Ai fini del calcolo delle quote della pensione di reversibilità in favore di due coniugi sopravvissuti non rileva solo la durata formale del matrimonio

Alla moglie divorziata il 63% della pensione di reversibilità

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Quando la pensione di reversibilità deve essere ripartita tra due coniugi superstiti, per procedere alla determinazione delle rispettive quote, il giudice deve tenere conto della durata effettiva della comunione di vita, alla eventuale presenza di figli e alla misura dell'assegno di divorzio. Queste le conclusioni della Corte d'Appello di Taranto - Sezione Lavoro n. 149/2020 (sotto allegata) che, nell'accogliere l'impugnazione della moglie sopravvissuta, ha chiarito che non applica automaticamente il criterio temporale della durata formale del matrimonio ai fini del calcolo della quota della pensione di reversibilità, perché si finisce per eseguire un calcolo meramente matematico, trascurando aspetti ben più importanti. Questa la vicenda che ha portato la Corte d'Appello a dover precisare il concetto sopra esposto.

Il Giudice di prima istanza, nella causa avanzata dalla moglie divorziata nei confronti dell'INPS e del coniuge superstite del marito defunto, le riconosce il 63% della quota di pensione di reversibilità percepita per intero dalla moglie superstite e condanna l'Istituto di previdenza a corrisponderle quanto stabilito in sentenza a partire dal 1° aprile 2012, oltre rivalutazione, interessi al tasso legale e spese di causa.

Errato considerare solo la durata formale del matrimonio

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Appella la sentenza la moglie superstite, contumace nel giudizio di primo grado, chiedendo la riforma della sentenza perché errata. La moglie divorziata resiste in giudizio, eccependo la tardività delle doglianze e chiedendo la conferma della sentenza di primo grado. L'Istituto resiste anch'esso in giudizio rimettendosi alla decisione della Corte.

La Corte d'Appello rileva come il giudice di primo grado, dopo aver illustrato la legislazione e la giurisprudenza in materia, abbia riconosciuto la quota del 63% alla moglie divorziata tenendo conto della durata di 12 anni del primo matrimonio e di 7 anni di quello con la moglie superstite.

Quest'ultima però si duole della decisione perché è errato riconoscere una quota maggiore della pensione di reversibilità solo sulla base della durata formale del matrimonio.

Per la donna la quota di reversibilità deve tenere conto anche di altri fattori, come:

  • la durata effettiva del matrimonio con la prima moglie, di fatto durato solo qualche mese a causa dell'insorgenza di fatti che hanno reso intollerabile, quasi fin da subito, la convivenza;
  • e il fatto che la stessa, fino a quel momento, ha provveduto al mantenimento del figlio avuto con il de cuius e a quello nato da un precedente matrimonio, attingendo solo a quanto percepito con la pensione di reversibilità.

Rilevano la comunione di vita, la presenza di figli e l'assegno di divorzio

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Per la Corte d'Appello, il ricorso dell'appellante è fondato. Alla luce di quanto sancito dalla Cassazione dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 419/1999, la durata del matrimonio non può essere l'unico criterio a cui il giudice ricorre per la determinazione delle quote della pensione di reversibilità. Il calcolo di dette quote altrimenti finisce per essere agganciato a un mero calcolo matematico. Occorre considerare altri elementi, anche in base a quanto stabilito dall'art. 5 della legge sul divorzio n. 898/1970, ossia all'entità dell'assegno di mantenimento riconosciuto all'ex coniuge, alle condizioni economiche delle parti e alla durata delle eventuali convivenze more uxorio prematrimoniali. Il tutto per evitare l'alterazione del tenore di vita sia del coniuge divorziato che di quello superstite.

Corretta la doglianza dell'appellante quindi in ordine alla durata del matrimonio. Non può infatti essere presa in considerazione la sola durata formale. Occorre valutare anche la durata della convivenza prematrimoniale per dare rilievo "all'effettiva comunione di vita del de cuius con le due mogli, dovendosi riconoscere alla convivenza "more uxorio" non una semplice valenza "correttiva" dei risultati derivanti dall'applicazione del criterio della durata del rapporto matrimoniale, bensì un distinto ed autonomo rilievo giuridico. Da ciò consegue la possibilità di discostarsi da un rigido criterio basato unicamente sulla durata del matrimonio legale comprendente anche il periodo successivo alla separazione fino alla sentenza di divorzio, allorché sia notevole lo scarto fra matrimonio e convivenza effettiva ed a tale scarto corrisponda una concomitante convivenza "more uxorio" della nuova coppia (cfr. Cass. civ., sez. I, 15 ottobre 2012, n. 17636)."

Il Giudice di prime cure quindi ha errato nel determinare le quote spettanti alle due mogli. Occorre tenere conto anche della finalità solidaristica della pensione di reversibilità in virtù dei seguenti fatti:

  • la durata del matrimonio con la prima moglie di soli 3 anni, da cui non sono nati figli a cui è stato riconosciuto un assegno di divorzio di 280 euro al mese;
  • la durata di 15 anni complessivi di convivenza con la moglie superstite e la nascita di un figlio.

Occorre quindi procedere a una nuova determinazione delle quote di pensione di reversibilità spettante alle due mogli nella misura del 70% in favore dell'appellante dal giorno successivo alla morte del de cuius, oltre rivalutazione e interessi dal 121 giorno successivo alla proposizione della domanda amministrativa e nella restante percentuale del 30% alla moglie divorziata.

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