardavano, con particolare riferimento a quelli relativi ai pedinamenti, alle attività investigative, ai rilievi fotografici e ai controlli a distanza cui era stato sottoposto.

L'interessato ha inoltre chiesto il blocco di qualsiasi trattamento, compresa la conservazione e la divulgazione a terzi dei dati acquisiti e/o trattati per il tramite di soggetti che hanno effettuato il pedinamento e la raccolta di dati.

La norma

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Il datore di lavoro ben può legittimamente negare tale accesso tenuto conto delle finalità di tutela giudiziale e del particolare regime probatorio proprio del processo del lavoro, che prevede l'onere della prova a carico del datore di lavoro. Il disvelamento al reclamante dei dati, così come l'integrale acquisizione ed il loro blocco, costituirebbe un pregiudizio effettivo e concreto alla difesa delle ragioni datoriali nella successiva ed eventuale sede giudiziaria. L'esistenza di una fase precontenziosa tra le parti e la ragionevole certezza dell'instaurazione di un giudizio da parte del reclamante per l'impugnazione del licenziamento intimato, consentono di avvalersi del differimento del diritto di accesso esercitato dal reclamante, ai sensi dell'art. 23, comma 1, lett. j) ed annesso considerando n. 73 del Regolamento UE 2016/679, nonché dell'art. 2-undecies, comma 1, lett. e), del D. Lgs. 10.89.2018, n. 101.

Il provvedimento del Garante Privacy

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Il Garante (provvedimento n. 9086480) ha preliminarmente ribadito la legittimità dell'investigazione svolta, riferendosi ai principi di cui al Regolamento 2016/679 e delle regole deontologiche in materia di investigazioni difensive o per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, pubblicate in G.U. n. 12 del 15 gennaio 2019, ai sensi dell'art. 20, comma 4, del d.lgs. n. 101/2018.

Con riferimento alle modalità di effettuazione della contestata attività investigativa, ritenuta illegittima dal ricorrente, essa non è in sé illecita in relazione alla disciplina vigente in materia di controlli sull'attività del dipendente, né "risultano allo stato sussistenti gli estremi per poter dichiarare inutilizzabili i dati personali trattati in occasione della predetta attività".

Con riguardo, invece, al diritto di accesso esercitato dal reclamante, il datore di lavoro ha opposto il differimento dell'esercizio del diritto in base a quanto previsto dalla vigente disciplina in materia di protezione dei dati personali (ai sensi dell'art. 23 del Regolamento si può limitare la portata degli obblighi e dei diritti, tra cui quello di accesso previsto dall'art. 15, "qualora tale limitazione rispetti l'essenza dei diritti e delle libertà fondamentali e sia una misura necessaria e proporzionata in una società democratica per salvaguardare: […] i) la tutela […] dei diritti e delle libertà altrui"). In attuazione di tale disposizione l'art. 2-undecies del Codice ha stabilito che "I diritti di cui agli articoli da 15 a 22 del Regolamento non possono essere esercitati con richiesta al titolare del trattamento ovvero con reclamo ai sensi dell'articolo 77 del Regolamento qualora dall'esercizio di tali diritti possa derivare un pregiudizio effettivo e concreto: […] e) allo svolgimento delle investigazioni difensive o all'esercizio di un diritto in sede giudiziaria". In tali ipotesi l'esercizio dei diritti da parte degli interessati può essere "ritardato, limitato o escluso con comunicazione motivata e resa senza ritardo all'interessato […] per il tempo e nei limiti in cui ciò costituisca una misura necessaria e proporzionata, tenuto conto dei diritti fondamentali e dei legittimi interessi dell'interessato" (cfr. art. 2-undecies cit., comma 3).

Per tale ragione il Garante ha ritenuto infondato il reclamo del dipendente, perfettamente lecita l'attività svolta dall'agenzia investigativa, e assolutamente legittimo il diniego e differimento opposto dal datore di lavoro al diritto di accesso presentato dall'interessato. Da quanto precede emerge chiaramente che il titolare del trattamento ha il diritto di differire o negare in tutto o in parte l'esercizio dei diritti dell'interessato se lo stesso può arrecare pregiudizio al diritto del titolare.


Foto: 123rf.com
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