La Cassazione afferma che per integrare il reato di abbandono non occorre il dolo e la sofferenza dell'animale si desume dalla incompatibilità della detenzione con la sua natura

Abbandono di animali lasciare i cani in auto per ore senz'acqua

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Ai fini della configurazione del reato di abbandono non occorre che vi sia la prova delle sofferenze e che le stesse siano inferte volontariamente. La sofferenza arrecata all'animale è desumibile dal contesto. Va quindi confermata la condanna alla pena dell'ammenda irrogata ai due imputati, responsabili di aver lasciato due cani di grossa taglia all'interno dell'auto la notte di Capodanno senza acqua. Questo quanto emerge dalla sentenza della Cassazione n. 36713/2021 (sotto allegata).

La vicenda processuale

In primo grado due imputati vengono condannati per il reato di abbandono di animali contemplato dall'art. 727 c.p per aver lasciato per più di tre ore, nella notte di San Silvestro del 2017, due cani di grossa taglia all'interno di un'auto, parcheggiata sulla via pubblica, senza acqua. Condizione che ha arrecato ai due animali grosse sofferenze anche per l'impossibilità degli stessi di muoversi adeguatamente.

Senza la prova della sofferenza dell'animale non c'è reato

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I due imputati, in disaccordo con l'esito del giudizio di primo grado, impugnano la sentenza innanzi alla Corte di Cassazione sollevando un unico motivo, con il quale fanno presente che l'art. 727 c.p punisce chi detiene gli animali in condizioni incompatibili con la loro natura quando la detenzione produce gravi sofferenze.

In relazione al reato contestato i due imputanti evidenziano che la motivazione della sentenza di condanna difetta nel punto in cui dovrebbe dimostrare il nesso di causa tra la condotta e le gravi sofferenze che i due animali avrebbero subito. Non basta la mera condizione di detenzione per dedurre che i due animali abbiano patito a causa della assenza di acqua, dello spazio ridotto in cui muoversi e delle carenti protezioni dal freddo. Nessuna prova inoltre è stata fornita della sofferenza degli animali. Per gli imputati l'auto non è un luogo insalubre in cui detenere due cani, anche perché capace di proteggere dalle intemperie.

Detenzione incompatibile con la natura dell'animale

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La Cassazione adita, non condividendo la tesi difensiva dei due imputati, respinge i ricorsi perché non li ritiene meritevoli di accoglimento.

Per la Corte, l'abitacolo di un'autovettura, anche a volerlo ritenere confortevole, è comunque sempre diverso dall'habitat naturale in cui dovrebbero essere detenuti i due animali, senza contare il tempo di stazionamento dentro l'auto e il contesto generale.

Anche a prescindere dalle sofferenze fisiche, non si può certo trascurare l'esperienza vissuta dai due animali in rapporto alla loro sensibilità, aspetto che la norma vuole tutelare, preservandoli da condizioni di detenzione o custodia in grado di cagionare una sofferenza superiore alla soglia di tollerabilità.

Occorre inoltre sottolineare che la norma, che contempla un reato contravvenzionale, non richiede ai fini della punibilità, la volontà da parte dell'agente di recare sofferenza all'animale, bastando la colpa.

Il giudice di merito, per gli Ermellini, ha ben valutato gli elementi probatori a sua disposizione deducendo che, a causa dello spazio ridotto, dell'assenza di ciotole per l'acqua e del freddo, i due animali abbiano patito gravi sofferenze. Sofferenze per le quali non occorre prova, potendo desumersi dal contesto, come ha correttamente concluso il giudice di merito, che ha rilevato la mancata adozione delle accortezze necessarie a soddisfare i compiti di cura degli animali al fine di garantire il loro benessere.

E' in pratica dalla incompatibilità delle condizioni di detenzione con la natura dell'animale che deve desumersi la sua sofferenza e poiché tale elemento deve desumersi dalle condotte che incidono sulla sua sensibilità, è stato sufficiente appurare la condizione di nervosismo dei due cani accertate dai verbalizzanti, per giungere alle conclusioni a cui è arrivato il giudice di merito.

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Scarica pdf Cassazione n. 36713/2021

Foto: 123rf.com
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