Gli abusi e i maltrattamenti in danno degli animali sono puniti dal nostro ordinamento ma non sempre gli strumenti previsti sono sufficienti a tutelarli

Maggiori tutele per gli animali

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Se si guarda al nostro sistema giuridico non può non rilevarsi che occorre implementare il codice civile e quello penale per ottenere una maggiore e migliore tutela in favore degli animali. Il che significa, ad esempio, aumentare le pene che sanzionano i reati contro gli animali, ritenute pericolosamente lievi. Tuttavia, ciò non basta.

Luca Goldoni si chiedeva tempo fa sulle pagine del Corriere della Sera perché mai il maiale suscitasse pietà e l'anguilla tagliata viva in più parti non suscitasse eguale reazione. E perché ci si commuovesse davanti ad un salvataggio di una balena spiaggiata rimanendo invece (quasi) indifferenti se a pochi metri da quel salvataggio, magari in un caratteristico ristoranti a due passi dal mare, qualcuno immerge le aragoste nell'acqua bollente.

Ciò che serve, insomma, è una visione del problema fondata su principi chiari e univoci e su una sensibilità condivisa.

I diritti degli animali

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Il dibattito pubblico sull'argomento spazia con una certa disinvoltura da considerazioni che attengono al diritto penale, dove la tutela degli animali - anche se perfettibile - esiste, a sbandierate enunciazioni di principio che attengono al diritto civile, dove vi sono problemi che definire insormontabili non costituisce forse esagerazione. Sia per la loro intrinseca difficoltà a essere risolti, che per le conseguenze che tale non risoluzione può comportare (penso al riconoscimento o meno del danno non patrimoniale per morte dell'animale d'affezione).

Quanto al diritto civile sono in discussione categorie giuridiche tradizionali che, credo, non possono essere ignorate. Categorie in virtù delle quali l'obbligazione attiva e passiva attiene solo alla persona. Ergo la titolarità di un diritto è subordinata alla condizione di essere umano potendo solo questi azionarla.

La quinta sezione della Cassazione penale in occasione della sentenza Green Hill (deposito il 2 ottobre 2019) ci "ricorda" che gli animali sono cose e che, nonostante la disciplina pubblicistica che appresta loro tutela, essi non sono titolari di diritti, essendo questa una capacità che l'ordinamento riserva alle persone fisiche e giuridiche.

L'espressione diritti degli animali va dunque intesa come tutela giuridica che il diritto pubblico appresta in difesa degli animali. Non tenerne conto sarebbe forse presuntuoso. Una applicazione "integralista" della soggettività giuridica in capo agli animali comporterebbe la negazione di tutto ciò che oggi il diritto permette e autorizza. Anche di tanto non tenerne conto sarebbe davvero ingenuo.

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L'aumento delle pene non basta

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"Un politico guarda alle prossime elezioni, uno statista alle prossime generazioni". Mi piace richiamare questa più che nota espressione che si vuole riconducibile ad Alcide De Gasperi -anche se non se ne ha certezza- per introdurre il mio pacato dissenso verso coloro che invocano pene più severe nei confronti di chi commette reati in danno degli animali.

Non sono affatto persuaso che la svolta possa venire (solo) dal mondo del diritto e, dunque, della politica con leggi nuove e più severe: il solo aumento delle pene è idoneo a scongiurare la commissione dei reati contro gli animali?

Autorevoli giuristi non lo credono. Con particolare riferimento alla natura di questi reati (quelli in danno degli animali) ritengo sia opportuno fare una riflessione che attiene al piano etico e culturale, partendo da un punto di partenza non comune: gli animali, al pari degli umani, sono soggetti della vita, prima di essere soggetti giuridici. Da questo, forse, come peraltro ci insegna un autorevole filosofo che tanto ha dedicato a questo tema, Gino Ditadi, dobbiamo partire. Da un differente punto di vista.

E la partenza non può non essere laddove le coscienze iniziano a formarsi. Occorre prevedere appositi percorsi nelle scuole di ogni ordine e grado perché solo attraverso l'educazione e la diffusione di una nuova cultura potrà effettivamente modificarsi il nostro rapporto con l'essere animale. Con l'alterità in tutte le sue forme.

La scuola, oggi così sottovalutata e bistrattata, può traghettare i suoi studenti da una visione antropocentrica a una visione biocentrica.

La tutela degli animali, per quanto la si voglia definire diretta, si rivela pur sempre subordinata o riconducibile alle esigenze dell'uomo. Occorre puntare sulla formazione di coscienze che rispetteranno l'animale non perché previsto da una norma del codice penale ma a prescindere da essa.

Oggi abbiamo a disposizione conoscenze etologiche di gran lunga superiori a ieri, che ci dovrebbero fare comprendere che taluni comportamenti non hanno più motivo di essere reiterati. Cerchiamo di renderle conoscibili e fruibili a tutti. Con serie campagne sociali. Con un possesso responsabile.

La prospettiva comune di giustizia

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Gabrio Forti, uno tra i più autorevoli penalisti italiani, in un suo recente libro ("La cura delle norme. Oltre la corruzione delle regole e del sapere") descrive come sanzionorrea quel preoccupante sbilanciamento verso sempre maggiori e più afflittive sanzioni determinato da un generale indebolimento della funzione del diritto. Una malattia che ha una particolare predisposizione genetica che lo stesso autore definisce incompetenza giuridica o più semplicemente assoluta carenza di educazione civica e coscienza istituzionale. Una patologia che genera l'inganno del diritto penale del quale se ne millanta la potenzialità miracolosa di risolvere ogni problema.

Spesso la sanzione non rafforza il precetto, ma rischia di trasmettere un messaggio di sfiducia o di rivelarsi finanche dotata di una certa vis criminogena. Non a caso ho richiamato queste considerazioni la cui paternità garantisce oggettiva autorevolezza. Gabrio Forti, non certo unico, dissente dall'utilizzo di quelle tecniche di tutela utilizzate dal legislatore, discutibili sul piano politico-criminale, che esprimono una cultura essenzialmente detentiva. E perché, mi chiedo, dovrebbe questa cultura fungere da panacea nei confronti di coloro che commettono reati contro gli animali? Tenendo peraltro conto delle diversissime tipologie di reato che si possono verificare, per pericolosità sociale e conseguenze. E soprattutto dei soggetti che compiono questi reati assolutamente non catalogabili in una precisa e unica categoria, fascia o ceto sociale.

Natalino Irti, antico e autorevole maestro di diritto, in un recente libro ("Elogio del diritto", scritto a due mani con il filosofo Massimo Cacciari) si domanda come possa uno Stato salvarsi se le leggi non vengono da tutti avvertite secondo una prospettiva comune di giustizia (quale essa sia). Che altro non sarebbe che quella rivoluzione culturale che, per quanto riguarda la c.d questione animale, è auspicata ma ancora lontana dal compiersi.


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