La fragilità umana toccata dalla magia: quale sorte per il contratto fra mago e cliente, le tutele civilistiche, il risarcimento del danno e le prove presuntive

Tutela civilistica delle vittime

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Specchio della precarietà dei tempi, sia materiale che emotiva, è il ricorrere sempre più frequente a sedicenti maghi, venditori di false felicità e di insperate panacee.

Di seguito, una delle possibili angolazioni giuridiche da cui osservare il fenomeno di questa nuova schiavitù.

Quale sorte per il contratto fra mago e cliente?

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La maggior parte dei casi vede l'instaurarsi di un "rapporto squilibrato" fra vittima ed agente, avendo questi la possibilità di manipolare la volontà di un soggetto fragile ed incapace di opporre resistenza.

In astratto - quando ne derivi l'induzione a compiere atti pregiudizievoli - può configurarsi il reato di circonvenzione di incapace (in tal senso, anche Cassazione, Sezione II Penale, 26 marzo 2018, n. 13968). Trattasi, in particolare, di delitto in danno di minori come di persone in stato di infermità psichica, e cioè affette o da un vero e proprio stato patologico, conosciuto e codificato dalla scienza medica, o da una condizione soggettiva, che, sebbene non patologica, vada a menomare, in modo definitivo o temporaneo, le facoltà intellettive e volitive del soggetto quale conseguenza di una anomalia mentale; ugualmente, può risultare persona offesa il soggetto che si trovi in stato di deficienza psichica, intendendosi per tale una alterazione dello stato mentale, ontologicamente meno grave ed aggressiva dell'infermità (tra le altre, Cass. pen. n. 36424/2015; n. 4145/2019).

Ed anzi, come ancora chiarito dalla Suprema Corte, "lo stato di deficienza psichica del soggetto passivo richiesto per la configurabilità del reato di circonvenzione, anche inteso quale presupposto oggettivo, non è quello di una completa assenza delle facoltà mentali o di una totale mancanza della capacità di intendere e di volere, pur momentanea, essendo sufficiente una minorata capacità psichica, uno stato di deficienza del potere di critica e di indebolimento di quello volitivo tale da rendere possibile l'altrui opera di suggestione, o tale da agevolare l'attività di induzione svolta dal soggetto attivo per raggiungere il suo fine illecito..." (Cass. pen. n. 35446/2018).

Ebbene, ricorrendo detti presupposti, il contratto fra mago e cliente potrà dirsi stipulato per effetto diretto della consumazione di tale reato, con la conseguente nullità del negozio ex art. 1418 c.c., per contrasto con la norma imperativa di cui all'art. 643 c.p., "giacchè va ravvisata una violazione di disposizioni di ordine pubblico in ragione delle esigenze di interesse collettivo sottese alla tutela penale, trascendenti quelle di mera salvaguardia patrimoniale dei singoli contraenti perseguite dalla disciplina sulla annullabilità dei contratti" (Cass. civ. n. 7081/2017).

Evidentemente, la fattispecie incriminatrice in questione, avente scopo piuttosto nella tutela dell'autonomia privata e della libera esplicazione dell'attività negoziale, che non nella tutela dell'incapacità in sè e per sè considerata, è da annoverarsi tra le norme aventi natura imperativa, come anche ribadito da uniforme orientamento giurisprudenziale (Cass. Civ. n. 1427/2004; n. 7081/2017).

In ogni caso, sarà richiesta la sussistenza di tutti gli altri elementi costitutivi della fattispecie penalmente rilevante (volontà dell'agente di procurarsi un ingiusto profitto e pregiudizio patrimoniale della vittima), in modo da consentire al Giudicante di poter compiere l'accertamento incidenter tantum, ai fini sia della declaratoria di nullità che del conseguente ristoro per i danni subìti.

Condivisibile, poi, è altra, possibile ricostruzione normativa di simili vicende, alla luce dell'art. 1346 c.c. e, nuovamente, dell'art. 1418 c.c., sotto il profilo della concreta irrealizzabilità delle dedotte prestazioni.

Così, secondo la Corte d'Appello di Genova, "il contratto in forza del quale un mago, a fronte di congrui esborsi di denaro, si impegna verso l'altra parte contraente a riavvicinare ad essa il proprio compagno...è da considerasi nullo per impossibilità dell'oggetto (nella specie, il mago avrebbe potuto ottenere i risultati promessi con le forze proprie che non ha invece detto che avrebbe utilizzato e, di fatto, non ha utilizzato - ad esempio, opera di persuasione resa più efficace dalla capacità dialettica o dalla sua preparazione psicologica - ma non con quelle dell'occulto, accordando il diritto, a quest'ultimo proposito...all'impegno effettivo e non alle fole" (App. Genova 19.01.1996).

La rilevanza giuridica delle più frequenti condotte processuali

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Dalla puntuale ricostruzione dei fatti e da un valido supporto probatorio dipenderà la possibile valutazione da parte del Giudicante, a norma dell'art. 116 c.p.c., di condotte processuali che, altrimenti, avrebbero valenza neutra. Basti considerare, a tal proposito, il non infrequente caso di contumacia del convenuto-autore del danno o di sua assenza a rendere interrogatorio formale.

Certo, potrebbe già dirsi sufficiente la concomitante presenza di elementi di prova indiziaria o solamente la mancata proposizione di prove contrarie (Cass. civ. n. 22407/2006), ma a rilevare, soprattutto, è la facoltà riconosciuta al Giudice adìto dall'art. 232, comma 1, c.p.c.: egli, infatti, potrà ritenere come ammessi i fatti dedotti nell'interrogatorio formale, ed attribuire altresì rilievo alla dichiarata contumacia del convenuto, pur continuando a rappresentare, quest'ultima condotta, un risvolto applicativo del diritto di difesa.

Proprio in materia di procedimento contumaciale, ha statuito la Corte di Cassazione che "qualora venga notificata personalmente al contumace l'ordinanza ammissiva dell'interrogatorio formale, ai sensi dell'art. 292, comma I, c.p.c., e siano così rispettate le norme a tutela del contraddittorio, se egli non si presenti all'udienza fissata per l'interrogatorio senza giustificato motivo, il giudice valutato ogni altro elemento di prova, può ritenere come ammessi i fatti dedotti nell'interrogatorio" (Cass. Civ. n. 28293/2009).

Risarcimento del danno e prove presuntive

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Per logica conseguenza della più immediata ricostruzione normativa, l'istanza risarcitoria dovrebbe avere ad oggetto un danno in re ipsa, poichè derivato dalla commissione di reato e perchè relativo, comunque, alla violazione dei diritti fondamentali della persona.

Dinanzi, però, ad esigenze di prova specifica, legittimo ed opportuno è il ricorso a presunzioni, magari fondate sul quadro psicoemotivo del soggetto danneggiato e sulle ragioni che ne hanno determinato l'affidarsi al danneggiante.

Anzi, "attenendo il pregiudizio (non biologico) ad un bene immateriale, il ricorso alla prova presuntiva è destinato ad assumere particolare rilievo", pur se "il danneggiato dovrà tuttavia allegare tutti gli elementi che, nella concreta fattispecie, siano idonei a fornire la serie concatenata di fatti noti che consentano di risalire al fatto ignoto" (Cass. Civ., SS.UU., n. 26972-5/2008). Assumeranno, pertanto, peso una modificazione peggiorativa della vita (danno dinamico-relazionale) nonchè un patimento morale esprimibile in varie forme, quali il dolore, la vergogna, il rimorso e la disistima di sè, oltre alla malinconia ed alla tristezza (danno morale), nei termini in cui si è espressa la stessa Cassazione (Cass. Civ. n. 901/2018).

E tanto più varrà la prova presuntiva, poiché da riferirsi al valore della dignità della persona in quanto tale, in una lettura costituzionalmente orientata dei rapporti giuridici anche privatistici, ed in conformità al "principio personalistico che anima la nostra Costituzione, la quale vede nella persona umana un valore etico in sé, vieta ogni strumentalizzazione della medesima per alcun fine eteronomo ed assorbente, concepisce l'intervento solidaristico e sociale in funzione della persona e del suo sviluppo e non viceversa, e guarda al limite del «rispetto della persona umana» in riferimento al singolo individuo, in qualsiasi momento della sua vita e nell'integralità della sua persona, in considerazione del fascio di convinzioni etiche, religiose, culturali e filosofiche che orientano le sue determinazioni volitive" (Cass. Civ. n. 21748/2007).

Avv. Ylli Pace

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