Per la Cassazione, nel riconoscere l'assegno di divorzio è necessario approfondire se la scelta del part-time da parte della moglie è autonoma o condivisa

Scelta del part-time e incidenza sull'assegno di divorzio

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Ai fini della determinazione dell'assegno di divorzio occorre approfondire se la scelta di lavorare part-time da parte della moglie è stata presa in autonomia o in modo condiviso per provvedere anche alle esigenze della famiglia. Questo il chiarimento contenuto nell'ordinanza n. 23318/2021 della Cassazione (sotto allegata).

La vicenda processuale

Il Tribunale dichiara la cessazione degli effetti civili del matrimonio e pone a carico del marito l'obbligo di versare alla moglie un assegno mensile di 900 euro e alla figlia un contributo mensile di 600 euro, entrambi annualmente rivalutabili.

L'obbligato ricorre in appello. che accoglie in parte l'impugnazione, riducendo l'assegno in favore della moglie a 600 euro mensili. Nel determinare la misura la Corte ha accertato che il marito è titolare di un reddito mensile di 4.400,00 perché colonnello della Guardia di Finanza, la moglie invece consegue un reddito mensile di 1400 euro ed è proprietaria di un immobile per il quale versa 800 euro al mese per il mutuo.

Questa disparità è frutto della scelta della donna di dedicarsi solo alla famiglia durante i primi anni di matrimonio

per favorire la carriera del marito, anche se non si può considerare minimo l'apporto fornito dalla stessa alla stabilità e all'organizzazione familiare. E' quindi presumibile che la scelta sia stata presa di comune accordo. La Corte poi evidenzia la progressione di carriera del marito con relativo incremento della sua retribuzione, la durata del matrimonio di 16 anni, l'età della moglie e "la conseguente impossibilità di trovare un'occupazione migliore." Elementi che fanno ritenere congrua la somma mensile di 600 euro per l'assegno divorzile della ex moglie.

Occorre tenere conto della scelta della moglie di lavorare part time

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La Corte di Cassazione, dopo la rinuncia della donna al ricorso principale, converte quello incidentale in principale, il marito invece propone controricorso con cui solleva diversi motivi tra i quali merita di essere esaminato il secondo, con il quale evidenzia la violazione da parte della Corte di Appello dell'art. 5 della legge sul divorzio n. 898/1970 e l'omesso esame di un fatto decisivo. Nel ritenere infatti non adeguati i mezzi economici a disposizione della moglie, la Corte non ha tenuto conto della decisione della moglie di lavorare part-time e della possibilità d'incrementare le proprie entrate semplicemente svolgendo un'attività a tempo pieno.

Rileva ai fini dell'assegno divorzile la scelta autonoma o condivisa per il part-time

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La Corte di Cassazione accoglie il secondo motivo del controricorso del marito, rinviando alla Corte di Appello competente territorialmente in diversa composizione, alla quale chiede di provvedere anche sulle spese.

La Corte infatti rileva che la Corte di Appello nel determinare l'assegno di divorzio ha richiamato la recente giurisprudenza delle SU n. 18287/2018, che sottolinea la natura assistenziale e perequativo compensativa della misura, anche se di tali criteri non ha fatto corretta applicazione perché il suo esame si è limitato a evidenziare la differenza economico patrimoniale tra i coniugi, senza considerare opportunamente che la ex moglie anche se titolare di un rapporto a tempo indeterminato, lavora part-time e senza approfondire adeguatamente se tale scelta sia stata assunta autonomamente o in modo condiviso. Un dettaglio non trascurabile ai fini del riconoscimento e della quantificazione dell'assegno di divorzio, perché se la scelta è stata compiuta al fine di conciliare al meglio il lavoro e l'accudimento della figlia, non si può non tenerne conto sotto il duplice profilo del sacrificio da parte della donna delle proprie capacità professionali e del contributo fornito dalla stessa al ménage familiare e alla formazione del patrimonio.

Corretta quindi anche l'osservazione del marito sulla irreversibilità o meno della scelta compiuta visto che la donna, in caso contrario, potrebbe incrementare le proprie entrate optando per il tempo pieno. In questo caso lo squilibrio economico tra i coniugi non potrebbe essere considerato come frutto di scelte comuni, ma decisione esclusiva e autonoma della moglie. Sarebbe chiaro infatti a quel punto che la stessa, ormai libera dagli impegni familiari anche per l'età della figlia, manifesterebbe in autonomia la volontà di non mettere a frutto le proprie capacità professionali.

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Scarica pdf Cassazione n. 23318/2021

Foto: 123rf.com
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