Quando la vittima dell'infortunio sul lavoro può essere corresponsabile. Il rischio elettivo e i principi giurisprudenziali della Cassazione sull'argomento.

I principi del rischio elettivo

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La Corte di Cassazione Civile con ordinanza n. 8988/2020 ha ripercorso il costante e risalente orientamento sui principi con cui valutare, se e in che misura, la vittima di un infortunio sul lavoro possa ritenersi responsabile, in tutto od in parte, del danno sofferto.

Detti principi possono essere riassunti come segue:

"La vittima di un infortunio sul lavoro può ritenersi responsabile esclusiva dell'accaduto solo in un caso: quando il lavoratore abbia tenuto un contegno abnorme, inopinabile ed esorbitante rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute ….". Il datore di lavoro, infatti, risponde dei rischi professionali propri (e cioè insiti nello svolgimento dell'attività lavorativa) e di quelli impropri (e cioè derivanti da attività connesse a quella lavorativa), ma non di quelli totalmente scollegati dalla prestazione che il lavoratore rende in quanto tale.

Se il rischio cui si espone il lavoratore è privo di connessione con l'attività professionale, ed il lavoratore sia venuto a trovarsi esposto ad esso per scelta volontaria, arbitraria e diretta a soddisfare impulsi personali, quello non sarà più un "rischio lavorativo", ma diviene un "rischio elettivo", cioè creato dal prestatore d'opera a prescindere dalle esigenze della lavorazione, e quindi non meritevole della tutela risarcitoria od assicurativa ……".

Con l'applicazione di questi principi, sussiste il "rischio elettivo" in presenza di tre elementi:

"a) un atto del lavoratore volontario ed arbitrario, ossia illogico ed estraneo alle finalità produttive;

b) la direzione di tale atto alla soddisfazione di impulsi meramente personali;

c) la mancanza di nesso di derivazione con lo svolgimento dell'attività lavorativa….… Ricorrendo tale ipotesi, la condotta del lavoratore spezza il nesso eziologico tra la condotta del datore di lavoro e l'infortunio, e la responsabilità datoriale viene meno per mancanza dell'elemento causale."

La corresponsabilità del lavoratore vittima dell'infortunio

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Al di fuori del "rischio elettivo" sorge, invece, il problema di stabilire, se ed a quali condizioni, possa ritenersi corresponsabile il lavoratore vittima dell'infortunio.

Per tale aspetto la giurisprudenza di Cassazione ha, da tempo, stabilito chiari principi.

Il primo principio è che l'art. 1227, comma primo, c.c. (a norma del quale "se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l'entità delle conseguente che ne sono derivate') si applica anche alla materia degli infortuni sul lavoro: sia perché nessuna previsione normativa consente di derogarvi; sia perché la legge impone anche al lavoratore l'obbligo di osservare i doveri di diligenza a tutela della propria o dell'altrui incolumità: tanto stabiliscono sia l'art. 2104 c.c., sia l'art. 20 d.lgs. 9.4.2008 n. 81.

Il secondo principio è che, nella materia del rapporto di lavoro subordinato, l'applicazione dell'art. 1227 c.c. va coordinata con le speciali previsioni che attribuiscono al datore di lavoro il potere di direzione e controllo, ed il dovere di salvaguardare l'incolumità dei lavoratori anche quando la condotta della vittima di un infortunio sul lavoro possa astrattamente qualificarsi come imprudente, deve nondimeno escludersi qualsiasi concorso di colpa a carico del danneggiato in tre ipotesi:

- La prima ipotesi è quella in cui l'infortunio sia stato causato dalla puntuale esecuzione di ordini datoriali. In questo caso il datore di lavoro non può invocare il concorso di colpa della vittima che abbia eseguito un ordine pericoloso, perché l'eventuale imprudenza del lavoratore non è più "causa", ma degrada ad "occasione" dell'infortunio.

- La seconda ipotesi in cui il datore di lavoro non può invocare il concorso di colpa della vittima, ex art. 1227 c.c., è quella in cui l'infortunio sia avvenuto a causa della organizzazione stessa del ciclo lavorativo, impostata con modalità contrarie alle norme finalizzate alla prevenzione degli infortuni, o comunque contraria ad elementari regole di prudenza. Il datore di lavoro infatti ha il dovere di proteggere l'incolumità del lavoratore nonostante l'eventuale imprudenza o negligenza di quest'ultimo, con la conseguenza che la mancata adozione da parte datoriale delle prescritte misure di sicurezza costituisce in tal caso l'unico efficiente fattore causale dell'evento dannoso.

- La terza ipotesi in cui il datore di lavoro non può invocare il concorso di colpa della vittima, ex art. 1227 c.c., è quella in cui l'infortunio sia avvenuto a causa di un deficit di formazione od informazione del lavoratore, ascrivibile al datore di lavoro. In tal caso, infatti, se è pur vero che concausa del danno fu l'imprudenza del lavoratore, non è men vero che causa dell'imprudenza fu la violazione, da parte del datore di lavoro, dell'obbligo di istruire adeguatamente i suoi dipendenti".

Il principio di diritto della Cassazione

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Pertanto, la Cassazione ha affermato che deve applicarsi il seguente principio di diritto:

"Nel caso di infortunio sul lavoro, deve escludersi la sussistenza di un concorso di colpa della vittima, ai sensi dell'art. 1227, comma primo, c. c., quando risulti che il datore di lavoro abbia mancato di adottare le prescritte misure di sicurezza; oppure abbia egli stesso impartito l'ordine, nell'esecuzione puntuale del quale si sia verificato l'infortunio; od ancora abbia trascurato di fornire al lavoratore infortunato una adeguata formazione ed informazione sui rischi lavorativi; ricorrendo tali ipotesi, l'eventuale condotta imprudente della vittima degrada a mera occasione dell'infortunio, ed è perciò giuridicamente irrilevante".


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