Il Dpr n. 1124/1965 sul riconoscimento dell'indennità della malattia professionale, alle origini della valutazione del rischio

Le origini: la figura di Bernardo Ramazzini

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A Bernardino Ramazzini (1633-1714), professore di medicina pratica all'Università di Padova, si può certamente attribuire la paternità della Medicina del Lavoro, branca della medicina che si occupa della prevenzione, diagnosi e cura delle condizioni morbose occorse a seguito di attività lavorative, oltre ad essere considerato il padre della Valutazione del Rischio.

Il suo precetto: "Longe praestantius est praeservare quam curare" suffraga il metodo preventivo, ancora oggi principio cardine della Medicina del Lavoro.

Nel 1700, nel suo trattato "De morbis artificum diatriba", comprese le relazioni tra ambiente di lavoro e pericoli per lo stato di salute dei lavoratori; studiò qualitativamente le sostanze che venivano manipolate e le loro esalazioni, i movimenti compiuti nell'organizzazione del lavoro e gli atteggiamenti posturali mantenuti; suggerì alcune misure di protezione che prevedevano sia la prevenzione che la conoscenza del rischio.

Delineò circa cinquanta mestieri (i.e. vuotatori di fogne, stampatori, scrivani e copisti, scavatori di pozzi, ramai, tessitori, falegnami, fabbricanti di saponi…) di cui approfondì le condizioni di lavoro e le malattie professionali che da tali occupazioni derivavano, descrivendone i possibili rimedi.

Uniformò il suo studio ed il suo metodo d'indagine per tutte le tipologie lavorative prese in esame, derivandone una sorta di decalogo:

- osservazione e descrizione del ciclo lavorativo;

- studio delle tecniche e delle materie prime utilizzate;

- studio clinico delle condizioni di salute dei lavoratori attivi e di coloro che avevano praticato quel determinato mestiere in passato;

- osservazione dei comportamenti di protezione adottati dai singoli lavoratori;

- ipotesi e suggerimenti di dispositivi a protezione del lavoratore;

- terapie farmacologiche accessibili per tutti i lavoratori;

- analisi dei possibili interventi di bonifica ambientale e dei luoghi di lavoro;

- linee guida tecniche, organizzative e comportamentali sia personali che sociali.1

Solo nei secoli successivi, tuttavia, emerse la consapevolezza che le malattie professionali rappresentavano un fenomeno sociale e, come tali, avrebbero dovuto essere sostenute da interventi normativi e legislativi.

Nella seconda metà del XIX secolo, il processo di industrializzazione aveva generato lo spostamento di grandi masse di lavoratori, dediti all'agricoltura, ad abbandonare le campagne ed a migrare nelle città, per essere impiegati, in particolare, nell'industria metalmeccanica, chimica e tessile.

La classe politica italiana, anche a fronte delle precarie condizioni igieniche e di sicurezza che avevano condotto ad un aumento degli infortuni e di condizioni morbose correlate alle lavorazioni in cui gli operai erano impiegati, cominciò a sensibilizzarsi sul tema della tutela del lavoratore, anche a fronte di una sempre maggior richiesta da parte dei sindacati.

Con R.D. del 29 dicembre 1869 si istituì la "Commissione Consultiva del Lavoro e della Previdenza Sociale", prodromo della prima legge in materia di assicurazione degli infortuni sul lavoro, la Legge n. 80 del 17 marzo 18982 che decretò l'obbligo di assicurazione per gli operai per gli infortuni sul lavoro nell'industria, limitato tuttavia ad alcuni settori ed a libera scelta del datore di lavoro della compagnia assicurativa.

Dopo il primo conflitto mondiale e, precisamente, con R.D. n. 928 del 13 maggio 1929, entrato in vigore il primo di gennaio del 1934, la tutela venne estesa anche alle malattie professionali dell'industria, con l'indicazione di sei condizioni morbose per le quali valeva la presunzione legale di malattia professionale: intossicazioni da piombo, mercurio, fosforo, benzolo e derivati amminici degli idrocarburi benzenici oltre ad una patologia di origine parassitaria, l'anchilostomiasi.

Il manifestarsi della malattia nel lavoratore era condizione sufficiente affinché ad esso venisse riconosciuta la tutela, senza obbligo di fornire prova di una correlazione diretta tra l'insorgenza e l'attività professionale svolta.

Nel 1935, con R.D. n. 1765 del 17 agosto, dal titolo: "Disposizioni per l'assicurazione obbligatoria degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali", vennero unificate le norme relative ad assicurazione contro gli infortuni e contro le malattie professionali.3

Nel 1943, la Legge n. 455 del 12 aprile introdusse l'assicurazione obbligatoria contro la silicosi e l'asbestosi, patologie di cui si tratterà più approfonditamente nel proseguo dell'articolo e, nel 1952, con la Legge n. 1967 del 15 novembre, il numero delle lavorazioni morbigene venne innalzato da sei a quaranta.4

Era il 1958 quando fu introdotta l'assicurazione obbligatoria per la classe medica contro le malattie causate da irradiazione di raggi X e sostanze radioattive, estesa, nel 1965, anche ai tecnici radiologi e la tutela delle malattie professionali venne introdotta, per sette tecnopatie, anche nel settore agricolo.2

Da questo breve excursus emerge chiaramente come la tutela delle malattie professionali, fin dall'inizio, si sia basata su di un sistema a "lista chiusa", ovvero un elenco di patologie la cui eziologia professionale veniva riconosciuta per legge in un lavoratore impiegato in specifiche lavorazioni durante il rapporto di lavoro od entro un termine certo dalla cessazione dello stesso.

Il Dpr n. 1124 del 30 giugno 1965

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A seguito dell'adozione del suddetto Decreto, venne approvato il Testo Unico in materia di disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali.

Più volte integrato e modificato è, ad oggi, tuttora in vigore e rappresenta una delle principali fonti legislative in materia di tutela contro i rischi da lavoro; prevede, infatti, che venga riconosciuta, per legge, tutela assicurativa alle tecnopatie elencate in apposite liste o tabelle che sono contenute negli allegati 4 e 5 dello stesso, precisamente agli articoli 3 e 211, dato certo che le stesse occorrano nell'esercizio ed a causa delle lavorazioni indicate, che sussista già l'obbligo assicurativo e che la patologia si manifesti entro il termine massimo dalla cessazione all'esposizione prevista nelle liste stesse.

Sistema definito "Tabellare", offre il vantaggio per il lavoratore della Praesumptio iuris et de iure, ovvero la presunzione giuridica che non ammette una prova contraria riguardo l'origine professionale della malattia contratta e manifestata.

La Corte Costituzionale, con sentenza n. 179 del 10 febbraio 1988, dichiarò illegittimo il sistema che non prevedesse assicurazione obbligatoria e, di conseguenza, indennizzo, anche per patologie differenti da quelle elencate nelle tabelle, purché si trattasse di malattie per le quali venisse dimostrata una eziologia professionale; si passò di conseguenza da una "sistema chiuso" ad un "sistema misto": per le malattie non tabellate l'onere della prova è a carico del lavoratore, mentre per quelle elencate la tutela è automatica.6

Nel 1994 il numero delle tecnopatie è salito a cinquantotto nel settore dell'industria ed a ventisette in quello dell'agricoltura con una maggiore specificazione delle stesse al fine di migliorare le rilevazioni epidemiologiche (prevalenza ed incidenza) ed a fini preventivi.

L'elenco ex art. 139 T.U. è stato aggiornato nel 2009 e risulta articolato in tre differenti liste di patologie7:

- Lista I malattie la cui origine lavorativa è di elevata probabilità;

- Lista II malattie la cui origine professionale è di limitata probabilità;

- Lista III malattie la cui origine professionale è possibile.

Oggi l'obbligo, da parte dei medici, di denuncia di malattia professionale è molto ampio ed ha l'obiettivo di consentire l'emersione di patologie professionali non tabellate per una sempre maggior tutela dello stato di salute del lavoratore.

La malattia professionale

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L'Istituto Nazionale per l'assicurazione contro gli Infortuni sul lavoro (INAIL), ente preposto per infortuni e malattie professionali, definisce la malattia professionale come "Patologia la cui causa agisce lentamente e progressivamente sull'organismo: causa diluita e non causa violenta e concentrata nel tempo".

"La stessa causa deve essere diretta ed efficiente, cioè in grado di produrre l'infermità in modo esclusivo o prevalente: le malattie devono essere contratte nell'esercizio ed a causa delle lavorazioni rischiose.

È ammesso, tuttavia, il concorso di cause extraprofessionali, purché queste non interrompano il nesso causale in quanto capaci di produrre da sole l'infermità. Per le malattie professionali, quindi, non basta l'occasione di lavoro come per gli infortuni, cioè un rapporto anche mediato o indiretto con il rischio lavorativo, ma deve esistere un rapporto causale, o concausale, diretto tra il rischio professionale e la malattia. Il rischio può essere provocato dalla lavorazione che l'assicurato svolge, oppure dall'ambiente in cui la lavorazione stessa si svolge (c.d. "rischio ambientale").8

E' importante distinguere la malattia professionale, spesso definita anche "tecnopatia", dall'infortunio:

- la malattia professionale è una condizione morbosa che si sviluppa nel tempo a seguito all'esposizione prolungata ad un determinato fattore di rischio;

- l'infortunio si verifica in modo tendenzialmente immediato ed incide istantaneamente ed in modo traumatico sulla salute del lavoratore (la c.d. causa violenta).

Silicosi ed asbestosi: una normativa ad hoc

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Con il termine pneumoconiosi si intendono un gruppo eterogeneo di malattie caratterizzate da alterazioni permanenti delle strutture polmonari, causate dall'inalazione di polveri minerali e le conseguenti reazioni del tessuto polmonare alla loro presenza. Tale gruppo di patologie interessa particolarmente la medicina del lavoro dal momento che, l'esposizione professionale a polveri, è la causa più frequente di pneumoconiosi.

A seconda del tipo di polvere si riscontra:

- silicosi, dovuta dall'inalazione della polvere di pietre, o sabbia, contenenti silice; il "mal della pietra", descritto da secoli tra gli scalpellini ed i cavatori, venne riconosciuto, nel corso del XX secolo, tra gli addetti delle miniere e dei trafori, tra i produttori di ceramiche, stoviglie e refrattari, tra i fonditori di metalli, i sabbiatori e gli addetti all'edilizia. Nella prima metà del secolo scorso la silicosi polmonare è stata la più frequente e la più grave delle malattie professionali ed ancora negli anni settanta in Italia venivano denunciati e riconosciuti ogni anno migliaia di casi di silicosi che causava centinaia di casi di morte all'anno.

L'evoluzione ed il miglioramento dello scenario lavorativo (chiusura di attività produttive, nuove tecnologie ed eliminazione delle lavorazioni più pericolose) hanno ridimensionato l'incidenza di nuovi casi di silicosi, che riguardano nella maggior parte soggetti anziani con esposizione a polvere iniziata in tempi piuttosto remoti e protratta per lunghi periodi.

Tuttavia, il valore limite, adottato per anni per la concentrazione di silice cristallina aero dispersa, si è rivelato, secondo recenti studi, non tutelante nei confronti dell'insorgenza di silicosi in lavoratori esposti per lunghi anni.

- asbestosi, causata dall'amianto (miniere, produzione cemento-amianto, manufatti, isolamento termo-elettro-acustico, contaminante in talco o vermiculite, settore ferroviario, marittimo e automobilistico). In occasione della "Giornata mondiale delle vittime dell'amianto", l'Osservatorio Nazionale Amianto (ONA) ha denunciato che: "è sempre più drammatica la situazione delle vittime dell'amianto in Italia per l'assenza di provvedimenti incisivi per la messa in sicurezza e la bonifica dei materiali in amianto". L'ONA ricorda inoltre che: "Nonostante sia stato messo al bando nel 1992 l'amianto continua ad uccidere, perché si trasforma in fibre invisibili che, inalate ed ingerite, causano con assoluta certezza scientifica mesotelioma, tumore del polmone, tumore della laringe, dello stomaco e del colon".9

- antracosi, o fibrosi polmonare da inalazione di carbone; detta anche malattia del polmone nero;

- talcosi, causata dal talco;

- siderosi, causata dall'accumulo di polveri ferrose;

- berilliosi, causata dal berillio;

- smiridosi, causata dallo smeriglio;

- hard metal lung disease (HMLD), causata dall'inalazione di particelle di metalli duri;

- malattia di Shaver-Riddell, causata da polveri e fumi di alluminio o abrasivi a base di ossido di alluminio.

La polvere depositata nei polmoni non può essere né distrutta né rimossa dal corpo e, di conseguenza, vi permane.10

Si definisce polvere aero dispersa parte di materiale allo stato solido generato nel processo di frantumazione sia naturale che artificiale.

Si prendono qui in esame silicosi ed asbestosi, patologie gravi ed irreversibili a carico dell'apparato circolatorio, disciplinate da una normativa ad hoc.

Queste malattie devono occorrere nell'esercizio delle lavorazioni che sono indicate nell'apposita Tabella, allegato n. 8, del Testo Unico (decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124) e, a differenza di quanto disposto per le altre malattie professionali, non è richiesto che queste patologie siano contratte a causa delle lavorazioni esercitate, in quanto si tratta di malattie tipiche delle lavorazioni stesse.

Nella valutazione del danno si tiene conto, inoltre, anche delle altre forme patologiche a carico dell'apparato respiratorio e cardiocircolatorio, anche se non correlate alle due patologie. Nelle altre malattie professionali, al contrario, la tutela assicurativa non comprende le conseguenze non direttamente connesse alle malattie stesse.

Non è previsto, per la denuncia, un termine massimo di indennizzabilità dalla data di cessazione dell'attività rischiosa e la rendita per silicosi od asbestosi può essere revisionata per tutta la vita, non essendo prevista una scadenza ultima come per le altre malattie; è, inoltre, prevista una "rendita di passaggio", come misura preventiva contro l'aggravamento della malattia.8

Conclusioni

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Aumentano le malattie professionali in Italia: +31,5% in un anno.

Dopo una flessione, condizionata dalla pandemia SarsCovid-19, le denunce di malattia professionale, secondo i più recenti dati INAIL, sono state 36.496, superiori rispetto allo stesso periodo del 2020, di 8,735 unità.

Le prime tre malattie professionali denunciate restano le patologie a carico del sistema osteo-muscolare e del tessuto connettivo, del sistema nervoso e dell'orecchio, a cui seguono le forme tumorali e le patologie del sistema respiratorio.

Secondo le stime dell'ILO (International Labour Organization), ogni anno, 2,3 milioni di donne e di uomini muoiono a causa di un infortunio o di una malattia connessi al lavoro. Oltre 350.000 morti sono dovute ad un infortunio mortale e quasi 2 milioni di morti sono dovute ad una malattia professionale. Inoltre, più di 313 milioni di lavoratori sono coinvolti in infortuni sul lavoro non mortali che provocano lesioni gravi ed assenze dal lavoro; si stimano, inoltre, in 160 milioni, i casi di malattie non mortali connesse al lavoro.11

E' di conseguenza importante ribadire come le buone condizioni di lavoro, insieme alla tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, contribuiscano alla produttività, allo sviluppo sostenibile ed allo sviluppo organizzativo di un'impresa.


dott.ssa Luisa Claudia Tessore


Note bibliografiche

1. Franco G., Meglio prevenire che curare - Il pensiero di Bernardino Ramazzini, medico sociale e scienziato visionario. Narcissus, 2015

2. Istituto Nazionale per l'Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro (INAIL). Cento anni di storia: l'INAIL alla vigilia del 2000. Roma: INAIL, 1988

3. R.D. 17 agosto 1935 - Gazzetta Ufficiale n. 240, 14 ottobre 1935 - XIII

4. Legge 15 novembre 1952 n. 1967 - Gazzetta Ufficiale n. 288 12 dicembre 1952

5. Dpr 1124/1965

6. https://www.giurcost.org>0179s-88

7. D.M. aprile 2008 - Gazzetta Ufficiale n. 169 21 luglio 2008

8. Malattia professionale - INAIL Ultima revisione 1 aprile 2015

9. https://greenreport.it/news/rifiuti-e-bonifiche/giornata-mondiale-delle-vittime-di-amianto-nel-2020-in-italia-7000-morti-per-esposizione-alla-fibra-killer/

10. Cullinan P, Reid P, Pneumoconiosis, in Prim Care Respir J, vol. 22, n. 2, 2013, pp. 249-52

11. https://www.ilo.org/


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