L'art. 3 della L. n. 386/1990 sanziona chi emette un assegno senza provvista. Vediamo qual è la ratio della norma e la natura della sanzione

Assegno senza provvista: la norma

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L' art. 3 rubricato "clausola penale" della L. n. 386/1990 recante "Disciplina sanzionatoria degli assegni bancari", modificata dal D.lgs. 507/1999, prevede che se taluno emette un assegno bancario o postale presentato per la riscossione in tempo utile (cioè 8 o 15 gg) ma la somma non è corrisposta, in tutto o in parte, per difetto di provvista (cd. assegno senza provvista), egli è tenuto a corrispondere al prenditore o giratario, che agisce nei suoi confronti per il pagamento del titolo, una penale pari al dieci per cento della somma non pagata.

Ratio e natura della sanzione

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La ratio della norma è quella di tutelare il corretto svolgimento dei rapporti commerciali, che si basano sui titoli di credito, ed evitare un abuso dello strumento dell'assegno e un sovraccarico di crediti fittizi.
Ebbene escluso che possa trattarsi di una sanzione amministrativa, prevista dagli articoli che lo precedono, alcuni hanno incluso tale norma tra i danni punitivi.
In effetti la rubrica "clausola penale" e l'assenza di alcun riferimento al pregiudizio, inducono a pensare ad un risarcimento di tipo punitivo.
Chi ha emesso dunque un assegno senza provvista, deve essere punito e la somma dovuta alla vittima è proprio quel dieci per cento della somma non pagata al prenditore o giratario, che in buona fede si è adoperato per l'incasso.

Danno punitivo o indennità?

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Tuttavia tale norma lascia spazio ad una lettura indennitaria: il legislatore verrebbe incontro alla vittima assegnandogli il diritto ad un indennità e prevedendo un forfait variabile, salvo il diritto al risarcimento del maggiore danno provato in giudizio.
Il 'forfait' sarebbe quel dieci per cento della somma non pagata al prenditore o giratario, che ha fatto affidamento, forse ingenuamente, sulla correttezza e rettitudine dell'altra parte.
A riprova di questa visione interpretativa si sostiene che la rubrica "clausola penale" e la locuzione "una penale" sono usati in modo improprio in entrambe le ipotesi interpretative, e che il legislatore fa riferimento, seppur implicito, al pregiudizio sofferto.

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