Secondo la Cassazione l'accompagnamento deve essere riconosciuto alla richiedente se le condizioni di salute nel tempo peggiorano rispetto a quando la misura è stata revocata

Revoca dell'indennità di accompagnamento

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Con l'ordinanza n. 23752/2020 (sotto allegata) la Cassazione accoglie il ricorso di una donna inabile a cui la Corte d'Appello ha riconosciuto il diritto all'indennità di accompagnamento a partire dal primo gennaio 2016, senza tenere conto del fatto che la precedente revoca della misura risaliva al 2012 e che le condizioni di salute della donna non giustificavano il venir meno della misura. Per comprendere al meglio le ragioni della decisione degli Ermellini però, vediamo meglio cosa è successo.

Il giudice dell'impugnazione, accogliendo parzialmente l'appello di una donna inabile, condanna l'INPS a pagare l'indennità di accompagnamento alla richiedente con decorrenza dal primo gennaio 2016, facendo proprie le conclusioni del Ctu, che ha rilevato la totale inabilità e capacità di deambulare, con grave pregiudizio dello svolgimento delle normali attività quotidiane. La misura, prima riconosciuta, era stata infatti revocata dal 2012.

L'indennità di accompagnamento deve essere ripristinata dalla revoca

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Ricorre in Cassazione l'inabile facendo presente che:

  • con sentenza del 2008 il Tribunale le aveva riconosciuto il diritto alla pensione di invalidità a partire dal novembre 2005 e l'indennità di accompagnamento dall'aprile 2006;
  • dopo una visita Inps del 2011 l'Istituto le revocava la misura disposta in suo favore;
  • il ricorso finalizzato a ottenere nuovamente l'indennità di accompagnamento
    a partire dalla revoca veniva dal giudice di primo grado;
  • la Corte d'Appello, riformando la decisione di primo grado, le riconosceva l'indennità richiesta;
  • l'indennità di accompagnamento le era stata concessa con sentenza passata in giudicato, che quindi si estende alla "valutazione del carattere invalidante delle patologie accertate in corso di causa e ritenute rilevanti ai fini della prestazione";
  • la sentenza di appello impugnata, pur riconoscendo un progressivo aggravamento, ha deciso contraddittoriamente di riconoscerle l'indennità a partire dal 1 gennaio 2016 e non dalla revoca della misura.

Revoca dell'indennità di accompagnamento solo se lo stato di salute migliora

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La Cassazione con l'ordinanza n. 23752/2020 accoglie il ricorso della ricorrente perché fondato, ribadendo come la stessa più volte abbia affermato che "nell'ipotesi in cui il diritto (alla pensione o) all'assegno di invalidità sia stato riconosciuto con sentenza passata in giudicato ed il trattamento previdenziale sia stato poi soppresso dall'INPS, la sentenza che accerta il diritto all'assegno ordinario assume efficacia vincolante per non potere la situazione accertata essere messa più in discussione ove permangano immutati gli elementi di fatto e di diritto preesistenti. Ne consegue che allorquando si discuta intorno alla legittimità delle revoca dell'assegno disposta dall'INPS deve raffrontarsi la situazione esistente all'epoca del precedente accertamento giudiziale con quella ricorrente al momento della revoca stessa, per verificare se effettivamente vi sia stato un miglioramento nello stato di salute dell'assicurato o comunque un recupero di guadagno del medesimo, derivante da un proficuo e non usurante riadattamento lavorativo in attività confacenti alle sue personali attitudini."

La Corte d'Appello quindi ha errato nel riconoscere l'indennità dal primo gennaio 2016 perché non ha raffrontato le condizioni di salute della richiedente accertate con la sentenza del 2008 e quelle sussistenti al momento della visita, che ha portato l'Inps a revocare la misura. Essa inoltre ha deciso in modo del tutto contraddittorio perché ha dato conto di un aggravamento della condizione della richiedente, senza accertare il miglioramento che ha condotto l'Inps a revocarle la misura, salvo poi riconoscere l'indennità con decorrenza dal primo gennaio 2016 e non dal momento della revoca.

Leggi anche L'indennità di accompagnamento

Scarica pdf Cassazione n. 23752/2020

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