La Cassazione non fa sconti sullo stalking fondato sull'identità di genere: via libera al danno morale ed esistenziale

Per lo stalking fondato sull'identità di genere niente sconti

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Corretto dare valore all'orientamento sessuale e all'identità di genere della persona offesa per sottolineare la gravità penale della condotta delle imputate. Le stesse non meritano alcuna attenuante, proprio perché l'identità di genere non giustifica condotte discriminatorie, soprattutto se vittima e imputate condividono lo stesso orientamento sessuale.

L'identità di genere non può inoltre scriminare il sentimento di gelosia, soprattutto se le condotte sono fortemente lesive perché strumentalizzano in termini denigratori gli orientamenti sessuali di chi ha un genere che non coincide con il dato biologico. Queste le importanti precisazioni contenute nella sentenza della Cassazione n. 30545/2021 (sotto allegata).

La vicenda processuale

Tutto ha inizio quando la vittima ha alcuni contatti con una delle due imputate. Condotta che suscita subito la gelosia della compagna di quest'ultima. Messaggi minatori diretti alla persona offesa e ai suoi familiari, insulti che evocano la natura sessuale della stessa per la durata di un mese, a cui si si accompagnano messaggi dello stesso tenore dell'altra imputata.

Le imputate creano poi un sito WhatsApp, con il quale indirizzano messaggi minatori alla persona offesa e ai suoi amici e conoscenti, a cui seguono minacce di morte e danni alla sua famiglia. Atti per commettere i quali si minaccia anche l'intervento di una famiglia criminale locale.

Da qui il giudizio, che si conclude in primo grado e in appello con la condanna delle imputate per concorso nel reato di stalking di cui all'art 612 bis c.p in danno della persona offesa.

Condotte inquadrabili come molestia non come stalking

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La imputate decidono però di impugnare la sentenza di appello della quale contestano:

  • l'assenza di prove sul danno lamentato dalla vittima e in ogni caso sulla sua liquidazione;
  • la mancata concessione delle attenuanti generiche fondata sulla discriminazione legata all'identità di genere e all'orientamento sessuale della vittima e sul fatto che le imputate, proprio perché unite civilmente sono consapevoli di trovarsi nella stessa condizione di discriminazione;
  • l'errata qualificazione della condotta delle imputate, riconducibile piuttosto al reato di molestia e disturbo alle persone di cui all'art. 660 c.p;
  • errato riconoscimento della circostanza aggravante "del fatto commesso nei confronti di persona legata da un rapporto di coniugio o di convivenza."

Nessuna attenuante per chi perseguita in ragione della identità di genere

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La Corte di Cassazione rigetta i ricorsi delle imputate, fornendo un'esaustiva quanto interessante motivazione.

Per gli Ermellini il primo motivo del ricorso è da respingere perché, come affermato dal giudice di merito, trattandosi di una richiesta risarcitoria avente ad oggetto il danno morale ed esistenziale, la liquidazione non può che avvenire il via equitativa. Indubbia la sofferenza morale causata alla vittima a causa del comportamento ingiurioso, minaccioso e volgare delle imputate che non hanno risparmiato neppure la famiglia della stessa. Certa anche la sofferenza esistenziale recata alla persona offesa nella sua dimensione sociale e lavorativa. Indiscutibile anche la liquidazione equitativa dei danni predetti, non potendosi procedere altrimenti quando si deve ristorare il danno morale. Metodo che tra l'altro è stato ampiamente motivato dalla Corte di merito.

Da respingere anche la seconda doglianza, visto che la Corte di merito ha motivato ampiamente sulla carenza di elementi necessari per il riconoscimento delle attenuanti generiche richieste. La gelosia dell'imputata che ha dato il via alle condotte incriminate, non giustifica la violenza di genere messa in atto nei confronti della vittima.

"Il continuo riferimento all'orientamento sessuale della vittima - qualificata in modo volutamente sprezzante come "lesbica" e "puttana" in numerosi messaggi e persino nel nome dato al gruppo whatsapp creato per denigrare la vittima in ambiente di lavoro, con conseguente violazione anche della privacy - palesa la precisa volontà di colpire la vittima nella sua identità di genere e/o a causa della sua correlata scelta sessuale. Proprio l'analogo orientamento sessuale delle imputate - ha proseguito la sentenza di primo grado - rendono ancor più gravi le condotte delle stesse, in quanto perfettamente consapevoli delle sofferenze che possono derivare da discriminazioni sessuali, fermo restando che nessun rilievo può assumere l'orientamento sessuale delle stesse imputate, che certamente non può fondare condotte discriminatorie in danno di altri."

Per la Corte è necessario considerare che la CEDU ha escluso "come l'adozione di leggi che perseguano gli autori di dichiarazioni d'incitamento all'odio nei confronti di persone LGBT, possa costituire un'illegittima limitazione dell'esercizio della libertà di espressione."

Occorre inoltre considerare che l'identità di genere è al centro di numerose disposizioni normative: - la Direttiva 2011/95 UE "fa espressamente riferimento al concetto di identità di genere, nella trattazione degli aspetti che possono costituire motivi di persecuzione";

- la Direttiva 2012/29 UE "che prevede l'obbligo per gli Stati di proteggere le persone che subiscono violenza in quanto appartenenti ad un genere, oppure a causa della propria identità di genere, oppure a causa di motivi o finalità di odio o discriminazione fondati sul genere, identità o espressione di genere.

Senza dimenticare la Corte Costituzionale con la sentenza n. 221/2015 "ha riconosciuto il diritto all'identità di genere quale "elemento costitutivo del diritto all'identità personale, rientrante a pieno titolo nell'ambito dei diritti fondamentali della persona, principio poi ribadito nella sentenza n. 180/2017, secondo cui va affermato come "l'aspirazione del singolo alla corrispondenza del sesso attribuitogli nei registri anagrafici, al momento della nascita, con quello soggettivamente percepito e vissuto costituisca senz'altro espressione del diritto al riconoscimento dell'identità di genere."

Da respingere anche la qualificazione del reato nei termini di semplice molestia e disturbo visto che la corte di merito ha evidenziato lo stato d'ansia della vittima e il sentimento di paura ingenerato dalle minacce rivolte anche alla sua famiglia, così come va rigettato il quarto motivo, perché il passaggio motivazionale della sentenza in cui si ravvisa la circostanza aggravante della commissione del fatto nei confronti di persona legata da rapporto di coniugio è il frutto di un refuso e perché la Corte di merito ha comunque confermato il trattamento sanzionatorio delle imputate.

Scarica pdf Cassazione n. 30545/2021

Foto: 123rf.com
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