Riflessioni sulla valutazione prognostica nel danno da ritardo alla luce della sentenza n. 6755/2020 della III Sezione del Consiglio di Stato

Il giudizio prognostico nella giurisprudenza del Consiglio di Stato

Il Consiglio di Stato ha più volte ribadito, con le proprie pronunce, i principi che regolano il risarcimento del danno in caso di lesione di interessi legittimi da parte della PA. Il presupposto essenziale della responsabilità della pubblica amministrazione è l'ingiustizia del danno, che consiste nella lesione dell'interesse materiale del privato (ex multis, Consiglio di Stato, Sezione IV, sentenza numero 3657 del 14 giugno 2018). A partire dalla storica sentenza

numero 500 del 1999 delle Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione, si è statuito che il risarcimento del danno da lesione dell'interesse legittimo consegua all'attività illegittima della pubblica amministrazione che abbia determinato la lesione del bene della vita al quale detto interesse si collega e che risulta meritevole di protezione da parte dell'ordinamento. L'interesse pretensivo risulta pertanto risarcibile se e solo se, sulla base di un giudizio prognostico ex ante, eliminando mentalmente dalla successione degli eventi il comportamento illegittimo della pubblica amministrazione, il bene della vita sarebbe stato ottenuto dal privato. Il giudizio prognostico sulla spettanza del bene della vita si presenta quindi come un'applicazione particolare dei principi generali in tema di nesso di causalità: lo scopo di tale valutazione è quello di stabilire che cosa sarebbe accaduto se il fatto antigiuridico non si fosse prodotto, ossia, in altri termini, se l'amministrazione avesse agito correttamente.

Causalità materiale e causalità giuridica

Anche nel processo amministrativo, in sede di esame della domanda di risarcimento dei danni per lesione di interessi legittimi, trova applicazione la distinzione tra causalità materiale o di fatto e causalità giuridica. La causalità materiale è regolata dagli articoli 40 e 41 del Codice Penale ed è interna al fatto: essa serve ad imputare al responsabile l'evento lesivo. La causalità giuridica, invece, è regolata dall'articolo 1223 del codice civile ed è esterna al fatto: la sua funzione è quella di stabilire l'entità delle conseguenze pregiudizievoli del fatto che si traducono in danno risarcibile. L'accertamento della causalità giuridica presuppone già risolto il problema della causalità materiale, ossia dell'imputazione dell'evento lesivo, e concerne la determinazione del danno da porre a fondamento del calcolo del danno risarcibile (Consiglio di Stato, Sezione VI, sentenza

9 giugno 2008 numero 2751). La causalità materiale è disciplinata agli articoli 40 e 41 del Codice Penale: l'articolo 40 disciplina il rapporto di causalità, disponendo al comma 1 che nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l'evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l'esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione mentre, al comma 2, precisa che non impedire un evento che si ha l'obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo. L'articolo 41 invece disciplina il concorso di cause: il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall'azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra l'azione od omissione e l'evento. Le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità quando sono state da sole sufficienti a determinare l'evento. In tal caso, se l'azione o l'omissione precedentemente commessa costituisce di per sé un reato, si applica la pena per questo stabilità. Le disposizioni precedenti si applicano anche quando la causa preesistente o simultanea o sopravvenuta consiste nel fatto illecito altrui.

Il Consiglio di Stato, in sede di accertamento del nesso eziologico, ha prediletto la teoria della causalità adeguata ed ha applicato i principi enunciati dalle Sezioni Unite con sentenza numero 30328/2002 (Franzese): la valutazione che tende a stabilire la sussistenza o meno del nesso causale può tener conto non solo dei calcoli probabilistici ma anche delle regole di esperienza o delle leggi scientifiche, ma deve verificare concretamente se il compimento dell'azione doverosa avrebbe evitato il verificarsi dell'evento lesivo o, nel caso in cui lo stesso si fosse comunque verificato, sarebbe avvenuto in un'epoca posteriore e con una minore intensità lesiva.

Per quanto riguarda la causalità giuridica, il codice civile, agli articoli 1223 e 2043, limita il risarcimento del danno alle sole conseguenze immediate e dirette della condotta illecita.

La giurisprudenza, tuttavia, ha accolto anche la causalità indiretta e mediata, postulando un doppio nesso causale tra condotta ed evento e tra evento ed ulteriori conseguenze dannose, secondo il principio della conditio sine qua non senza però definire fino a quale punto si debba assoggettare il debitore inadempiente al risarcimento dei danni cagionati dalla sua condotta.


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