Per il Consiglio di Stato, la Regione non può per motivi di spesa imporre limiti solo a chi desidera accedere alla procreazione assistita eterologa

Limiti di accesso eterologa: 3 cicli per donne fino a 43 anni

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Il Consiglio di Stato con la sentenza n. 7343/2020 (sotto allegata) chiarisce che la Regione non può imporre limiti solo alle coppie che desiderano accedere alla fecondazione assistita di tipo eterologo, anche se più costosa rispetto alla omologa perché così facendo viola il diritti alla salute e all'uguaglianza sanciti dalla Costituzione. Chiarimento che si è reso necessario al termine della vicenda processuale che segue.

In prime cure una coppia affetta da sterilità e infertilità assolute e irreversibili, che ha manifestato la volontà di ricorrere alla procreazione assistita di tipo eterologo a carico della sanità regionale, impugna una Delibera Regionale che, in via transitoria, fino all'approvazione delle tariffe nazionali per la procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, conferma i limiti di accesso contenuti in un documento approvato dalla Conferenza Regioni e Province: 43 anni di età e 3 cicli di trattamento. Il Tar Lombardia accoglie il ricorso perché prevedere discipline differenziate per la procreazione eterologa rispetto all'omologa risulta lesivo del principio di uguaglianza oltre ad essere irrazionale perché non suffragato da valide ragioni scientifiche.

Accesso differenziato eterologa - omologa motivato da ragioni di spesa

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Parte avversa impugna in appello la decisione perché il trattamento differenziato è supportato da studi scientifici che dimostrano la maggiore difficoltà per una donna di età superiore ai 43 anni di ottenere risultati positivi. Per quanto riguarda invece il limite dei 3 trattamenti a carico del SSR l'appellante precisa che è stabilito dalle linee guida dettate dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome. La decisione del giudice di prime cure ha inoltre trascurato le differenze tra le due tecniche, che giustificano la distinta disciplina prevista per l'eterologa, più costosa per la PA rispetto all'omologa.

La Regione non può imporre limiti solo all'eterologa

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Il Consiglio di Stato però con la sentenza n. 7343/2020 rigetta l'appello perché infondato. Prima però descrive brevemente il quadro normativo della materia:

  • l'art. 4 comma 3 della legge n. 40/2004 vietava la fecondazione con gameti estranei alla coppia;
  • la Corte Costituzionale con la sentenza n. 162/2014 ha fatto venire meno il divieto della fecondazione "eterologa" perché è "il risultato di un irragionevole bilanciamento degli interessi in gioco, in ragione anche del canone di razionalità dell'ordinamento."
  • Dopo la sentenza della Corte Costituzionale, in assenza di un intervento statale in materia, la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome si è preoccupata di colmare il vuoto legislativo in materia fornendo indirizzi operativi e indicazioni cliniche omogenee con l'approvazione del "Documento sulle problematiche relative alla fecondazione assistita eterologa dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 162/2014." Il Documento, nella parte in cui fissa i requisiti richiesti per intraprendere un percorso di procreazione assistita eterologa prevede che: "La metodica di PMA eterologa è eseguibile unicamente qualora sia accertata e certificata una patologia che sia causa irreversibile di sterilità o infertilità. Possono far ricorso alla PMA di tipo eterologo coniugi o conviventi di sesso diverso, maggiorenni, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi (art 5. legge 40 /2004). Deve ritenersi applicabile anche per la PMA eterologa il limite di età indicato nella previsione contenuta nell'art. 4 L. 40/04 secondo la quale può ricorrere alla tecnica la donna "in età potenzialmente fertile (…) su suggerimento delle Società Scientifiche, si sconsiglia comunque la pratica eterologa su donne di età >50 anni per l' alta incidenza di complicanze ostetriche." Nella parte del documento dedicato alla fattibilità finanziaria delle procedure la Conferenza stabilisce per l'omologa a spese del servizio sanitario regionale i seguenti requisiti: "l'età della donna (fino al compimento del 43 anno) ed il numero di cicli che possono essere effettuati nelle strutture sanitarie pubbliche massimo 3), e propone gli stessi criteri d'accesso anche per la PMA eterologa."
  • La circolare del Ministero della Salute n. 35643 del 06/11/1943 ha poi chiarito che "l'erogazione delle prestazioni di PMA incluse nel nomenclatore dell'assistenza specialistica ambulatoriale è subordinata all'approvazione del decreto di fissazione delle relative tariffe" e che "fino a quella data restano in vigore le disposizioni approvate dalle singole Regioni".

Da qui la delibera regionale impugnata dalla coppia la quale prevede: "riguardo al numero di cicli di PMA di tipo eterologo ed età della donna: massimo 3 cicli effettuati nelle strutture sanitarie pubbliche; fino al compimento del 43° anno". Delibera che non ha tenuto conto del fatto che il documento della Conferenza delle Regioni ha stabilito come soglia di età controindicata per la eterologa quella di 50 anni, non di 43. La Società scientifica infatti sconsiglia la pratica dell'eterologa su donne di età superiore ai 50 anni perché più a rischio di complicanze ostetriche.

I limiti dei 43 anni e dei 3 cicli di trattamento stabiliti dalla Conferenza sono indicati in effetti nello stesso documento della Conferenza, ma nella parte che analizza la fattibilità e gli aspetti finanziari dell'omologa e dell'eterologa. Disposizioni che per il Consiglio hanno natura meramente programmatica. Indubbio che i rischi legati alla gravidanza aumentino con l'età, vero però che non è stato dimostrato che il limite dei 43 anni rappresenta la soglia limite oltre la quale le tecniche di procreazione assistita perdono di efficacia.

Alla luce delle suddette considerazioni il Consiglio mette quindi in evidenza come "fatta salva la discrezionalità dell'Amministrazione, le scelte operate devono comunque fondarsi su un criterio discretivo contraddistinto da intrinseca coerenza logica." Nel caso di specie questo non è accaduto perché nel distinguere il regime di accesso per l'eterologa rispetto all'omologa, lo studio di fattibilità richiamato dall'appellante non risulta idoneo a giustificare tale diversità di trattamento. Esso costituisce più che altro uno strumento utile alla gestione della spesa e all'organizzazione del servizio, che però non dettaglia le ragioni della maggiore difficoltà al mantenimento degli equilibri di bilancio regionali.

Ne consegue che un richiamo generico alla necessità di contenere la spese non basta a introdurre rigidi limiti di accesso per chi desidera accedere all'eterologa, perché così facendo si introduce una disparità di trattamento tra fattispecie complementari.

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Foto: 123rf
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