Quali conseguenze per chi assume una collaboratrice familiare in nero, una volta concluso il rapporto di lavoro?

Lavoro domestico "in nero"

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Capita assai spesso, nella prassi quotidiana, di avvalersi di collaboratrici familiari (le cosiddette 'colf') che, per loro preferenza o per comodità di chi se ne avvale, vengono assunte e retribuite "in nero".

Talvolta, la collaborazione può durare anche anni o decenni, e in questi casi è più che normale l'instaurazione di un sincero rapporto di fiducia con chi condivide gli spazi e l'intimità di una famiglia. Ma potrebbe accadere che, una volta terminato il rapporto di lavoro, inaspettatamente la dipendente bussi alla porta rivendicando contributi non pagati, una somma a titolo di liquidazione, una "buona uscita", ferie non godute, ecc., magari anche minacciando il ricorso all'Autorità Giudiziaria in caso di rifiuto da parte del datore di corrispondere quanto richiesto. E così, la fidata collaboratrice che da sempre si è curata della casa e della famiglia diventa improvvisamente la potenziale antagonista in una controversia giudiziaria. Cosa fare in questi casi? Di quali tutele può usufruire e in quali rischi può incorrere il datore di lavoro?

Diritto al TFR

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Innanzitutto, bisogna chiarire sin da subito che alla colf, anche se "assunta" in nero, spetta la liquidazione in quanto diritto di tutti i lavoratori (anche se irregolari) e, se il datore di lavoro non vi provvede, la dipendente può rivolgersi al Giudice del lavoro per ottenerla, oltre che procedere con una denuncia all'Ispettorato del Lavoro. Ma cos'è la liquidazione? È una parte della retribuzione che viene messa da parte in busta paga periodicamente e che viene corrisposta per intero al lavoratore al termine del rapporto di lavoro. Naturalmente, il calcolo di quanto spetterebbe alla collaboratrice domestica una volta terminato il servizio dipende dall'importo della retribuzione che percepiva durante il rapporto di lavoro.

Calcolo della retribuzione

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Come si può calcolare la retribuzione e, di conseguenza, la liquidazione, se nel rapporto di lavoro in nero manca una busta paga

? Semplice: sulla base del lavoro effettivamente svolto. Partendo dal livello di inquadramento e dalle ore di impiego, si quantificano la paga (mensile o oraria), l'eventuale indennità di vitto e la tredicesima. Solitamente, le colf sono inquadrate dal livello A al livello BS del 'C.C.N.L. Lavoro domestico', a meno che particolari compiti e responsabilità non determinino un inquadramento in altro livello superiore, con un tetto massimo di 54 ore settimanali (se assunta come convivente a servizio intero); di 40 (se assunta come non convivente); oppure di 30 (se convivente a servizio ridotto). Il superamento di queste ore dà luogo, anche se svolte in nero, alla paga per il lavoro straordinario, da quantificarsi secondo le tabelle del 'C.C.N.L. Lavoro domestico' e in base al livello della dipendente. La paga oraria minima della colf varia a seconda dell'inquadramento e per la determinazione bisogna, ancora una volta, ricorrere alle tabelle del contratto collettivo applicabile. Oltre alla paga minima, spettano certamente alla colf gli scatti di anzianità (che maturano dopo 2 anni di servizio con lo stesso datore di lavoro e possono essere al massimo 7), l'indennità sostituiva di vitto e alloggio (eventuale, a seconda del servizio svolto dalla lavoratrice) e il cd. superminimo, anche questo eventuale.

Calcolo della liquidazione

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Per il calcolo del TFR dei lavoratori domestici dev'essere presa in considerazione la retribuzione spettante in base al livello di inquadramento, all'orario svolto e ad altre voci specifiche del singolo rapporto come, ad esempio, gli scatti di anzianità o altri bonus per lo svolgimento di attività extra o di particolare responsabilità. Quindi, la retribuzione dovuta per il lavoro svolto in un anno, comprensiva della tredicesima mensilità ed eventualmente dell'indennità di vitto e alloggio, va divisa per 13,5 e accantonata. Le somme annuali accantonate sono soggette a rivalutazione nella misura dell'1,5% annuo e del 75% in base agli indici ISTAT, escludendo la quota maturata nell'anno in corso. Nel calcolo della liquidazione bisogna ricordare che il TFR matura mensilmente e che per il computo di un mese è necessario che siano state lavorate almeno 15 giornate.

I rischi dell'assunzione in nero della colf

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Come abbiamo visto, quindi, una vertenza per il pagamento della liquidazione vedrebbe quasi certamente vincente la dipendente, che ha diritto a percepire il TFR anche se assunta in nero. Non bisogna dimenticare, inoltre che spesso il datore di lavoro e la colf "irregolare" concordano il pagamento di uno stipendio mensile da ritenersi comprensivo anche della liquidazione mensile del TFR, magari con lo specifico (tacito) accordo che alla fine del rapporto la dipendente non potrà più chiedere il versamento della cd. liquidazione. In questa ipotesi, può verificarsi la spiacevole conseguenza di dover nuovamente pagare il TFR alla fine del rapporto, perché la liquidazione mensile potrebbe essere equiparata al pagamento dello stipendio periodico. Inoltre, è bene tenere a mente che la denuncia per lavoro irregolare da parte della colf potrebbe comportare il versamento dei contributi INPS alla lavoratrice, oltre alla condanna del datore di lavoro a una serie di sanzioni per l'assunzione irregolare, tra le quali quella per l'omessa assunzione (da 200 a 500 €), per la mancata iscrizione della lavoratrice all'INPS (da 1.500 a 12.000 €) e la sanzione dovuta allo Stato quale forma di risarcimento per l'illegittima condotta assunta (dal 30 al 60% in base al periodo di evasione, con sanzione minima pari a 3.000 €.

L'assunzione in nero, oltretutto, comporta anche il versamento di tutti i contributi cd. accessori, ossia tredicesima, quattordicesima, ferie non godute, etc. Allo stesso tempo, però, non bisogna dimenticare che anche la dipendente assume a sua volta dei rischi nel caso di denuncia del rapporto di lavoro in nero nel caso in cui abbia usufruito, per esempio, della disoccupazione o del cd. reddito di cittadinanza oppure se abbia dichiarato al Centro per l'Impiego lo status di "disoccupata". Nei primi due casi, infatti, la lavoratrice dovrà restituire tutte le mensilità ricevute per le forme di sostegno al reddito, con eventuali conseguenze in sede penale per truffa ai danni dello Stato, mentre nella seconda ipotesi potrà essere accusata del reato di falsità ideologica.

Conclusioni

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Per quanto possa inizialmente sembrare una scelta più opportuna o più comoda, magari sia per il datore di lavoro che per la dipendente, l'assunzione in nero comporta conseguenze che possono essere anche assai spiacevoli e che espongono il datore a contenziosi spesso lunghi e assai costosi.

Sarebbe quindi più prudente rivolgersi al proprio commercialista o consulente del lavoro prima di procedere con l'instaurazione di un rapporto di lavoro in nero, facendosi consigliare dal professionista che potrà illustrare i rischi economici, giuridici e fiscali di un'assunzione irregolare.


Foto: 123rf.com
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