L'orientamento espresso dalla Suprema Corte di Cassazione sull'interpretazione del titolo esecutivo

Interpretazione del titolo esecutivo

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Per stabilire in cosa consista l'interpretazione del titolo esecutivo occorre decidere se, ed eventualmente in quale misura, possa essere superato il contenuto letterale del titolo ovvero se possa procedersi alla sua integrazione qualora ve ne sia la necessità.

Secondo l'orientamento univoco della dottrina e della giurisprudenza, i limiti dell'attività interpretativa sono rigorosi per garantire il valore letterale del titolo.

I criteri da impiegare per l'interpretazione del titolo esecutivo sono diversi a seconda che esso abbia formazione giudiziale o carattere negoziale [1].

Le sentenze e gli altri provvedimenti di formazione giudiziale debbono essere interpretati alla stregua del dispositivo che va letto tenendo conto anche della motivazione [2]: la giurisprudenza ha affermato che, in caso di dubbio insanabile, debba prevalere il dispositivo sulla motivazione (Cass., sent. n. 11357 del 22 maggio 2014).

Interpretazione "extratestuale"?

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L'interpretazione del titolo giudiziale può essere compiuta attraverso dati extratestuali?

Secondo una prima tesi, non è possibile operare una interpretazione estensiva delle sentenze e dei provvedimenti giurisdizionali attingendo ad elementi esterni al titolo, avendo il procedimento esecutivo la funzione di porre in esecuzione un diritto già accertato [3].

Oggi è prevalente, tuttavia, la tesi secondo cui le sentenze e gli altri provvedimenti giurisdizionali possono essere integrati attingendo ad elementi extratestuali [4], anche se deve trattarsi di dati incontestati dalle parti e acquisiti nel processo che ha condotto alla formazione del titolo.

I limiti all'attività interpretativa che si pongono per i titoli giudiziali non sembrano doversi estendere ai titoli che nascono dall'attività negoziale privata ai quali devono invece applicarsi i criteri interpretativi dettati dagli articoli 1362 e seguenti c.c.

L'ordinanza della Cassazione

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Nel caso sottoposto al vaglio del Supremo Collegio (ordinanza n. 18067/2020) i Giudici di Piazza Cavour sono stati chiamati a giudicare la legittimità di una sentenza emessa dai Giudici di Appello, i quali avevano confermato la possibilità, per il Giudice dell'Esecuzione, di interpretare un titolo esecutivo nel senso di precisarne i limiti e la portata quale presupposto dell'esecuzione, senza tuttavia entrare nel merito della pretesa creditoria.

I Giudici di Appello ritenevano possibile l'interpretazione del titolo esecutivo al fine di dirimere una controversia sulla qualificazione dello stesso quale obbligazione solidale o parziaria di un decreto ingiuntivo passato in giudicato.

I Giudici di Piazza Cavour hanno, invece, ritenuto inammissibile il ricorso in quanto l'interpretazione del titolo esecutivo si risolveva in un apprezzamento di fatto, come tale non censurabile in Cassazione se immune da vizi logici o giuridici.

La Suprema Corte ha disposto, infine, che "in difetto di trascrizione adeguata in ricorso, del titolo azionato in relazione alla strutturazione della causa petendi a sostegno del petitum sollecitato, è impossibile, per violazione del numero 6 dell'articolo 366 c.p.c., apprezzare se la sentenza gravata abbia o meno trasmodato i limiti imposti dal giudicato": ove l'oggetto del gravame di legittimità converga sulla interpretazione del titolo esecutivo, è onere del ricorrente, per il principio di autosufficienza, di trascrivere per intero il titolo esecutivo.

Il Giudice dell'Opposizione all'Esecuzione può essere quindi investito della delibazione in ordine alla interpretazione di un titolo esecutivo formatosi in un altro giudizio, soprattutto per delimitarne la portata: "l'interpretazione è riservata al giudice dell'opposizione e si risolve nell'apprezzamento di un fatto, come tale incensurabile in Cassazione se esente da vizi logici e giuridici": "il titolo esecutivo va inteso come presupposto fattuale dell'esecuzione".

Note bibliografiche

[1] A. M. Soldi, Manuale dell'esecuzione forzata, Wolters Kluwer, Milano, 2016, p. 79 e ss.

[2] Cass., sent. n. 1093 del 18 gennaio 2017, Cass. sent. n. 21961 del 27 ottobre 2010, Cass. sent. n. 11357 del 22 maggio 2014.

[3] Cass., sent. n. 15902 del 20 luglio 2011.

[4] Fatta eccezione per la integrazione extratestuale, la pronuncia giudiziale carente o dubbia non può essere interpretata in sede di opposizione attraverso il riferimento indebito a principi ed a regole di diritto non richiamati dalla disposizione (Cass., sent. n. 11357 del 22 maggio 2014).


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