Per la Cassazione, il deposito di somme da parte di un cointestatario non configura donazione se non viene provato lo spirito di liberalità

Cassazione, di chi sono i soldi sul conto cointestato

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Con la recente ordinanza n. 25684/2021, la Corte di Cassazione, sezione tributaria, ha operato alcune importanti precisazioni in tema di appartenenza delle somme depositate su un conto cointestato.

In particolare, la Suprema Corte ha rilevato che, in un conto cointestato tra coniugi, il deposito sul conto di una somma di denaro da parte di uno dei due cointestatari non configura automaticamente donazione, se non risulti dimostrato che tale intenzione sussisteva ab origine al momento della sottoscrizione del contratto con la banca o quanto meno al momento del deposito stesso.

Prelievo illegittimo se non c'era intenzione di donare

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La vicenda decisa dalla Cassazione riguardava una controversia instaurata da uno dei due cointestatari nei confronti dell'Agenzia delle Entrate.

Quest'ultima, infatti, aveva notificato al ricorrente un atto di accertamento relativo al versamento Irpef, in cui veniva lamentata la mancata indicazione, in sede di dichiarazione dei redditi, di una somma prelevata dal suddetto conto.

Secondo l'ente accertatore, la somma in oggetto era da considerarsi quale "provento illecito" e pertanto da assoggettarsi a tassazione, secondo quanto disposto in materia dalla normativa tributaria (D.P.R. 917/86).

Ciò, in quanto la medesima somma sarebbe stata precedentemente depositata sul conto da parte dell'altro coniuge e successivamente sarebbe stata oggetto di richiesta, da parte dello stesso, di risarcimento danni (peraltro già accolta con sentenza da parte di altro tribunale, in sede civile).

Conto cointestato, come funziona

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Il ricorrente (cioè il coniuge che aveva effettuato il prelievo ritenuto illecito) aveva sostenuto a propria difesa che il prelievo era da ritenersi lecito, in quanto l'atto di deposito da parte dell'altro coniuge configurava, a suo dire, una donazione indiretta.

A questo proposito, è forse opportuno soffermarsi sulle caratteristiche proprie del conto corrente cointestato.

Tale tipo di conto nasce dall'esigenza principale di ridurre le spese di gestione da sostenere, perché permette di evitare l'accensione di due conti separati in capo a soggetti che hanno determinati interessi in comune (coniugi, parenti, soci etc.).

Inoltre, sul piano pratico, il conto cointestato permette una più agile gestione delle somme (specialmente in ambito familiare), in particolare quando è prevista la firma disgiunta. Quest'ultima modalità, infatti, abilita ciascun cointestatario ad effettuare le varie operazioni bancarie (deposito, prelievo etc.) in totale autonomia rispetto agli altri titolari del conto.

Detto ciò, però, va chiarito di chi sono i soldi sul conto cointestato. Proprio a questo interrogativo ha provveduto a rispondere la sentenza in esame.

Conto cointestato, serve l'animus donandi

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Citando alcuni precedenti arresti giurisprudenziali (Cass. 26983/08 e Cass. 4862/18), la sezione tributaria adita ha ricordato che "anche sul piano strettamente civilistico, il versamento di una somma di danaro da parte di un coniuge su conto corrente cointestato all'altro coniuge non costituisce di per sé atto di liberalità. Difatti, l'atto di cointestazione, con firma e disponibilità disgiunte, di una somma di denaro depositata presso un istituto di credito che risulti essere appartenuta ad uno solo dei contestatari, può essere qualificato come donazione indiretta solo quando sia verificata l'esistenza dell'animus donandi, consistente nell'accertamento che il proprietario del denaro non aveva, nel momento della detta cointestazione, altro scopo che quello della liberalità".

Pertanto, se non viene dimostrata la sussistenza di tale spirito liberale, il mero versamento da parte del coniuge di danaro personale sul conto corrente cointestato non è idoneo a fondare una presunzione di appartenenza pro quota all'altro cointestatario.

Di conseguenza, è da considerarsi arbitraria ed illecita (e, quindi, tassabile nel caso concreto che abbiamo descritto), l'appropriazione mediante prelievo della somma in oggetto, in assenza di indizi che lasciassero presumere l'esistenza dell'animus donandi in occasione del precedente versamento della somma medesima.

Scarica pdf Cass. n. 25684/2021

Foto: 123rf.com
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