La disciplina ex art. 1132 c.c. sul dissenso alle liti condominiali dispone che il condomino possa separare la propria responsabilità in ordine alle conseguenze della lite
A norma dell'articolo 1132 c.c., quando l'assemblea abbia deliberato di promuovere una lite o di resistere a una domanda giudiziale, il condomino dissenziente può separare la propria responsabilità in ordine alle conseguenze della lite, per il caso di soccombenza. Se l'esito della lite è stato però favorevole al condominio, il condomino dissenziente - che ne abbia tratto vantaggio - deve concorrere nelle spese del giudizio, che non sia stato possibile ripetere dalla parte soccombente. L'atto di dissenso deve essere notificato entro 30 giorni da quello in cui il condomino ha avuto notizia della delibera
. In caso di soccombenza, il condomino dissenziente ha diritto di rivalsa per ciò che abbia dovuto pagare alla parte vittoriosa. Come risulta anche da una semplice lettura della norma, la previsione legislativa è assai articolata, sicché si rende necessario - prima ancora di esaminarne gli effetti - di individuarne i presupposti. Anzitutto, per esprimere il proprio dissenso, il condomino deve essere in presenza di una vera e propria delibera assembleare e non di un semplice provvedimento dell'amministratore (art. 1133 c.c.). Il che significa che, se la decisione di promuovere o di resistere a una lite é atto proprio dell'amministratore, il condomino deve prima rivolgersi all'assemblea - che deciderà in merito - e solo rispetto alla delibera di quest'ultima, può manifestare il proprio dissenso. Si tenga presente che l'amministratore può promuovere ex se - senza delibera
assembleare - le liti rientranti nelle proprie attribuzioni, definite dall'art. 1130 c.c. (osservanza del regolamento condominiale, esecuzione delle delibere assembleari, disciplina delle parti comuni, riscossione delle quote condominiali, pagamento delle spese, adozione degli atti conservativi). Sempre quanto ai presupposti, è opinione dominante che il dissenso possa essere espresso solo relativamente alle liti tra condominio e terzi e non anche relativamente alle liti tra condominio e condomino. In questo senso, la giurisprudenza - che solo incidentalmente si è occupata della questione - ha puntualizzato che, nell'ipotesi di lite tra condominio
e condomino, "non è applicabile neppure in via analogica l'art. 1132 c.c. che disciplina l'ipotesi di lite tra un condominio e un terzo estraneo e neppure l'art. 1101, richiamato dall'art. 1139 stesso codice" (Cassazione, 25/03/1970, n. 801). Nello stesso senso, si veda tra le altre Cassazione 15/5/2006, n. 11126, per la quale "nell'ipotesi di controversie tra condomini, infatti, l'unità condominiale viene a scindersi di fronte al particolare oggetto della lite per dar vita a due gruppi di partecipanti al condominio in contrasto tra di loro, con la conseguenza che il giudice nel dirimere la contesa provvede anche definitivamente sulle spese del giudizio, sicché la parte soccombente non può essere tenuta a pagare alla parte vittoriosa, per le spese di giudizio, una somma maggiore per quella per cui ha riportato condanna". La disposizione di cui all'art. 1132 c.c. deve peraltro applicarsi laddove sia certo che l'interesse del condominio vincitore non abbia comportato alcun vantaggio per il condomino dissenziente. E, dunque, agli effetti del dissenso del condomino rispetto alle liti, occorre tener ben distinta l'ipotesi in cui il condominio risulti soccombente rispetto alla lite, dall'ipotesi in cui il condominio risulti vittorioso e il condomino dissenziente ne tragga vantaggio. Nel primo caso, il condomino dissenziente è esonerato dalle spese di soccombenza e ha diritto di rivalsa per ciò che abbia dovuto pagare alla parte vittoriosa, in forza della solidarietà passiva. Nel secondo caso, invece, il condomino dissenziente - che abbia tratto vantaggio dalla lite risultata favorevole al condominio - è tenuto a concorrere nelle spese del giudizio che non sia stato possibile recuperare dalla parte soccombente. In sostanza, l'esonero del condomino dissenziente dalle spese è limitato all'ipotesi di soccombenza del condominio nella lite, relativamente alle spese derivanti dalla soccombenza e cioè, alle spese del giudizio poste dal giudice a carico del condominio, oltreché alle spese di difesa (l'esonero non si estende ovviamente a quanto ha formato oggetto del merito sostanziale della vertenza). Se invece la lite ha esito favorevole per il condominio e il condomino dissenziente abbia tratto vantaggio, la separazione di responsabilità - che riguarda solo le spese di soccombenza - non produce gli stessi effetti ed il condomino dissenziente è tenuto a partecipare alle spese di lite quali, ad esempio l'eccedenza degli onorari del legale del condominio rispetto a quanto disposto dal giudice (cosiddette spese legali non ripetibili). In ogni caso, l'esonero del condomino dissenziente dalle spese, a seguito della separazione della propria responsabilità, non si applica alle spese del processo penale e la decisione di autorizzare l'amministratore - imputato per comportamenti relativi al suo incarico - a nominarsi un difensore in un procedimento penale, non può formare legittimo oggetto di delibera assembleare (Cassazione, 10/6/1997, n. 5163). In ogni caso, la notifica del dissenso non inibisce, al condomino dissenziente, la partecipazione alle successive delibere assembleari concernenti il prosieguo della controversia, non potendosi disconoscere il diritto di manifestare la propria volontà nell'assemblea e di concorrere quindi, al pari degli altri condomini, alla formazione della volontà condominiale sullo specifico argomento (per esempio, dell'abbandono della lite). Ne può dedursi al riguardo un'astratta ipotesi di conflitto di interessi, che deve essere dedotto e provato in concreto e può essere riconosciuto soltanto ove risulti dimostrata una specifica divergenza tra ragioni personali del condomino dissenziente - il cui voto abbia concorso a determinare la maggioranza assembleare - ed un parimenti specifico contrario interesse istituzionale del condominio (Cassazione, 5/12/2001, n. 15360). La procedura per manifestare il dissenso dalla lite è definita dall'art. 1132, primo comma, c.c., per il quale il condomino assente deve notificare entro 30 giorni, da quello in cui ha avuto notizia della deliberazione, il proprio dissenso. E, dunque - ai fini dell'esonero da eventuali spese di soccombenza - non basta che il condomino manifesti il suo dissenso in ordine alla lite durante l'assemblea, né è necessario che egli sia stato presente e dissenziente in assemblea, posto che la separazione di responsabilità è ammessa anche per gli assenti. Occorre invece che egli notifichi all'amministratore - o a tutti i condomini se manchi l'amministratore - la sua separazione da responsabilità, entro il termine di 30 giorni dalla data dell'assemblea, se era presente, o dalla data della comunicazione del verbale, se era assente. Scaduto tale termine di decadenza, egli non potrà più esercitare il proprio diritto di dissenso (Cassazione, 15/3/1994, n. 2453). Circa l'obbligo della notifica, di cui parla l'art. 1132, primo comma, c.c., si è molto discusso se il termine "notificato" debba essere inteso nel senso proprio di una formale notifica, ai sensi del Codice di procedura civile, ovvero di una pura e semplice comunicazione. La giurisprudenza prevalente ha però da tempo puntualizzato che la manifestazione di dissenso del condomino, rispetto alla promozione di una lite deliberata dall'assemblea, può essere notificata all'amministratore, senza bisogno di forme solenni, comprese tra queste quelle previste dal Codice di procedura civile. E, dunque, per la comunicazione del dissenso, basta anche una semplice raccomandata, di cui si provi l'avvenuto ricevimento, da parte del condominio (in senso contrario, si veda però Cassazione, 15/6/1978, n. 2967).
Silvio Rezzonico
Appendice
Inderogabilità dell'art. 1132 c.c.. L'art. 1138, ultimo comma, c.c., dispone espressamente che le norme del regolamento condominiale non possono in alcun modo derogare ad alcune disposizioni condominiali, tra cui quella di cui all'art. 1132 c.c.. La inderogabilità della norma implica che la sua violazione, da parte dell'assemblea, comporta la nullità della delibera assembleare che ponga le spese di lite, in proporzione della sua quota, anche a carico del condomino, che abbia ritualmente manifestato il proprio dissenso rispetto alla lite. In tal caso, infatti, l'art. 1132, primo comma, c.c., contemperando l'interesse del gruppo con quello del titolare di interessi contrastanti, riconosce al condomino dissenziente il diritto di sottrarsi agli obblighi derivanti dalle deliberazioni assunte sul punto (Cassazione, 15/5/2006, n. 11126). Sostanzialmente nello stesso senso, si vedano anche Cassazione, 8/6/1996, n. 5334 e Cassazione, 29/7/2005, n. 16092, per le quali é affetta da nullità e non da mera annullabilità ed è quindi impugnabile in ogni tempo e da chiunque ne abbia interesse, la delibera dell'assemblea condominiale che ponga le spese di lite, in proporzione della sua quota, a carico del condomino che abbia ritualmente manifestato il proprio dissenso rispetto alla lite medesima deliberata dall'assemblea, giacché solo l'unanimità dei condomini può modificare il criterio legale di ripartizione delle spese stabilito dall'art. 1132, primo comma, c.c.. Il principio vale, dunque, anche dopo gli insegnamenti giurisprudenziali più recenti, secondo cui devono qualificarsi come nulle - e non semplicemente annullabili - solo le delibere assembleari prive degli elementi essenziali, quelle con oggetto impossibile o illecito o che non rientra nella competenza dell'assemblea, quelle che incidono sui diritti individuali, sulle cose e servizi comuni, sulle proprietà esclusive di ognuno dei condomini nonché le delibere comunque invalide in relazione all'oggetto (Cassazione, 7/3/2005, n. 4806).

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Avv. Silvio Rezzonico


RIFERIMENTI NORMATIVI E GIURISPRUDENZA:
Codice civile artt. 1130-1132-1133-1138
Cassazione, 25/3/1970, n. 801
Cassazione, 15/6/1978, n. 2967
Cassazione, 10/6/1997, n. 5163
Cassazione, 15/3/1994, n. 2453
Cassazione, 8/6/1996, n. 5334
Cassazione, 5/12/2001, n. 15360
Cassazione, 7/3/2005, n. 4806
Cassazione, 29/7/2005, n. 16092
Cassazione, 15/5/2006, n. 11126


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