"La responsabilità del proprietario dell'animale, prevista dall'art. 2052 c.c., è presunta, fondata non sulla colpa, ma sul rapporto di fatto con l'animale. Ne consegue che per i danni cagionati dall'animale al terzo il proprietario risponde in ogni caso e in toto, a meno che non dia la prova del caso fortuito, ossia dell'intervento di un fattore esterno idoneo a interrompere il nesso di causalità
tra il comportamento dell'animale e l'evento lesivo, comprensivo anche del fatto del terzo o del fatto colposo del danneggiato che abbia avuto efficacia causale esclusiva nella produzione del danno. Ne consegue altresì che se la prova liberatoria richiesta dalla norma non viene fornita (…) non rimane al giudice che condannare il proprietario dell'animale al risarcimento dei danni per l'intero, e non in parte, secondo una graduazione di colpe tra il medesimo e il danneggiato". È quanto ha di recente stabilito la Corte di Cassazione (Sent. n. 6454/2007) che, nel pronunciarsi sul caso di una donna danneggiata al volto da un morso infertole dal cane di proprietà dei resistenti mentre era in visita alla loro abitazione, ha cassato la sentenza dei giudici di merito che avevano dato rilievo all'imprudenza della ricorrente nella produzione dell'evento, condannando i proprietari al pagamento del 25% dei danni.

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