Vademecum per orientarsi tra le cause di non punibilità e le cause di non imputabilità previste dal codice penale

Cause di esclusione della colpevolezza (c.d. "scusanti")

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Le cause di esclusione della colpevolezza o "scusanti", pur senza incidere sull'antigiuridicità del fatto che costituisce il reato, escludono la punibilità dell'agente poiché comportano il venir meno della colpevolezza, per tale intendendosi, in via generale, il complesso degli elementi soggettivi sui quali si fonda la responsabilità penale.
Più precisamente, alcune scusanti incidono sulla suitas, altre sull'elemento psicologico del reato (dolo, preterintenzione, colpa).
Prima di entrare nel merito della trattazione, è bene soffermarsi sul concetto di suitas di cui all' art. 42, comma 1 c.p., ai sensi del quale "Nessuno può essere punito per una azione od omissione preveduta dalla legge come reato, se non l' ha commessa con coscienza e volontà".
Orbene, coscienza e volontà sono i requisiti minimi affinché una determinata condotta illecita possa ritenersi propria del soggetto che l'ha tenuta (di qui la "suità").
Ciò significa che detta condotta illecita, ancor prima che dolosa, preterintenzionale o colposa, deve essere "umana" e cioè rientrare nella signoria dell'agente.
Attuata tale indispensabile premessa, è possibile analizzare le singole scusanti.

Le scusanti che incidono sulla suitas

Incidono sulla suitas:
- la forza maggiore, ovverosia ogni forza esterna contro la quale il soggetto non può resistere e che lo determina, contro la sua volontà ed in modo inevitabile, a tenere una certa condotta.
Ai sensi dell' art. 45 c.p. "Non è punibile chi ha commesso il fatto […] per forza maggiore";

- il costringimento fisico di cui all' art. 46, comma 1 c.p., in base al quale "Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato da altri costretto, mediante violenza fisica, alla quale non poteva resistere o comunque sottrarsi"; il comma 2 precisa che "In tal caso, del fatto commesso dalla persona costretta risponde l' autore della violenza".

Le scusanti che incidono sull'elemento psicologico del reato

Incidono sull'elemento psicologico del reato:
- il caso fortuito, ovverosia un avvenimento imprevisto ed imprevedibile che si inserisce improvvisamente nella condotta dell'agente e che non può farsi risalire all'attività psichica dello stesso, neppure a titolo di colpa.
Ai sensi del già citato art. 45 c.p. "Non è punibile chi ha commesso il fatto per caso fortuito";
- l'errore, per tale intendendosi una falsa rappresentazione della realtà normativa (errore di diritto) o materiale (errore di fatto) che condiziona il processo formativo dell'elemento psicologico del reato; si tenga presente che, all'errore è equiparata l'ignoranza.
In primo luogo, si richiama l'art. 5 c.p., ai sensi del quale "Nessuno può invocare a propria scusa l' ignoranza della legge penale".

L'intervento della Consulta

Ebbene, il principio generale ignorantia legis non excusat è stato mitigato dalla Sentenza n. 364/1988 della Consulta, la quale ha dichiarato l' illegittimità costituzionale della norma in esame nella misura in cui non si esclude dall'inescusabilità l'ignoranza non evitabile.
In altre parole, la Corte Costituzionale ha riconosciuto l'efficacia scusante dell'errore inevitabile sulla legge penale.
In secondo luogo, si richiama l' art. 47 c.p., il cui comma 1 così recita "L' errore sul fatto che costituisce il reato esclude la punibilità dell'agente. Nondimeno, se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa, quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo".
Si pensi, ad esempio, all'ipotesi in cui un soggetto coltivi una pianta ritenendola ornamentale quando, in realtà, è cannabis.
Il comma 2 precisa che "L'errore sul fatto che costituisce un determinato reato non esclude la punibilità per un reato diverso".
Si pensi, ad esempio, all' ipotesi in cui un soggetto, ignorando di possedere la qualifica di incaricato di un pubblico servizio, si appropri di una somma di denaro di cui ha la disponibilità in ragione del suo servizio: egli non risponderà di peculato (art. 314 c.p.), bensì di appropriazione indebita (art. 646 c.p.).
Infine, l'ultimo comma stabilisce che "L'errore su una legge diversa dalla legge penale esclude la punibilità, quando ha cagionato un errore sul fatto che costituisce il reato".
Se, ad esempio, un impiegato erra sul concetto di "altruità della cosa", pensando che un bene mobile presente in ufficio possa essere portato a casa senza problemi, egli incapperà in un errore sulla corretta interpretazione di una norma civilistica, la quale lo ha indotto in un errore sul fatto che costituisce il reato e, pertanto, non sarà punibile per appropriazione indebita.

Cause di giustificazione (c.d. "scriminanti")

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L'antigiuridicità viene meno se una norma diversa da quella incriminatrice, e desumibile dall' intero ordinamento giuridico, facoltizza o impone quel medesimo fatto che costituirebbe il reato: si definiscono cause di giustificazione o "scriminanti" quelle situazioni, normativamente previste, in presenza delle quali viene meno il contrasto tra un fatto conforme ad una fattispecie incriminatrice e l' intero ordinamento giuridico.

Il codice penale contempla le seguenti scriminanti:

- il consenso dell'avente diritto di cui all' art. 50 c.p., ai sensi del quale "Non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto, col consenso della persona che può validamente disporne";

- l'esercizio di un diritto o l' adempimento di un dovere di cui all' art. 51 c.p.

In base al comma 1 della norma in esame, "L' esercizio di un diritto o l' adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica Autorità, esclude la punibilità".

Il comma 2 precisa che "Se un fatto costituente reato è commesso per ordine dell'Autorità, del reato risponde sempre il pubblico ufficiale che ha dato l' ordine".

I commi 3 e 4 stabiliscono, rispettivamente, che "Risponde del reato altresì chi ha eseguito l' ordine, salvo che, per errore di fatto, abbia ritenuto di obbedire ad un ordine legittimo" e "Non è punibile chi esegue l' ordine illegittimo, quando la legge non gli consente alcun sindacato sulla legittimità dell'ordine";

- la legittima difesa di cui all'art. 52 c.p.

In base al comma 1 della norma in esame "Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di un' offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all' offesa".

Il comma 2 introduce il concetto di "legittima difesa domiciliare", precisando che "Nei casi previsti dall'articolo 614, primo e secondo comma, sussiste sempre il rapporto di proporzione di cui al primo comma del presente articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un' arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere:

a) la propria o la altrui incolumità;

b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo d'aggressione".

I commi 3 e 4 stabiliscono, rispettivamente, che "Le disposizioni di cui al secondo e al quarto comma si applicano anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all' interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un' attività commerciale, professionale o imprenditoriale" e "Nei casi di cui al secondo e al terzo comma agisce sempre in stato di legittima difesa colui che compie un atto per respingere l' intrusione posta in essere, con violenza o minaccia di uso di armi o di altri mezzi di coazione fisica, da parte di una o più persone";

- l' uso legittimo delle armi di cui all' art. 53 c.p.

Il comma 1 della norma in esame stabilisce che "Ferme le disposizioni contenute nei due articoli precedenti, non è punibile il pubblico ufficiale che, al fine di adempiere un dovere del proprio ufficio, fa uso ovvero ordina di far uso delle armi o di un altro mezzo di coazione fisica, quando vi è costretto dalla necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza all' Autorità e comunque di impedire la consumazione dei delitti di strage, di naufragio, sommersione, disastro aviatorio, disastro ferroviario, omicidio volontario, rapina a mano armata e sequestro di persona".

Ai sensi del comma 2 "La stessa disposizione si applica a qualsiasi persona che, legalmente richiesta dal pubblico ufficiale, gli presti assistenza".

Infine, in base all' ultimo comma "La legge determina gli altri casi, nei quali è autorizzato l' uso delle armi o di un altro mezzo di coazione fisica";

- lo stato di necessità di cui all' art. 54 c.p.

Il comma 1 della norma in esame stabilisce che "Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo".

Il comma 2 precisa che "Questa disposizione non si applica a chi ha un particolare dovere giuridico di esporsi al pericolo".

Infine, ai sensi dell'ultimo comma "La disposizione della prima parte di questo articolo si applica anche se lo stato di necessità è determinato dall'altrui minaccia; ma, in tal caso, del fatto commesso dalla persona minacciata risponde chi l' ha costretta a commetterlo";

Eccesso colposo

Menzione a parte merita l' eccesso colposo nelle cause di giustificazione, disciplinato dall' art. 55 c.p.

In base al comma 1 della norma in esame "Quando, nel commettere alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 51, 52, 53 e 54, si eccedono colposamente i limiti stabiliti dalla legge o dall'ordine dell'Autorità ovvero imposti dalla necessità, si applicano le disposizioni concernenti i delitti colposi, se il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo".

Il comma 2 precisa che "Nei casi di cui ai commi secondo, terzo e quarto dell'articolo 52, la punibilità è esclusa se chi ha commesso il fatto per la salvaguardia della propria o altrui incolumità ha agito nelle condizioni di cui all' articolo 61, primo comma, n. 5) ovvero in stato di grave turbamento, derivante dalla situazione di pericolo in atto".

A questo proposito, è bene evidenziare che la disposizione testé richiamata così recita "L' avere profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all' età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa".

Cause di non punibilità stricto sensu

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Le cause di non punibilità stricto sensu sono quelle situazioni in cui il legislatore, pur in presenza di un fatto antigiuridico e colpevole, per motivi di opportunità preferisce non applicare la pena.

Si pensi, ad esempio, all' art. 649 c.p., in base al quale non è punibile chi ha commesso un delitto contro il patrimonio in danno:

1) del coniuge non legalmente separato;

1-bis) della parte dell'unione civile tra persone dello stesso sesso;

2) di un ascendente o discendente o di un affine in linea retta, ovvero dell'adottante o dell'adottato;

3) di un fratello o di una sorella che con lui convivano.

Si noti che, la norma in esame non trova applicazione con riguardo ai delitti previsti dagli artt. 628 (rapina), 629 (estorsione) e 630 (sequestro di persona a scopo di estorsione) c.p. nonché ad ogni altro delitto contro il patrimonio che sia commesso con violenza alle persone.

In tal caso, l'obiettivo del legislatore è quello di bilanciare l' interesse alla soppressione di determinati reati con l' esigenza di non intaccare l' unità familiare.

Cause di non imputabilità

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Ai sensi dell'art. 85, comma 1 c.p. "Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato se, al momento in cui lo ha commesso, non era imputabile".

Il comma 2 precisa che "È imputabile chi ha la capacità d'intendere e di volere".

La capacità d' intendere è l' attitudine di un soggetto a rendersi conto della realtà e del valore sociale della propria condotta; la capacità di volere, invece, è l' attitudine di un soggetto a controllare i propri stimoli ed impulsi.

L' espressione "capacità d'intendere e di volere" indica che l' imputabilità comprende entrambe le attitudini: tanto quella d' intendere quanto quella di volere.

Se ne desume che un soggetto può dirsi "non imputabile" quando:

- mancano entrambe;

- ovvero, essendo presente l' una, manca l' altra e viceversa.

Il codice penale contempla le seguenti cause di non imputabilità:

- il vizio totale di mente di cui all' art. 88 c.p., ai sensi del quale "Non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di mente da escludere la capacità d' intendere o di volere".

Il successivo art. 89 c.p. disciplina il vizio parziale di mente, precisando che "Chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di mente da scemare grandemente, senza escluderla, la capacità d' intendere o di volere, risponde del reato commesso; ma la pena è diminuita".

In entrambi i casi il vizio di mente può avere fondamento sia in una causa psichica che in una causa fisica (ad es. uno stato febbrile che provochi delirio); si capisce, dunque, che il vizio parziale di mente si distingue dal vizio totale di mente solo da un punto di vista "quantitativo".

- l'ubriachezza derivata da caso fortuito o forza maggiore di cui all' art. 91 c.p.

In base al comma 1 della norma in esame "Non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva la capacità d' intendere o di volere, a cagione di piena ubriachezza derivata da caso fortuito o da forza maggiore".

Il comma 2 precisa che "Se l' ubriachezza non era piena, ma era tuttavia tale da scemare grandemente, senza escluderla, la capacità d' intendere o di volere, la pena è diminuita".

Si tratta di un' ipotesi di difficile verificazione, di cui si riporta, quale esempio di scuola, quello del soggetto che lavorando in una distilleria si ubriaca a causa dei vapori alcoolici.

- la cronica intossicazione da alcol o da sostanze stupefacenti di cui all' art. 95 c.p., ai sensi del quale "Per i fatti commessi in stato di cronica intossicazione prodotta da alcool ovvero da sostanze stupefacenti, si applicano le disposizioni contenute negli articoli 88 e 89".

A questo proposito, occorre distinguere lo stato di cronica intossicazione determinato dall'uso di alcool o sostanze stupefacenti (art. 95 c.p.) dallo stato di ubriachezza abituale parimenti determinato dall'uso di alcool o sostanze stupefacenti (art. 94 c.p.): mentre nel primo caso è esclusa l' imputabilità, nel secondo la pena è aumentata.

La Corte Costituzionale, con la Sentenza n. 114/1988, ha chiarito che la cronica intossicazione si differenzia dall'ubriachezza abituale in quanto è un dato irreversibile.

In questo caso, infatti, i fenomeni tossici sono stabili, persistendo anche dopo l' eliminazione dell'alcool o della sostanza stupefacente, di conseguenza la capacità del soggetto può essere permanentemente esclusa o grandemente scemata (si pensi, ad esempio, al delirium tremens ovvero alla psicosi alcoolica di Korsakoff). Viceversa, nell'ubriachezza abituale i fenomeni tossici non sono onnipresenti, venendo meno in quegli intervalli di astinenza, durante i quali il soggetto riacquista la capacità d' intendere e di volere.

- il sordomutismo di cui all' art. 96 c.p.

In base al comma 1 "Non è imputabile il sordomuto che, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva, per causa della sua infermità, la capacità d' intendere o di volere".

Il comma 2 precisa che "Se la capacità d' intendere o di volere era grandemente scemata, ma non esclusa, la pena è diminuita".

Va sottolineato che la norma in esame appare alquanto obsoleta; non tiene conto, infatti, delle moderne conoscenze mediche in materia e delle tecniche di recupero funzionale dei sordomuti, i quali sostanzialmente non presentano più delle lacune relative alla percezione del mondo esterno;

- la minore età di cui all' art. 97 c.p.

In particolare, "Non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva compiuto i quattordici anni".

Mentre la norma in esame prevede una presunzione assoluta di incapacità d' intendere e di volere per il minore infraquattordicenne, il successivo art. 98 c.p. stabilisce che, per quanto attiene al minore infradiciottenne, la sussistenza della capacità d' intendere e di volere va valutata caso per caso; ad ogni modo, la pena è diminuita.

Si noti che, nei casi testé menzionati possono essere applicare misure di sicurezza.

In conclusione, è opportuno precisare che la capacità d' intendere e di volere non va confusa con la suitas: un soggetto può essere capace d' intendere e di volere ma, al contempo, agire senza coscienza e volontà (si pensi alle citate ipotesi di forza maggiore e costringimento fisico).


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