"Sulla tutela della igiene e della sanità pubblica": la legge n. 5849 del 22 dicembre 1888 rappresenta la prima grande riforma sanitaria italiana

La situazione igienico-sanitaria dell'Italia post unitaria

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All'indomani della proclamazione dell'Unità d'Italia (17 marzo 1861), il Regno si presentava come un paese povero, dove le condizioni di vita media della popolazione erano fortemente arretrate.

Nel 1863, anno in cui venne rilevato il primo dato disponibile sulla speranza di vita della popolazione, il tasso di mortalità infantile era pari a 232 - di mille bambini nati vivi, 232 morivano entro il primo anno di vita.

Il reddito medio pro capite era inferiore alla metà di quello britannico e la struttura occupazionale si presentava tipica delle economie arretrate, con il 63% degli occupati dediti all'agricoltura. Il 44% della popolazione viveva in condizioni di povertà assoluta e quattro persone su cinque erano analfabete.

Le abitazioni malsane, la mancanza di acqua potabile e la scarsa igiene portavano alla diffusione di molte malattie contagiose come il colera e di altre come il tifo, la malaria provocata dalla puntura delle zanzare nelle zone paludose, la pellagra dovuta alla carenza vitaminica, dal momento che l'alimentazione era quasi esclusivamente a base di farina di granoturco, come la polenta.

Escluse le morti per incidente, le prime cause dei decessi erano imputabili alle malattie infettive (quasi il 30% dei decessi), seguite dalle malattie dell'apparato respiratorio, dalle malattie mentali, del sistema nervoso e cardiocircolatorio.[1]

L'epidemia di colera del 1884-1885 aveva causato nel Paese quasi 18.000 vittime.

"Sulla tutela dell'igiene e della sanità pubblica": la legge 22 dicembre 1888 n. 5849

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Nel 1887, a meno di vent'anni dalla breccia di Porta Pia, uno dei problemi che ancora affliggeva maggiormente il Paese era la salute: la malaria ammorbava gran parte della penisola, assieme a tubercolosi e sifilide, quest'ultima diffusa maggiormente tra i militari. Periodicamente si assisteva ad epidemie di vaiolo, tifo e difterite. Diffusa era la malnutrizione ed in conseguenza di ciò le malattie da carenze vitaminiche, quali rachitismo e pellagra.

L'aspettativa di vita media non superava i 55 anni ed il 45% dei morti era rappresentato dai bambini entro i primi cinque anni di vita.

Alla morte di Agostino Depretis, avvenuta nel luglio del 1887, Presidente del Consiglio del Regno d'Italia dal 1876 all'anno della sua morte, il re Umberto I chiese a Francesco Crispi di assumere l'interim del Ministero degli Esteri. Crispi accettò ed il 7 agosto fu nominato Presidente del Consiglio.

Tra le prime priorità, decise di affrontare il drammatico problema sanitario del Paese.

Appena salito al potere istituì al Ministero dell'Interno la Direzione di sanità pubblica, coinvolgendo per la prima volta i medici nel processo decisionale.

Affidò l'incarico della stesura di una nuova legislazione all'epidemiologo, professor Luigi Pagliani, illustre docente universitario torinese, uno dei padri fondatori della disciplina medica dell'Igiene e della Sanità pubblica in Italia.

Così Pagliani stesso ricorda l'incontro con Crispi:

"Stavo per chiudere l'ultima lezione del mio corso d'igiene a Torino nel 1887, quando mi si consegnò un laconico telegramma dell'allora Presidente del Consiglio dei Ministri, col quale mi invitava a recarmi da lui per conferire. Il colloquio con quell'eminente uomo d'azione, più che di parole, fu molto breve. Egli intendeva, come uno dei suoi primi e principali compiti, organizzare la difesa della salute pubblica in Italia. Mi avrebbe sostenuto in ogni difficoltà da superare, non dovendo dipendere in questa impresa da altri che da lui, come mi avrebbe lasciata ampia facoltà di agire secondo i miei criteri tecnici. La proposta era grave quanto lusinghiera, enorme la responsabilità da assumermi di fronte a quell'uomo, che in pochi minuti mi aveva completamente suggestionato, con quel suo alto e sereno spirito di amor di Patria, che riluceva vivido in ogni sua parola e quasi imperioso nel suo sguardo penetrante e pur mite di antico cospiratore".[2]

Esponente della massoneria come Crispi, Pagliani era impegnato in diverse battaglie sociali. Tra le prime iniziative che assunse in ambito accademico vi fu l'inaugurazione, nel 1878, di un laboratorio di igiene, il primo in Italia, che conferì legittimazione scientifica alla disciplina.

Fu tra i primi ad intuire i benefici che la sanità pubblica avrebbe avuto dalla rivoluzione batteriologica che si stava profilando all'orizzonte.

La norma fu preceduta da alcuni decreti di cui ricordiamo l'inserimento degli ingegneri nei consigli sanitari (7 giugno 1887), i prestiti di favore al 3% per le opere di risanamento igienico dei piccoli comuni (5 luglio 1887), la creazione di laboratori e l'introduzione dell'ingegneria sanitaria quale materia di insegnamento presso l'istituto di igiene dell'Università di Roma.[3]

In pochi mesi avviò la prima grande riforma sanitaria italiana che istituirà le fondamenta del sistema sanitario pubblico.

La riforma e il sistema sanitario pubblico

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La legge, detta anche "Legge Crispi - Pagliani", trasformò l'approccio di polizia sanitaria in sanità pubblica, creando un primo assetto organizzativo.

Composta da 6 titoli e 71 articoli, si presentava articolata come insieme di: condizioni geo-fisiche, demografiche ed urbanistiche, assistenza medica, farmaceutica ed ostetrica, profilassi delle malattie sociali.

La riforma ideata da Pagliani prevedeva un'organizzazione sanitaria di tipo piramidale che garantisse che tra vertice e base ci fosse un continuo flusso bidirezionale di informazioni.

Dalla base provenivano notizie aggiornate sullo stato di salute del Paese: presenza di focolai epidemici, mortalità nei luoghi di lavoro, malattie da carenze alimentari… Dal vertice direttive dal mondo accademico e dalla ricerca scientifica.

Il mondo medico accademico non più isolato nelle aule universitarie e nei laboratori e la classe medica obbligata ad aggiornarsi scientificamente, conferendo al Paese una moderna coscienza sanitaria.

Anche i medici che operavano nei luoghi più sperduti del Paese avrebbero potuto usufruire dei più aggiornati principi scientifici dell'epoca.

Una struttura affidata dunque ai professionisti della salute, agli igienisti, gli unici in grado di affrontare l'emergenza di un paese ancora decimato dalle malattie endemiche ed epidemiche.

La legge prescriveva la denuncia obbligatoria, da parte dei Comuni, delle malattie contagiose, l'obbligo della vaccinazione, della provvista di acque potabili e della compilazione di statistiche sanitarie.[4]

Seguirono, nel corso del biennio 1889-90 una serie di decreti attuativi in ogni settore dell'igiene pubblica (polizia mortuaria, sanità marittima, igiene del suolo e dell'abitato…) che completarono l'impianto normativo.

I medici, pagati dallo Stato, a disposizione gratuita della popolazione. Ufficiali sanitari comunali, medici circondariali, medici provinciali, coordinati direttamente da sindaci, prefetti e sotto prefetti.

Il numero di medici per ogni Comune stabilito in base al numero di abitanti, unitamente a pubbliche levatrici a garanzia di assistenza qualificata.

La vera rivoluzione fu che i Comuni ebbero l'obbligo di assumere a proprie spese un "medico condotto". In questo modo il medico era un vero e proprio dipendente pubblico stipendiato dall'amministrazione comunale per prestare assistenza medica gratuita a tutti.

Uno dei maggiori punti di forza della riforma fu rappresentato dalla Scuola di perfezionamento in igiene destinata a medici, ingegneri, veterinari e farmacisti, dotata di laboratori di chimica e di microscopia.

La Legge introduceva poi una figura estremamente moderna, quella del "medico provinciale". Responsabile a compiere personalmente ispezioni, inchieste e controlli sul territorio per poi riferire direttamente al Ministero dell'Interno. Fu possibile così documentare la connessione tra la diffusione delle epidemie e le gravi condizioni igieniche del territorio.[5]

Gli ufficiali sanitari dovevano disporre di laboratori d'analisi attrezzati e qualificati per poter eseguire esami chimici e microscopici finalizzati alla vigilanza igienica e sanitaria.

Alla popolazione non sarebbero dovuti mancare i farmaci e, a tal fine, i medici condotti che prestavano le loro cure lontani dalle farmacie, avrebbero avuto a disposizione un armadio farmaceutico attrezzato e rifornito con fondi comunali.

"Colla legge 22 dicembre 1888 sull'ordinamento dell'assistenza sanitaria (n. 5849) si fece obbligo tassativo ai medici di denunziare al sindaco del comune, in ogni caso di morte, la malattia che ne fu la causa; e quindi la raccolta delle notizie, dal 1889 in poi, non dipende più unicamente dalla spontanea collaborazione dei medici; ma abbiamo fortunatamente da fare con un ceto, nel quale il sentimento del dovere scientifico e del pubblico bene sono più efficaci di qualunque sanzione legale.

Nella classificazione adottata per questa statistica, tutte le morti sono distribuite sotto 169 voci, secondo un elenco preparato da una Commissione medica nel 1881, indi riveduto da altra Commissione nel 1883 ed approvato dal Consiglio superiore di sanità. Le 169 voci erano dapprima raccolte in XVIII classi; ma siccome l'aggruppamento delle malattie per classi dava luogo non di rado a critiche per parte dei medici appartenenti a scuole diverse e non pareva in tutto conforme allo spirito di esame che anima la scienza medica, dacché le nuove scoperte batteriologiche fanno rimettere in discussione le antiche opinioni sull'eziologia di molte malattie, così per consiglio della stessa Commissione medica, nuovamente consultata nel 1887, si stimò opportuno di rinunciare all'aggruppamento delle voci."[6]

La legge non risolse tutti i problemi sanitari dell'epoca; ciononostante, i progressi furono notevoli ed immediati: nei successivi 12 anni la mortalità calò dal 30 al 20 per mille e la vita media salì da 35 a 41 anni.[7]

Queste le parole di Benedetto Croce: "La vigilanza igienica in Italia fece molti passi innanzi, concorrendo alla sparizione o attenuazione delle epidemie e degli altri morbi e dell'abbassamento della mortalità".

[1] La salute degli italiani, 1861 - 2011 - V. Aiello - S. Francisci - G. Vecchi

[2] Aldo A. Mola. L'iniziazione di Crispi: alla massoneria o alla politica? Officinae giugno 2006- numero 2

[3] G. Sangiorgi, Un maestro: L.P., in L'igiene e la vita, X (1927), 11, pp.395-397

[4] L. 22 dicembre 1888 n. 5849

[5] Storia della medicina e della sanità in Italia. Dalla peste europea alla guerra mondiale, Roma/Bari, Laterza, IV ed, 1988 - Cosmacini Giorgio

[6] MINISTERO DI AGRICOLTURA, INDUSTRIA E COMMERCIO - DIREZIONE GENERALE DELLA STATISTICA. CAUSE DI MORTE - STATISTICA DEGLI ANNI 1893 E 1894.

[7] La salute pubblica: Giornale mensile di igiene pubblica e privata. 15 gennaio 1890, Perugia


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