Leonardo Ercoli ed Emilio Orlando, un avvocato davvero colto e un giornalista di razza, insieme per un compiuto esame del reato di riciclaggio
Un nuovo articolo inedito, molto completo, dell'Avv. Prof. Leonardo Ercoli e del Dott. Emilio Orlando, un avvocato e un giornalista, a quattro mani per un pezzo di gran classe che la rubrica LIA Law In Action è orgogliosa di ospitare.

Buona lettura!


RICICLAGGIO, AUTORICICLAGGIO E CONCORSO ESTERNO DELL'EXTRANEUS

(dell'avv. prof. Leonardo Ercoli docente ed avvocato penalista e del dott. Emilio Orlando giornalista e scrittore)

RICICLAGGIO ED AUTORICICLAGGIO LE NUOVE SFIDE DELLA GIURISPRUDENZA CONTRO LA CRIMINALITA' ECONOMICA

1) IL FENOMENO DEL RICICLAGGIO NELLA DISCIPLINA PENALISTICA: L'ART. 648-BIS
2) L'AUTORICICLAGGIO: L'ART. 648-TER.1
3) IL "DISCRIMEN" TRA IL REATO DI RICICLAGGIO E DI AUTORICICLAGGIO
4) IL CONTRIBUTO DELL'EXTRANEUS ALLA CONDOTTA DI AUTORICICLAGGIO: REATO DI RICICLAGGIO O CONCORSO NEL REATO DI AUTORICICLAGGIO?

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Riciclaggio, autoriciclaggio e concorso esterno. Termini una volta desueti ma che oggi sentiamo quotidianamente. Televisioni, giornali e rotocalchi sono pieni di notizie riguardanti inchieste e processi legati a queste figure criminose. Il riciclatore è una figura terza rispetto a chi ha commesso il reato. Interviene successivamente ripulendo il capitale. Personaggi puliti, imprenditori cerniera tra la malavita organizzata ed in mondo delle attività commerciali ed economiche. La criminalità economica ha avuto sempre, sin dalle sue origini storiche risalenti all'epoca del baratto l'esigenza di dissimulare nascondere i suoi capitali illeciti attraverso la "ripulitura" del denaro. Svariati i settori dell'economia che nel corso degli anni sono stati i più permeabili al fenomeno del riciclaggio. Si è partiti con l'edilizia, per passare al settore del "beverage" e del "food", per anni gli autosaloni erano considerati le "lavatrici" più efficienti in tema di riciclaggio. Anche il settore dell'estetica e dei solarium è stato quello più colpito. Si è passati anche per il settore del gioco lecito o gioco di Stato, fino ad arrivare al comparto dei trasporti ultimo miglio. Oggi il settore dei prodotti energetici e dei petroliferi è quello preferito dalla criminalità che fa tutto "in house"; evade, estorce, contrabbanda e ricicla allo stesso tempo con società cartiere che attraverso le figure degli "spicciatori" monetizza velocemente l'illecito guadagno. Bit Coin e monete virtuali l'ultima trovata delle mafie per riciclare e schermare i guadagni.

Un reato quello del riciclaggio che ha avuto un 'escalation in Italia, dove nel 2019 le operazioni finanziarie 105.789 le "operazioni finanziarie sospette" e di queste, il 12% (12.284) ha riguardato il Nord Est, dove il Veneto, con i suoi 8.788 casi segnalati, è la regione che ha il primato. E'da pochi giorni fa la pubblicazione del documento "Unità d'Informazione Finanziaria" della Banca d'Italia relativo agli "Schemi rappresentativi di comportamenti anomali - Operatività connessa con illeciti fiscali", con cui l'UIF è andata a delineare le condotte potenzialmente criminogene legate all'evasione.
L'attenzione dello studio si è concentrata in modo particolare su reati fiscali quali l'utilizzo e l'emissione di fatture per operazioni inesistenti, le frodi sull'IVA intracomunitaria, le frodi fiscali internazionali e la cessione di crediti fiscali fittizi e altri utilizzi indebiti. Un modello economico criminale, quello italiano che delinea una precisa mappa del crimine a fasce. Nord criminalità economica e meno droga, centro sud truffe e narcotraffico.

1) Il fenomeno del riciclaggio nella disciplina penalistica: l'art. 648-bis

L'articolo 648-bis - inserito nel Titolo XIII del Libro II del codice penale relativo ai delitti contro il patrimonio e, nella specie, nel Capo II avente ad oggetto i delitti contro il patrimonio mediante frode nel disciplinare la fattispecie penale del riciclaggio, sanziona la condotta di colui che, al di fuori dei casi di concorso nel reato, sostituisce o trasferisce denaro o altre utilità provenienti da delitto non colposo, ovvero compie in relazione ad essi ulteriori operazioni, così da ostacolare l'identificazione della loro provenienza delittuosa. La fattispecie delittuosa in esame - nella sua attuale formulazione rappresenta il frutto di una complessa evoluzione normativa che ha visto ampliarsi la sfera di operatività della fattispecie come risultato della nuova consapevolezza circa l'autonomo profilo di lesività delle condotte incriminate.

Ciò posto è d'uopo, in tal senso, operare talune precisazioni proprio in ordine al percorso normativo che ha portato all'attuale formulazione dell'articolo 648-bis c.p. Il primissimo intervento legislativo finalizzato ad osteggiare in modo diretto il fenomeno del riciclaggio, risale al 1978, anno di introduzione nel codice penale dell'art. 648-bis. La fattispecie rispondeva, in particolare, all'esigenza di reprimere, in maniera decisa, taluni fenomeni criminali dell'epoca quali il sequestro di persona e la rapina collegati al terrorismo e alla criminalità organizzata. La norma configurava - così come risultava dal dato testuale - un reato a consumazione anticipata, con il quale venivano puniti gli atti diretti a sostituire denaro proveniente da quegli unici tre delitti individuati dal legislatore, non essendo necessario, ai fini della consumazione del reato, l'avvenuta effettiva sostituzione del denaro.

Successivamente, l'accrescimento costante della pericolosità con cui si palesava il fenomeno, indusse il legislatore italiano a modificare la norma, conformandosi, peraltro, agli obblighi derivanti dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro il traffico delle sostanze stupefacenti, adottata a Vienna nel dicembre 1988, ratificata e resa esecutiva in Italia con la legge 19 marzo 1990, n. 55. L'art. 23 della predetta legge modificò la rubrica in «Riciclaggio» richiedendo, da un lato, ai fini della consumazione del reato, l'effettiva sostituzione del denaro, beni o altre utilità provenienti da un più ampio catalogo di delitti pur sempre predeterminato ex lege, non bastando il semplice compimento di atti diretti a sostituirlo e dall'altro lato l'inserimento tra le condotte sanzionate anche di quella di 'ostacolo all'identificazione della provenienza delittuosa del bene'. Segnatamente, la formulazione attuale dell'art. 648-bis c.p. si deve all'art. 4 della legge 9 agosto 1993, n. 328, che ha ratificato e dato esecuzione alla Convenzione sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato, adottata dal Consiglio d'Europa a Strasburgo, dell'8 novembre 1980. Con la suddetta norma, il legislatore è intervenuto, anzitutto, sul presupposto del reato sostituendo alla lista chiusa di reati della precedente versione l'enunciazione aperta che contempla, quali reati da cui possono provenire le utilità oggetto di riciclaggio, tutti i delitti non colposi suscettibili di produrre proventi economici (MANES). Secondariamente, è stata introdotta, affianco alle figure tipizzate della sostituzione e del trasferimento, anche una terza condotta non tipizzata (rectius: le altre operazioni), ovverosia tutte quelle condotte caratterizzate da un elemento modale costituito dalla idoneità ad ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa dei beni (MAGRI). Giova segnalare, seppur sommariamente, che un ruolo fondamentale nel percorso evolutivo di cui si è detto, è stato rivestito, peraltro, dal diritto dell'unione europea che, negli anni, ha recepito in materia di prevenzione e contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo, l'evoluzione dei principi internazionali, perseguendo come fine ultimo quello di realizzare un'armonizzazione normativa tra gli Stati membri. L'impegno antiriciclaggio dell'UE risale ai primi anni novanta riflettendosi, col tempo, in cinque diverse Direttive. La quinta e ultima delle suddette direttive, attualmente in vigore (dal 9 giugno 2018), è la Direttiva UE/2018/843 con la quale è stata modificata la Direttiva UE/2015/849 relativa alla prevenzione dell'uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo. Essa, mira a garantire maggiore trasparenza delle operazioni finanziarie, delle società e degli altri soggetti giuridici, nonché dei trust e degli istituiti giuridici aventi assetto o funzioni affini a quelli dei trust nell'ottica di migliorare l'attuale quadro di prevenzione e contrastare più efficacemente il finanziamento del terrorismo.

Ebbene, operate tali sommarie premesse in ordine all'evoluzione normativa della fattispecie, appare oltremodo evidente come la norma in esame abbia quale oggetto della tutela giuridica, oltre al patrimonio, anche l'amministrazione della giustizia e l'ordine pubblico ed economico il quale verrebbe ad essere pregiudicato e sovvertito attraverso il fenomeno del riciclaggio dei proventi dei reati rientrando, dunque, nel novero dei reati plurioffensivi. In realtà, giova dare atto della difficile oltre che fortemente dibattuta individuazione del bene giuridico tutelato in via principale dalla norma. Invero, secondo taluni autori (ANTOLISEI; FIANDACA-MUSCO) in virtù della collocazione sistematica della fattispecie in commento tra i delitti contro il patrimonio, sarebbe proprio l'amministrazione della giustizia il bene protetto in via principale, sul rilievo che l'essenza del delitto risiede nell'idoneità delle differenti condotte - vincolate o a forma libera - ad ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa. Altra parte della dottrina (FLICK), invece, mette in evidenza l'ordine pubblico con riguardo al preminente utilizzo della fattispecie quale momento conclusivo nell'attività di contrasto della criminalità organizzata. Infine, non manca chi (MANES; MUSCIATELLO) individua il bene protetto precipuamente nell'ordine economico-finanziario, essendo palese l'effetto inquinante che i capitali di illecita provenienza, specie quelli della criminalità organizzata o mafiosa, provocano sull'economia, sui mercati e sulla libera concorrenza oltre che sulla stessa affidabilità degli intermediari finanziari. Quanto al soggetto attivo, il delitto può essere commesso da qualunque persona che non abbia concorso nel reato presupposto da quale provengono il danaro, i beni o altra utilità oggetto della condotta, trattandosi perciò di reato comune. Precedentemente all'introduzione della punibilità dell'autoriciclaggio - di cui si avrà modo di approfondirne la disamina - le condotte successive alla commissione del reato e dirette ad assicurane il profitto rientravano nella categoria del post factum non punibile. Attualmente, l'art. 3 della legge n. 186/2014 - introduttivo dell'art. 648-ter1 - prevede un delitto punito con la reclusione da due ad otto anni e la multa da euro 5.000 ad euro 25.000 per chiunque, avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l'identificazione della loro provenienza delittuosa. Ciò comporta che, l'autore o il concorrente del reato presupposto, pur non potendo essere imputato del reato di riciclaggio, potrà essere chiamato a rispondere, alle condizioni previste dalla norma, dell'autonoma fattispecie di cui all'art. 648-ter.1 c.p.

Sotto il profilo oggettivo, come parzialmente anticipato, all'esito dell'iter normativo che ha portato all'attuale formulazione della norma, oggetto di riciclaggio può essere il provento di qualsivoglia delitto non colposo. Peraltro, notevolmente ampliato risulta il novero delle condotte di ripulitura concretamente sanzionabili, che vede affianco al trasferimento e alla sostituzione anche tutte le operazioni volte ad impedire o, comunque, ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa del denaro, dei beni o delle altre utilità oggetto del reato. Orbene, sul punto, ai fini di una maggiore comprensione della portata della fattispecie in commento è d'uopo precisare cosa la norma intenda allorquando indica come tipiche le condotte di sostituzione, trasferimento o 'altre operazioni'. In primo luogo, la condotta della sostituzione fa riferimento a tutte le attività di ripulitura del prodotto criminoso, separandolo da ogni possibile collegamento con il reato, anche se incide direttamente, mediante alterazione dei dati esterni, sulla cosa in quanto tale. Cosicché essa può essere integrata nei modi più disparati si pensi, ad esempio, alla monetizzazione di assegni di provenienza illecita. Vi è poi la condotta tipica del trasferimento da intendersi quale condotta tesa a determinare una movimentazione giuridica e/o materiale dei valori di provenienza illecita da un soggetto ad un altro o, ancora, da un luogo ad un altro così da fare perdere le tracce della titolarità, della provenienza o dell'effettiva destinazione. Infine, la condotta tipica lo si è detto può consistere in altre operazioni volte ad ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa, formula questa di chiusura che consente di sanzionare le tecniche nuove, sempre più differenti e complesse che la criminalità riesce ad escogitare al fine di ripulire i suoi ingenti capitali illeciti. Appare, dunque, evidente come l'intento del legislatore fosse volto all'introduzione di una fattispecie di reato a forma libera attraverso la quale perseguire un ampio catalogo di condotte inclusivo di tutte quelle attività dirette a limitare o comunque ad intralciare l'accertamento dell'origine illecita dei proventi ricavati dalle attività delittuose. Ciò vale, in particolare, con riguardo a tutte quelle fattispecie in cui sui medesimi beni vengano poste in essere plurime e successive operazioni di sostituzione volte a fare disperdere l'origine illecita degli stessi; il riferimento è al cosiddetto 'riciclaggio indiretto' che costituendo, dunque, un ulteriore ostacolo alla tracciabilità della provenienza dei beni e quindi non può che configurare l'elemento materiale del delitto di cui all'art. 648-bis nella sua attuale formulazione.

Trattasi, quindi, di un reato che, pur consumandosi già nel momento in cui viene compiuta una singola operazione, fra quelle indicate nella norma, idonea ad ostacolare l'accertamento dell'origine illecita del bene, può continuare ad attuarsi attraverso altre e diverse operazioni che perseguono il medesimo obiettivo fino a giungere alla definitiva sottrazione del bene all'identificazione attraverso il suo impiego in ambiti ove non potrà più essere accertata la sua origine delittuosa. Sul tema di recente la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di puntualizzare che «trattasi di reato a forma libera, la cui condotta costitutiva può consistere anche in una pluralità di distinti atti in sé leciti, realizzati a distanza di tempo l'uno dall'altro, purché unitamente riconducibili all'obiettivo comune cui sono finalizzati, ossia l'occultamento della provenienza delittuosa del denaro, dei beni o delle altre utilità che costituiscono l'oggetto; a ciò consegue che non è essenziale la preventiva individuazione e previsione dei singoli atti da compiere, potendo gli stessi essere individuati di volta in volta in ragione della loro rilevanza per l'acquisizione definitiva del provento del delitto» (Cfr. Cass. penale, Sez. II, sentenza n. 7257/2019). Sotto il profilo soggettivo, il dolo è quello generico, consistente nella volontà di compiere le suindicate condotte incriminate e nella consapevolezza della provenienza illecita e delittuosa dell'oggetto materiale. Ovviamente il contenuto del dolo si estende alla volontà di agire in modo da ostacolare l'identificazione della provenienza criminosa dei beni e con la consapevolezza dell'idoneità dell'operazione. L'attuale formulazione, peraltro, ha permesso di superare ogni questione relativa alla necessità che sussista nell'autore della fattispecie la conoscenza del tipo di reato presupposto da cui provengono i beni, le altre utilità e/o il denaro, considerando più che sufficiente la consapevolezza generica della provenienza delittuosa (ZANCHETTI).

Giova segnalare che recente giurisprudenza ha ribadito il principio - già precedentemente affermato per cui il dolo può assumere la forma eventuale allorquando l'agente si rappresenta la concreta possibilità, accettandone il rischio, della provenienza delittuosa del denaro ricevuto ed investito (Cfr. Cass. penale, Sez. V, sent. n. 21925/2018). Quanto alla configurabilità del tentativo di riciclaggio, abbandonata la configurazione di reato a consumazione anticipata deve, dunque, ritenersi astrattamente configurabile. Concludendo la disamina della fattispecie in esame, si noti che nel secondo comma dell'art. 648-bis c.p. è prevista una specifica circostanza aggravante di natura oggettiva che comporta l'aumento della pena (fino ad un terzo), se il fatto è commesso nell'esercizio di un'attività professionale. Al riguardo si è ritenuto che le operazioni di ripulitura del denaro sporco effettuate da esperti del settore bancario integrano l'aggravante del fatto commesso nell'esercizio di un'attività professionale, che, per la sua natura oggettiva, si estende a tutti i concorrenti nel reato (Cfr. Cass. penale, Sez. VI, sentenza n. 43534/2012). Nel caso in cui il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è prevista la pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni, il terzo comma dell'art. 648-bis c.p. prevede, invece, una diminuzione della pena.

2) L'autoriciclaggio: art. 648-ter.1

La legge 15 dicembre 2014, n, 186 - rubricata "Disposizioni in materia di emersione e rientro di capitali detenuti all'estero nonché per il potenziamento della lotta all'evasione fiscale. Disposizioni in materia di autoriciclaggio" - a seguito di un lungo e travagliato iter di riforma, ha introdotto nell'ordinamento il delitto di autoriciclaggio di cui all'art. 648-ter.1 c.p. Attraverso la suddetta scelta normativa il legislatore ha previsto la punibilità del riciclaggio compiuto dal medesimo autore del reato presupposto o dal concorrente nello stesso, segnando, dunque, la strada della definitiva separazione tra il riciclaggio e il delitto presupposto. A tale risultato si è pervenuti non già eliminando la clausola di riserva contenuta nell'art. 648-bis c.p. (rectius: fuori dai casi di concorso di reato […]) quanto piuttosto, introducendo delle condotte che esprimono un disvalore aggiuntivo rispetto a quello rappresentato dal reato presupposto.

Analogamente al reato di cui all'art. 648-bis c.p. anche il delitto di autoriciclaggio si presenta quale fattispecie di reato plurioffensiva che, se da un lato, persegue come fine quello di tutelare il patrimonio e mira ad impedire il consolidamento di beni di provenienza delittuosa in capo all'autore del reato stesso, dall'altro persegue come scopo quello di preservare e garantire l'amministrazione della giustizia, tipizzando operazioni finalizzare ad intralciare e/o impedire l'identificazione della provenienza de delitto dei beni stessi. Il bene giuridico tutelato dalla norma, quindi, non è univoco consistendo, piuttosto, nel tutelare oltre al patrimonio, anche l'amministrazione della giustizia e l'ordine pubblico ed economico. Sulla scorta di quanto testé detto, appare evidente che si tratta di un reato proprio dal momento che soggetto attivo del reato può essere solamente colui che è, altresì, autore del reato presupposto o, comunque, il concorrente nello stesso. Invero, in mancanza di tale qualifica soggettiva, la condotta, ricade nel più grave reato di riciclaggio. Sotto il profilo oggettivo, le condotte tipizzate dalla fattispecie in commento vengono individuate dal legislatore in quelle di impiego, sostituzione, trasferimento in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative dei proventi delittuosi.

Anche in tal caso - similmente a quanto operato con riferimento al reato di riciclaggio - è d'uopo, ai fini di una maggiore comprensione della fattispecie delittuosa in commento, procedere alla disamina di cosa abbia inteso il legislatore con le condotte ivi previste. Anzitutto, per impiego deve intendersi qualsiasi forma di inserimento di utilità provenienti dalla commissione di un delitto all'interno di circuiti economici e finanziari legali; mentre le condotte di sostituzione e trasferimento sono analoghe a quelle previste per l'integrazione del delitto di riciclaggio. Tutte le suddette estrinsecazioni del reato (rectius: condotte) devono essere rivolte ad ostacolare concretamente l'identificazione della provenienza del denaro, dei beni o delle altre utilità provenienti dalla commissione del delitto presupposto. Quanto detto vale a configurare l'autoriciclaggio quale reato di pericolo concreto, nel senso che occorrerà valutare concretamente l'idoneità della condotta posta in essere dall'agente ad impedire l'identificazione della provenienza delittuosa dei beni. Cosicché al pari di quanto detto con riferimento al delitto di riciclaggio, l'oggetto materiale del reato è costituito dal denaro, beni o altre utilità provenienti dalla commissione di un delitto, che devono essere immesse in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative.

Sotto il profilo soggettivo, poi, anche il delitto di autoriciclaggio è punito a titolo di dolo generico consistente nella consapevolezza della provenienza delittuosa del denaro, beni o altre utilità e nella coscienza e volontà di destinarle ad un impiego nelle attività descritte nella norma incriminatrice. Appare di palmare evidenza come, in tal caso, l'indagine sull'elemento psicologico del reato è fortemente facilitata dal fatto che l'autore dell'autoriciclaggio è colui che ha posto in essere il delitto presupposto o ha concorso nello stesso, essendo necessariamente consapevole dell'origine delittuose delle utilità derivanti dal reato stesso. Sotto il profilo della consumazione, invece, il delitto può definirsi tale nel momento in cui vengono poste in essere le condotte di impiego, sostituzione o trasferimento del denaro, dei beni o delle altre utilità di provenienza delittuosa. Sul punto la recente giurisprudenza ha evidenziato che l'autoriciclaggio è reato che si consuma nel momento in cui l'autore del reato presupposto pone in essere le condotte di impiego, costituzione o trasformazione del denaro o dei beni costituenti oggetto materiale del reato presupposto, concretandosi in una fattispecie essenzialmente istantanea (Cfr. Cass. penale, Sez. II, sentenza n. 38838/2019).

Merita un approfondimento, invece, il co. 4 dell'art. 648-ter.1 il quale esclude la punibilità delle condotte finalizzate alla mera utilizzazione o al godimento personale da parte dell'agente dei beni provenienti dal delitto. Sulla natura della clausola contenuta nel quarto comma del reato in esame, parte della dottrina, ha qualificato siffatta clausola quale clausola delimitativa del tipo, nel senso che la condotta di mero godimento personale sarebbe atipica (MUCCIARELLI); altra parte della dottrina, invece, di diverso orientamento, sostiene che si sia di fronte ad una clausola di non punibilità in senso stretto, dipendente da una scelta di politica criminale operata dal legislatore, che "privilegia l'edonismo e condanna come riprovevole l'attività produttiva" (SGUBBI). Infine, un terzo orientamento ha definito la clausola di cui al quarto comma alternativamente come esimente e causa oggettiva di esclusione del tipo (TROYER - CAVALLINI).

Un ulteriore aspetto che ha investito la dottrina riguarda, invece, il significato che il legislatore ha inteso attribuire al godimento e utilizzazione personale. Anche sul punto, autorevole dottrina (MUCCIARELLI), ha affermato che l'utilizzazione va riferita ai beni mobili (nella specie denaro e altre utilità), mentre il godimento ai beni immobili o ai beni ad essi equiparati. Sotto il profilo delle manifestazioni del reato, giova segnalare che l'art. 648-ter.1 co. 2 prevede una diminuzione di pena allorquando il denaro, i beni o le altre utilità provengano da un delitto non colposo punito con la reclusione inferiore nel massimo a cinque anni, configurando così, per taluni, un'ipotesi di circostanza attenuante (GULLO) e non una figura autonoma di reato come sostenuto da altri (TROYER-CAVALLINI). Tuttavia, nell'ipotesi in cui il denaro, i beni o le altre utilità provengano da un delitto commesso con metodo mafioso o da un delitto volto agevolare un'associazione mafiosa, si applicheranno comunque le pene previste nel co. 1. E' invece, previsto un aumento di pena, a titolo di circostanza aggravante, nel caso in cui i fatti siano commessi nell'esercizio di un'attività bancaria, finanziaria o di altra attività professionale (co.5). Infine, l'ultimo comma, prevede una diminuzione di pena per chi si sia efficacemente adoperato per evitare che le condotte siano portate a conseguenze ulteriori o per assicurare le prove del reato e l'individuazione del denaro, dei beni o delle altre utilità provenienti da delitto, riproducendosi lo schema del premio per la collaborazione già previsto per il delitti di sequestro di persona di cui all'art. 630.

3) Il 'discrimen' tra il reato di riciclaggio e di autoriciclaggio

Alla luce della disamina testé operata in ordine ai reati di cui agli artt. 648-bis e 648-ter.1 c.p. preme, in tal sede, evidenziare come la scelta operata dal legislatore di procedere alla tipizzazione di un'autonoma fattispecie di reato quale quella dell'autoriciclaggio abbia creato non pochi interrogativi tanto da indurre la stessa dottrina a rilevarne gli effetti (SGUBBI).

In realtà, benché le due fattispecie si presentino come attigue, presentano notevoli elementi di differenziazione sotto altrettanti molteplici profili. Anzitutto, la prima differenza tra riciclaggio e autoriciclaggio la si scorge sotto il profilo del soggetto attivo. E, infatti, mentre con riferimento all'ipotesi di cui all'art. 648-bis c.p. risulta essere indispensabile la presenza di un soggetto terzo - cosiddetto 'riciclatore' - che si adoperi affinché il denaro, i beni o le altre utilità provenienti da un altro reato, venga immesso nel circuito economico legale attraverso operazioni finanziarie o commerciali, contrariamente, la fattispecie di autoriciclaggio di cui all'art. 648-ter.1 c.p., presuppone la predisposizione della condotta incriminata da parte di colui che ha, invece, perpetrato il delitto presupposto.

Ulteriori diversificazioni si ravvisano, poi, sotto il profilo oggettivo dal momento che l'art. 648-ter.1 c.p. descrive la condotta in modo parzialmente difforme rispetto a quella di cui all'art. 648-bis c.p. Più in particolare, nella fattispecie di cui all'art. 648-bis c.p., diversamente da quanto previsto nell'art. 648-ter.1 c.p., non vi è menzione del "concreto ostacolo" tant'è che, diversamente da quanto previsto in tema di riciclaggio, ai fini della configurabilità del delitto di autoriciclaggio è necessario che la condotta penalmente rilevante abbia la specifica idoneità a costituire ostacolo concreto ed effettivo all'individuazione della provenienza del bene da un reato, non assumendo nessun rilievo penalmente rilevante ai fini della sua configurazione la condotta sprovvista di tale specifica idoneità. Giova, inoltre, evidenziare che nell'art. 648-ter.1 le condotte tipiche vengono ricomprese all'interno di un numero anche solo apparentemente chiuso (SGUBBI), mentre nel reato di riciclaggio si punisce colui che «sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo, ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni», prevedendo perciò una formula di chiusura volta a ricomprendere ogni modalità dell'azione tale da ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa del bene.

Invero, la questione relativa alla configurabilità del novello delitto di autoriciclaggio in relazione alla diversa, benché confinante, fattispecie di riciclaggio è stata affrontata, anche di recente, dalla giurisprudenza di legittimità la quale ha avuto modo di precisare che «l'autoriciclaggio si distingue dall'art. 648-bis sia perché nel riciclaggio sono puniti anche i comportamenti diversi dalla sostituzione e dal trasferimento ("altre operazioni") che ostacolano la rintracciabilità del provento, sia perché nell'autoriciclaggio le condotte di laundering devono risolversi in un impiego in attività economiche e finanziarie, e rivelarsi "autenticamente frappositive, idonee a recare concreto ostacolo alla identificazione del provento Illecito"» - aggiungendo, inoltre, che - «[…] le condotte di autoriciclaggio non contemplano quelle operazioni - distinte dalla sostituzione e dal trasferimento in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative - che siano tali da frapporre ostacoli all'identificazione di denaro e beni di provenienza illecita. Operazioni che rientrano invece nella fattispecie di riciclaggio […] perché tesa ad ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa» (Cfr. Cass. Pen., Sez. II, Sentenza 11 luglio 2019 n. 41686).

Ulteriore linea di confine tra le fattispecie in esame, è ravvisabile sotto il profilo delle circostanze del reato, giacché solamente nel reato di autoriciclaggio la rilevanza penale della condotta viene esclusa allorquando il denaro, i beni e le altre utilità vengano destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale. Peraltro, diversamente dal reato di riciclaggio, il delitto di autoriciclaggio è aggravato allorché l'azione delittuosa sia commessa nell'esercizio di un'attività bancaria o finanziaria o di altra attività professionale.

Appare di palmare evidenza che la scelta predisposta dal legislatore italiano abbia di fatto messo in crisi la coerenza del sistema soprattutto se si ha riguardo di quello che è il bene giuridico tutelato dalle due norme a confronto ma, soprattutto, il diverso trattamento sanzionatorio. Come dettagliatamente esposto, l'autoriciclaggio, al pari del riciclaggio, offende in via principale i beni giuridici del patrimonio - in virtù della sua sistemazione codicistica - e dell'amministrazione della giustizia - giacché trattasi di reato a pericolo concreto per l'identificazione della provenienza delittuosa (MUCCIARELLI) - tuttavia, da questo si differenzia principalmente per il minor disvalore (a cui corrisponde una pena inferiore) da individuarsi nel post factum volto a garantire all'agente il denaro o l'utilità. Nell'autoriciclaggio il successivo reimpiego di denaro corrisponde alla volontà di assicurare il profitto del reato presupposto, di modo che deve individuarsi un unico disegno criminoso sotteso ai due reati. Tale lettura trova conferma nei lavori parlamentari e, nella specie, nel Dossier del Servizio Studi sull'A.S. n. 178 - novembre 2014 da cui si evince che l'insussistenza di una previsione dell'autoriciclaggio quale reato, fino alla legge n. 186/2014, derivava proprio dall'assunto secondo cui «l'utilizzazione di beni di provenienza illecita, da parte degli stessi che hanno partecipato alla realizzazione del reato presupposto, sarebbe di per sé già punita nel momento in cui viene punita la condotta dalla quale è scaturito l'arricchimento». Detto in temrini differenti, quindi, ciò che prima escludeva la tipicità penale, oggi, in realtà, determina un trattamento sanzionatorio più lieve rispetto alla condotta di riciclaggio lasciando aperti notevoli dubbi interpretativi.

4) Il contributo dell'extraneus alla condotta di autoriciclaggio

Tra i più importanti profili problematici della fattispecie, oggetto di vivaci e controversi dibattiti dottrinali e giurisprudenziali, vi rientra sicuramente la delicata questione della necessaria distinzione del titolo di reato per l'extraneus che concorra nella condotta di "riciclaggio" posta in essere da colui che ha concorso nel reato presupposto. Qualificare la condotta dell'extraneus nella fattispecie del 648-bis ovvero, in virtù dell'applicazione alternativa degli articoli 110 o 117 c.p., in quella del 648-ter.1, costituisce problema di non poco conto, soprattutto per il differente trattamento sanzionatorio previsto dalle due ipotesi criminose, significativamente più mite per il reato di autoriciclaggio.

Sul punto si sono confrontati diverse interpretazioni dottrinarie. Un primo indirizzo dottrinale (MUCCIARELLI) sostiene l'insussistenza del concorso nel reato di autoriciclaggio nell'ipotesi di un soggetto che, non avendo preso parte al reato presupposto, contribuisca alla realizzazione del reato di autoriciclaggio. Il fulcro di siffatto indirizzo è rappresentato dall'esatta delimitazione degli artt. 648-bis, 648-ter e 648-ter.1 c.p. nonché del loro vicendevole atteggiarsi. Partendo dall'assunto per cui, come detto, il reato di autoriciclaggio viene individuato quale reato proprio (di mano propria), giacché fattispecie configurabile solamente dal soggetto che ha commesso o che ha concorso nel reato presupposto, appare evidente - secondo i sostenitori di tale indirizzo - che la nuova incriminazione (648-ter.1 c.p.) sia diretta conseguenza del venir meno del privilegio dell'autoriciclaggio che, precedentemente all'introduzione della norma ad opera della l. n. 186/2014, trovava la sua radice nelle clausole di riserva di cui agli artt. 648-bis e 648-ter c.p. Ciò circoscrive la nuova fattispecie pervenendo, così, alla conclusione per cui il soggetto che pur non partecipato al delitto presupposto fornisce un contributo causale all'autoriciclatore risponderà del reato di riciclaggio o di impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita e non già di concorso nel reato proprio di autoriciclaggio ex art. 648-ter.1 c.p. Di talché, al fine della configurazione del concorso nel delitto di autoriciclaggio, è necessario anche aver partecipato (rectius: concorso) nella commissione e integrazione del delitto presupposto. Giova peraltro evidenziare che, sulla scorta dell'indirizzo in questione, non parrebbe presumibile una condotta penalmente rilevante ai sensi dell'art. 648-ter.1 c.p. nell'ipotesi in cui l'intraneus si limiti ad istigare il terzo che poi si adoperi a ripulire materialmente il denaro; sicché, se l'autoriciclaggio è reato proprio di mano propria, ciò vuol dire che le condotte tipizzate possono essere poste in essere soltanto dall'intraneus. Nell'anzidetta supposizione, quindi, si avrà una condotta di riciclaggio posta in essere dall'extraneus e un contributo atipico da parte dell'intraneus il quale non potrà concorrere nel reato di riciclaggio in virtù della clausola di salvaguardia ("fuori dai casi di concorso […]") dalla medesima prevista.

In senso contrario, altra parte della dottrina (TROYER - CAVALLINI), facendo leva sulla portata applicativa generale delle norme sul concorso di persone del reato, ritiene configurabile anche il concorso nell'autoriciclaggio, sulla scorta del combinato disposto tra gli articoli 110 e 648-ter.1. c.p. o sulla scorta del combinato disposto di cui all'art. 117 e 648-ter.1. c.p. nell'ipotesi di consapevolezza della qualifica dell'intraneus. Alla base di tale ulteriore indirizzo vi sono una serie di considerazioni. Anzitutto, la qualificazione del reato di autoriciclaggio quale reato proprio, per cui affinché il terzo riciclatore possa provvedere a ripulire il provento illecito deve, quanto meno, esservi un contributo morale da parte di colui che è autore del reato presupposto. Sulla base di quanto testé affermato, tanto la giurisprudenza (Cfr. Cass. penale, Sez. VI, 25 gennaio 2013, n. 21192, in CED. Cass., n. 255365) quanto la dottrina maggioritaria (MANTOVANI-ROMANO-GRASSO) ritengono che la qualifica nei reati propri (di propria mano) renda di per sé applicabile il reato proprio per tutti i concorrenti, a prescindere che l'intraneus ponga in essere la condotta materiale o dia un contributo causalmente efficiente alla commissione del reato (TROYER - CAVALLINI) giacché i reati propri di mano propria per loro natura non possono essere realizzati per "interposta persona". Sulla scorta di tali premesse, siffatto orientamento dottrinale, giunge ad affermare che si deve estendere il minor trattamento sanzionatorio a coloro che prima rispondevano di riciclaggio, giacché sarà il terzo estraneus a rispondere a titolo di riciclaggio o di reimpiego essendo lui a realizzare compiutamente l'illecito e non anche l'autore o anche il concorrente del reato presupposto, non punibile in forza della clausola di sussidiarietà.

Diversamente, un ulteriore orientamento (DELL'OSSO), sposta la questione dal piano del concorso di persone a quello del concorso apparente di norme, ritenendo che, nell'ipotesi in cui l'extraneus tenga materialmente la condotta di riciclaggio, su istigazione dell'intraneus, integrerà non solo l'autonomo reato di riciclaggio ex art. 648-bis c.p., ma anche il concorso nel diverso titolo di reato di autoriciclaggio, ex artt. 110 e 648-ter.1 con prevalenza del reato più grave di riciclaggio. Ne consegue che attraverso il concorso di persone nel reato si incrimina il contributo atipico dell'intraneo e per il tramite del concorso apparente di norme si indirizza la condotta dell'estraneo verso il reato di cui all'art. 648-bis c.p., risolvendo - benché taluno ne dissenta (RUGANI) - tutti gli inconvenienti di un "beneficio abusivo".

Il punto nodale della questione è quello di verificare se la partecipazione alla vicenda criminosa del soggetto qualificato - e quindi dell'autoriciclatore - possa determinare un mutamento del titolo di reato valevole per tutti i compartecipi, in forza delle regole generali normalmente applicate nella materia del concorso di persone nel reato proprio (MUCCIARELLI). La conseguenza sarebbe quella di estendere anche ai terzi il meno grave delitto di autoriciclaggio, sia nelle ipotesi in cui questi compiano in prima persona l'operazione illecita, sia qualora contribuiscano alla realizzazione della condotta tipica da parte dell'autore del reato presupposto (BRUNELLI).

Sulla controversa questione concernente la corretta collocazione criminosa della condotta del concorrente nel reato di riciclaggio commesso con l'intraneus autore del reato presupposto è intervenuta, di recente, la Suprema Corte di Cassazione con sentenza n. 17235 del 2018. La vicenda prende avvio dalla decisione della Corte d'appello di Napoli di confermare la responsabilità di una donna - imputata per il reato di riciclaggio - la quale aveva posto in essere una serie di operazioni commerciali, finanziarie e societarie, attraverso le quali aveva fatto rientrare in Italia ingenti somme (di illecita provenienza detenute all'estero da terzi soggetti, avvalendosi della normativa del c.d. scudo fiscale), e le aveva utilizzate poi per l'acquisto di una s.r.l. proprietaria di vari appartamenti.

La donna ricorreva in Cassazione, denunciando erronea applicazione degli artt. 2 comma 1 - 157 - 110, 648-ter.1, commi 2 e 3, c.p., nella parte in cui la Corte d'appello non aveva riqualificato i fatti accertati come concorso nel nuovo delitto di autoriciclaggio e non aveva, per l'effetto, dichiarato l'insussistenza del fatto per non essere state impiegate le somme in attività economiche o finanziarie, ovvero che il fatto non era previsto come reato nel momento in cui è stato commesso, ovvero, infine, l'avvenuta estinzione del reato per prescrizione.

I giudici di legittimità - "aggrappandosi" con forza alla ratio dell'intervento legislativo, che è appunto quella di colmare una lacuna dell'ordinamento non certo quella di fare un "favore" agli "eteroriciclatori" (BRUNELLI) - dopo aver dato atto e ripercorso le posizioni assunte dalla dottrina (di cui supra) sul punto, sono pervenuti alla soluzione tramite un'interpretazione sistematica e teleologica della norma rimarcando, anzitutto, la ratio della novella ovvero la volontà di punire le condotte dell'autoriciclatore e non di attenuare le pene per il riciclatore già punito ex art. 648-bis. Più nel dettaglio, partendo da tale assunto, il Supremo Consesso, ha evidenziato il tendenziale riferimento, della novella fattispecie, all'intraneus residuando, perciò, per il terzo extraneus il delitto di cui all'art.648-bis. Di conseguenza, il Collegio ha concluso che il soggetto il quale, non avendo concorso nel delitto-presupposto non colposo, ponga in essere la condotta tipica di autoriciclaggio, o comunque dia un contributo alla realizzazione da parte dell'intraneus delle condotte tipizzate dall'art. 648-ter.1 c.p., debba rispondere di riciclaggio e non già di concorso in autoriciclaggio.

A sostegno di tale tesi, la Corte, evidenzia come la diversificazione dei titoli di reato a fronte di condotte latu sensu concorrenti non costituisce una novità assoluta dell'ordinamento italiano vigente, che ricorre a tale soluzione in casi di realizzazione plurisoggettiva di fattispecie a soggettività ristretta, riportando gli esempi della procurata evasione, del concorso nel delitto di infanticidio e nel delitto di interruzione volontaria della gravidanza di cui all'art. 19, L. n. 194 del 1978, ipotesi nelle quali, per l'appunto, l'ordinamento opta chiaramente per una differenziazione delle responsabilità concorsuali.

E' proprio sulla scorta di siffatte argomentazioni che la Corte perviene, dunque, alla conclusione per cui l'art. 648-ter.1 c.p. prevede e punisce come reato solamente quelle condotte poste in essere dal soggetto che abbia commesso o concorso a commettere il delitto colposo-presupposto, che prima della novella fattispecie non erano né previste né punite come reato. Logica conseguenza del ragionamento del Collegio è che la previsione di un trattamento sanzionatorio più mite per il delitto di autoriciclaggio trova la sua ratio giustificatrice esclusivamente nella considerazione del minor disvalore sotteso alla condotta incriminata, posta in essere non già da un extraneus quanto dal responsabile del reato presupposto, il quale dopo aver conseguito la disponibilità di beni, denaro ed altre utilità abbia inteso giovarsene, adoperando modi oggi vietati dalla predetta norma incriminatrice, risultando perciò responsabile di almeno due delitti, quello colposo presupposto e quello di autoriciclaggio, non necessariamente in concorso.

Detto in termini differenti, a diversificarsi è, quindi, il giudizio di colpevolezza, evidenzia la Corte, che deve guidare l'interprete nel dirimere la controversia interpretativa in oggetto: se, da un lato, il trattamento meno grave a livello di sanzione previsto dall'articolo 648-ter.1 si giustifica per la posizione peculiare dell'intraneus, responsabile - come detto - sia del reato presupposto che di quello di autoriciclaggio, dall'altro, non vi sarebbe giustificazione perché possa trarne beneficio anche l'extraneus, la cui posizione non può mutare a seguito della novella del 2014, ma deve essere ricondotta comunque alla fattispecie di cui all'articolo 648-bis. In conclusione - ribadisce la Suprema Corte - la novità normativa risiede proprio nell'intento del legislatore di punire un concorrente del reato ovverosia "l'intraneus" autore di comportamenti riconducibili al reato di riciclaggio che, prima dell'introduzione del reato di autoriciclaggio, non era punibile.

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