Con il decreto Green Pass e gli altri voti di fiducia il governo Draghi si porta a 28 fiducie in soli 10 mesi. Uso o abuso? Esiste ancora un Parlamento?

Questione di fiducia e separazione dei poteri

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"Tutto sarebbe perduto se lo stesso uomo, o lo stesso corpo di maggiorenti, o di nobili, o di popolo, esercitasse questi tre poteri: quello di fare le leggi, quello di eseguire le decisioni pubbliche, e quello di giudicare i delitti o le controversie dei privati".

Lo diceva trecento anni fa il barone di Montesquieu e da allora queste parole sono state un costante punto di riferimento per la diffusione del modello democratico di uno Stato, fondato sulla separazione dei poteri.

Eppure, da anni assistiamo anche nel nostro democratico Paese ad un ricorrente utilizzo di una misura che mortifica questo principio: la questione di fiducia.

Quello attuale non è certo il primo governo ad adottare tale soluzione per rendere più celere e più certa la propria azione, anche se pare sulla buona strada per risultare l'esecutivo che più ne ha fatto uso.

Ma è davvero così indispensabile l'uso della questione di fiducia? E dovrebbe continuare ad essere tollerato dai cittadini e dai loro rappresentanti in Parlamento, come lo è stato negli ultimi anni?

Per rispondere a queste domande, ovviamente, è importante chiarire cos'è la questione di fiducia e qual è - o quale dovrebbe essere - la sua funzione.

Questione di fiducia: significato

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La questione di fiducia è una particolare condizione che il Governo pone alle Camere e consiste, in sostanza, nel manifestare a queste ultime che la mancata approvazione di un determinato atto (di solito, la legge di conversione di un decreto legge o un particolare emendamento) comporterà il venir meno del rapporto di fiducia che, per volere della Costituzione, deve caratterizzare il legame tra i due poteri.

La Costituzione, appunto.

La questione di fiducia non è un istituto previsto dalla Carta costituzionale. Il suo fondamento, invece, si ritrova nella legge n. 400 del 1988 e nei regolamenti delle due Camere, ma ormai sembra essere diventata più una questione di prassi che di legalità.

Perché, pur essendo uno strumento che dovrebbe mantenersi eccezionale per natura, la questione di fiducia trova ormai un utilizzo così diffuso che è difficile trovarne giustificazione a livello giuridico.

Nella maniera in cui viene adoperata oggi (nel momento in cui scriviamo, il governo Draghi è ormai a 28 questioni di fiducia in soli 10 mesi di attività: un ritmo da record) assume i connotati di mero strumento politico, usato in modo distorto e finalizzato a mantenere gli equilibri istituzionali in un modo che si discosta un po' troppo da ciò che era stato immaginato, in linea generale, dall'Assemblea costituente.

I record delle questioni di fiducia del Governo Draghi

Con le 6 fiducie richieste nel solo mese di novembre 2021 - di per sé un dato da record - il Governo Draghi è dunque giunto a ben 28 questioni di fiducia in soli 10 mesi di attività.

Il mero dato numerico, però, non rende l'idea del ritmo forsennato con cui l'attuale esecutivo fa uso dell'istituto.

Infatti, in valori assoluti, le 28 fiducie di Draghi sono ancora nettamente inferiori alle 66 di Renzi, alle 51 di Monti e alle 45 di Berlusconi (vedi il dettaglio completo nel rapporto pubblicato da Openpolis).

Il dato che svela l'abuso di fiducie da parte del Governo Draghi è quello relativo alla media mensile di voti di fiducia: ben 2,8 al mese, inferiori soltanto alle 3 fiducie al mese richieste dal Governo Monti.

E i numeri sono ancora più incredibili se si considera solo il periodo da luglio a novembre 2021, con quasi 4,5 voti di fiducia ogni mese richiesti dal Governo Draghi.

Pandemia e necessità di rilancio con il piano PNRR sono solo delle limitate giustificazioni ad un utilizzo così spregiudicato della fiducia, che per ben 10 volte è stata chiesta da Draghi contestualmente sia alla Camera che al Senato, dando vita a dei veri e propri provvedimenti blindati, sostanzialmente inattaccabili dalle Camere.

Anche per questo motivo sono solo 7, ad oggi, i decreti legge proposti da questo esecutivo a non essere stati convertiti in legge, ma anche in questo caso va rilevato che il testo non confermato dalle Camere è stato poi recuperato in altri provvedimenti legislativi successivi.

Il rapporto di fiducia tra Governo e Parlamento

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In sostanza, quindi, la questione di fiducia altera i rapporti istituzionali tra Governo e Parlamento e sposta - pericolosamente, verrebbe da dire, o quanto meno senza un giustificabile motivo - la bilancia di potere in direzione dell'esecutivo.

Così facendo, infatti, quest'ultimo si appropria di fatto di una fetta di potere legislativo che non gli spetterebbe.

Basti pensare che, già di per sé, lo strumento del decreto legge viene utilizzato ben oltre i limiti di necessità e urgenza per cui era stato previsto. Se la sua conversione in legge deve essere poi vincolata alla minaccia del venir meno della fiducia, è evidente che il Governo diviene depositario di una porzione francamente troppo abbondante dell'effettivo potere legislativo.

Alle Camere viene così negata la possibilità di apportare emendamenti al testo dei decreti legge, e spesso è lo stesso Governo a rimodulare completamente il testo da approvare in sede di conversione, proponendo i famigerati maxi-emendamenti.

Governo Draghi e questione di fiducia

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Ma allora perché nessuno sembra ribellarsi? Perché, dal governo Berlusconi a quello Renzi, da Monti al Conte-bis, fino all'attuale esecutivo, la questione di fiducia sembra essere considerata una modalità normale di operatività da parte delle istituzioni?

Cosa ha da perdere il Parlamento?

Domanda banale, lo sanno tutti: se il Governo cade, c'è una buona probabilità che si vada tutti a casa, ministri e parlamentari, e un deputato o un senatore questo lo sanno bene.

E allora, non c'è rimedio? Se pensiamo alla Costituzione nel suo complesso, al di là di ogni disquisizione giuridica, la si può definire principalmente un'opera di buon senso.

E innanzitutto al buon senso bisognerebbe appellarsi, quindi, per evitare che il suo dettato finisca in qualche modo travisato, eluso e ignorato dai governi che si succedono legislatura dopo legislatura.

Lo stato emergenziale non dev'essere una giustificazione per imporre continui ultimatum al Parlamento, che deve recuperare in tutta la sua ampiezza la prerogativa di analizzare, discutere e approvare le leggi che conformano la vita quotidiana di ogni cittadino.

Anche perché, come diceva sempre il barone di cui sopra, "non c'è tirannia peggiore di quella esercitata all'ombra della legge e sotto il calore della giustizia".


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