Per la Cassazione l'omessa diagnosi di un processo morboso terminale integra un danno risarcibile per lesione del diritto del paziente ad autodeterminarsi

Omessa diagnosi di malattia terminale

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In tema di danno alla persona, conseguente a responsabilità medica, l'omessa diagnosi di una malattia terminale integra un danno risarcibile in quanto lede il diritto di autodeterminazione del paziente a decidere sul "fine vita", facendo venir meno un ventaglio di opzioni tra cui lo stesso può scegliere come affrontare l'ultimo tratto del proprio percorso di vita.


Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, terza sezione civile, nella sentenza n. 27682/2021 (qui sotto allegata) accogliendo il ricorso del marito e del figlio di una donna deceduta a causa di un linfoma metastatico al midollo.


In particolare, i congiunti chiamano in giudizio i medici che avevano visitato la signora e le strutture ospedaliere presso cui la stessa era stata più volte ricoverata e dimessa senza che le venisse diagnosticata la leucemia linfatica cronica che poi ne aveva provocato la morte.


In particolare, dopo oltre un anno passato tra visite e ricoveri, senza che fosse rilevata l'esatta patologia, la paziente riusciva finalmente a scoprire da cosa era affetta e decideva così di curarsi all'estero, presso un centro oncologico statunitense; tuttavia, nonostante le terapie e l'iniziale remissione della malattia, questa si ripresentava alcuni anni dopo conducendola alla morte.


Da qui l'istanza di risarcimento avanzata dai congiunti che ritengono responsabili medici e strutture per omessa tempestiva diagnosi della malattia che avrebbe potuto, invece, consentire di approntare le necessarie terapie. La domanda viene però totalmente respinta in sede di merito, dove viene ritenuto insussistente il nesso di causalità tra la condotta dei vari medici che ebbero in cura la donna e l'evoluzione della malattia.

Colpevole ritardo diagnostico e lesione del diritto ad autodeterminarsi

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In Cassazione, invece, il ricorso dei congiunti trova accoglimento limitatamente alla parte con cui viene denunciata una lesione del diritto all'autodeterminazione della donna determinata dal colpevole ritardo diagnostico.


Effettivamente, il Collegio ritiene che la Corte di merito non abbia valutato la risarcibilità di tutti i danni allegati, posto che sin dall'atto introduttivo i parenti della vittima avevano chiesto il risarcimento, tra gli altri danni, anche di quello personale subito dalla paziente che, se avesse ricevuto la diagnosi in tempi anticipati, avrebbe potuto esercitare il diritto all'autodeterminazione.

In prima battuta, gli Ermellini rammentano il principio secondo cui, "in tema di danno alla persona, conseguente a responsabilità medica, integra l'esistenza di un danno risarcibile alla persona l'omissione della diagnosi di un processo morboso terminale, in quanto essa nega al paziente, oltre che di essere messo nelle condizioni di scegliere 'cosa fare', nell'ambito di ciò che la scienza medica suggerisce per garantire la fruizione della salute residua fino all'esito infausto, anche di essere messo in condizione di programmare il suo essere persona e, quindi, in senso lato l'esplicazione delle sue attitudini psico-fisiche, in vista e fino a quell'esito".

Ancora, la sentenza sottolinea che la violazione del diritto di determinarsi liberamente nella scelta dei propri percorsi esistenziali, determinata dal colpevole ritardo diagnostico di una patologia ad esito certamente infausto, non coincide con la perdita di "chances" connesse allo svolgimento di specifiche scelte di vita non potute compiere, bensì con la lesione di un bene di per sé autonomamente apprezzabile sul piano sostanziale, tale da non richiedere l'assolvimento di alcun ulteriore onere di allegazione argomentativa o probatoria, potendo da solo giustificare una condanna al risarcimento del danno sulla base di una liquidazione equitativa (cfr. Cass. n. 7260/2018).

Risarcimento per omessa diagnosi patologia terminale

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Conclusivamente, la Suprema Corte precisa che, in caso di colpevole ritardo nella diagnosi di patologie ad esito infausto, l'area dei danni risarcibili non si esaurisce nel solo pregiudizio recato alla integrità fisica del paziente, né nella perdita di "chance" di guarigione.

L'area del risarcibile, infatti, si spinge oltre includendo anche la perdita di tutto un "ventaglio" di opzioni con le quali il paziente può scegliere come affrontare l'ultimo tratto del proprio percorso di vita. Ciò rappresenta, secondo i giudici, "lesione di un bene reale, certo (sul piano sostanziale) ed effettivo, apprezzabile con immediatezza, qual è il diritto di determinarsi liberamente nella scelta dei propri percorsi esistenziali".

In tale prospettiva, dunque, il diritto di autodeterminarsi riceve "positivo riconoscimento e protezione non solo mediante il ricorso a trattamenti lenitivi degli effetti di patologie non più reversibili, ovvero, all'opposto, mediante la predeterminazione di un percorso che porti a contenerne la durata, ma anche attraverso la mera accettazione della propria condizione". Cassato il provvedimento impugnato, sarà dunque il giudice del rinvio a rivalutare la vicenda sul punto.


Scarica pdf Cassazione Civile sentenza n. 27682/2021

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