Moratoria sì, trasparenza no. La manipolazione nazionale dei dati sugli avvocati, la moratoria del Decreto Rilancio e il principio di trasparenza nelle correzioni

Dott. Vittorio Corasaniti - Era il 2011 quando l'allora Presidente della Corte di Cassazione Ernesto Lupo dichiarava che "non si può ignorare un'anomalia che ci caratterizza rispetto ad altri Paesi: l'elevatissimo e crescente numero di avvocati".

"Troppi avvocati": la manipolazione nazionale dei dati internazionali

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Nella sua relazione sull'amministrazione della giustizia dell'anno successivo, si leggeva, inoltre che "se, in generale, in un libero mercato di servizi, la moltiplicazione del numero degli operatori costituisce un dato positivo, nel settore specifico della giurisdizione occorre verificare se la sovrabbondanza di avvocati sia funzionale a soddisfare le esigenze di giustizia dei cittadini, o non costituisca, a sua volta, fonte di un eccesso di domanda di giustizia non più rispondente a tali esigenze".

Si trattava, in realtà, di una manipolazione dei dati provenienti dalla Commissione Europea del Consiglio d'Europa per l'efficienza della giustizia (CEPEJ), che nel suo rapporto 2010 aveva invece segnalato che "sarebbe una scorciatoia inappropriata stabilire da questo rapporto una correlazione tra il numero di avvocati e il volume e la durata dei procedimenti. Tuttavia, questo è attualmente allo studio, al fine di vedere se il numero di avvocati e l'organizzazione della professione hanno un impatto rilevante sul carico di lavoro dei tribunali oppure no".

Una questione che il CEPEJ risolse nel 2018, quando dichiarò che "l'aumento del numero di avvocati in diversi Stati dell'Europa centrale e orientale riflette lo sviluppo dello stato di diritto".

Le istituzioni italiane preferirono, tuttavia, continuare a parlare della necessità di ridurre il numero degli avvocati iscritti agli albi, legittimando in sede legislativa e giudiziaria quel meccanismo di conflitto di interessi e aleatorietà alla base dell'accesso alla professione forense di cui si è già parlato e che è oggi all'attenzione delle Nazioni Unite.

Leggi Avvocati: accesso alla professione tra conflitto di interessi e poca trasparenza e Esame avvocati nel mirino delle Nazioni Unite

Decreto Rilancio: moratoria di fatto all'accesso alla professione forense

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Lo Stato ha costantemente manifestato la sua volontà di ridurre il numero degli avvocati, inficiando la trasparenza nelle procedure di accesso alla professione forense con una piccola e quasi impercettibile modifica dell'art. 49 della legge 247/2012.

A seguito dell'emergenza derivata dal coronavirus, tuttavia, le istituzioni non hanno potuto limitare la loro azione alla microchirurgia legislativa, ma sono state costrette ad agire in modo eclatante, lasciando scoperto un sistema che ormai da tempo cominciava a destare più che una semplice preoccupazione.

Se, da una parte, l'art. 5 del d.l. 22 dell'8 aprile 2020 aveva disposto la sospensione delle correzioni delle prove scritte 2019, dall'altra ci si sarebbe aspettati un intervento legislativo mirato a garantire che la procedura di accesso alla professione si svolgesse nei tempi prestabiliti o, comunque, in condizioni tali da permettere ai candidati meritevoli di accedere a un mondo del lavoro ormai compromesso da una crisi sanitaria di proporzioni planetarie.

La reazione delle istituzioni si è fatta attendere per oltre un mese, a seguito del quale il Governo ha di fatto stabilito una moratoria all'accesso alla professione forense mediante l'art. 254 del d.l. 34 del 19 maggio 2020.

Data la recente pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del c.d. decreto Rilancio, infatti, pare proprio che per i praticanti avvocato sia ormai necessario ripresentarsi in via cautelativa agli esami di dicembre 2020 (semmai si terranno), non foss'altro perché le correzioni della sessione 2019 verranno ultimate nelle più rosee aspettative tra fine luglio e fine settembre, al netto dei tempi di reimballaggio, trasporto e riabbinamento delle buste contenenti le prove scritte.

L'atteggiamento del Ministero della Giustizia

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Sul punto, il Ministro della Giustizia è stato irremovibile. Durante lo svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata del 27 maggio 2020 presso la Camera dei deputati, Bonafede ha infatti dichiarato che "l'attuale quadro epidemiologico lascia ragionevolmente ritenere che si possa programmare la prossima sessione di esame di abilitazione di dicembre" e che "quello dell'avvocato è un ruolo socialmente fondamentale e il relativo esame, nei limiti del possibile in una situazione di emergenza come quella attuale, deve mantenere criteri che assicurino la qualità della selezione".

Un paradosso, se comparato con le parole pronunciate dallo stesso Ministro a fine ottobre 2019 durante il suo intervento alla prima seduta giurisdizionale del Consiglio Nazionale Forense, dove dichiarava che "l'esame finale attualmente non risponde a criteri di razionalità e troppo spesso si presta a esiti casuali e non sempre rispondenti agli effettivi meriti degli aspiranti avvocati".

Interventi sull'esame alla luce del dl 34/2020 e indeterminatezza principio di trasparenza

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L'ambiguità del merito non poteva non avere conseguenze sul piano procedurale, stante la correzione telematica delle prove scritte introdotta dal d.l. Rilancio.

Durante il suo intervento del 27 maggio 2020 il Ministro ha altresì dichiarato che "è stata prevista la ripresa della correzione degli elaborati scritti con possibilità di disporre un collegamento a distanza, nel rispetto dei medesimi criteri di correzione già adottati dalle commissioni di esame e dei criteri di collegialità, correttezza e riservatezza".

Nel discorso è mancato qualsivoglia riferimento al principio di trasparenza, che pure era stato enunciato insieme ai criteri di collegialità, correttezza e riservatezza di cui all'art. 254 D.L. Rilancio.

Un lapsus che si spera costituisca una mera svista nel riportare il testo legislativo e non un'intenzione da materializzare in sede di conversione in legge del d.l. 34/2020.

In effetti, il principio di trasparenza non era mai stato menzionato in sede di correzione degli elaborati scritti, se non come un'intenzione mai manifestatasi, come dimostra la mancata entrata in vigore dell'art. 46 c. 5 della legge 247/2012 sull'obbligo di motivazione del voto numerico.

Alla luce dell'introduzione esplicita di detto principio nelle correzioni degli scritti, ci si deve allora chiedere cosa esso comporti.

Sul punto, si ricorda che sono possibili due interpretazioni. La prima, confermata dalla Corte Costituzionale e dal Consiglio di Stato, prevede che il solo voto numerico sia idoneo a garantire detto principio. La seconda, sancita dal già menzionato art. 46 c. 5 della legge 247/2012 mai entrato in vigore, stabilisce invece che le commissioni esaminatrici debbano motivare il voto numerico.

Tale ambiguità è fatta propria sia dal Ministero della Giustizia, sia dal Governo.

Per quanto riguarda il primo, è opportuno citare l'avviso del 15 novembre 2019 con cui la Commissione centrale presso il Ministero della Giustizia per l'esame di avvocato sessione 2019 procedeva alla "indicazione dei criteri di valutazione per l'esame di stato per l'abilitazione all'esercizio della professione forense sessione 2019".

All'interno del documento, si legge che dovranno essere garantite "le modalità di attribuzione del punteggio successive alla lettura di tutti gli elaborati con immediata annotazione scritta in numeri e lettere su ciascuna prova e sottoscritta dal Presidente e dal Segretario, secondo quanto previsto dall'art. 23, 3° comma R.D. n. 37/1934".

Premesso che tale obbligo dovrebbe riferirsi non già al 3° comma dell'art. 23, R.D. n. 37/1934 bensì al 2°, bisogna chiedersi cosa si intenda con la suddetta garanzia delle modalità di attribuzione del punteggio: se, da una parte, la Commissione Centrale parrebbe infatti riferirsi a un obbligo di motivazione, dall'altra, invece, potrebbe lasciar intendere che il voto numerico sia di per sé idoneo a garantire le modalità di attribuzione del punteggio.

L'adozione di questa formula, dunque, sembra lasciar spazio all'interpretazione delle sottocommissioni, libere di motivare o meno il voto numerico.

Per verificare la portata di questa ambiguità, è opportuno allora esaminare l'atteggiamento del Governo e il d.l. 34/2020.

Mentre il 2° comma dell'art. 254 fa riferimento esplicito al principio di trasparenza, nel 1° comma si stabilisce che "è consentita la correzione degli elaborati scritti con modalità di collegamento a distanza, ai sensi dell'articolo 247, comma 7".

Prima di riportare il disposto di quest'ultima norma, vale la pena ricordare che in data 13 maggio 2020, il Sottosegretario alla Giustizia Giorgis aveva pubblicamente dichiarato che la decretazione d'urgenza avrebbe garantito la trasparenza delle correzioni mediante registrazione delle stesse: "nessuno sarà da solo e tutto sarà registrato, in modo da dare ulteriori e ancora maggiori garanzie".

Parrebbe, quindi, che il menzionato art. 247 c.7 si riferisca a quest'eventualità quando stabilisce che "la commissione esaminatrice e le sottocommissioni possono svolgere i propri lavori in modalità telematica, garantendo comunque la sicurezza e la tracciabilità delle comunicazioni".

Indipendentemente dalle altissime capacità di garanzia della sicurezza informatica che si possano rinvenire in capo a tre avvocati, un professore o un ricercatore universitario e un magistrato in pensione, vale la pena chiedersi che cosa il Governo abbia inteso con l'espressione "tracciabilità delle comunicazioni".

Se tale tracciabilità fosse la registrazione delle correzioni, nulla quaestio. L'esame diventerebbe un procedimento trasparente e darebbe adito a una pioggia di ricorsi amministrativi per violazione del principio di uguaglianza almeno per tutti quei candidati che non siano risultati idonei prima della decretazione d'urgenza.

Tuttavia, in assenza di definizione della "tracciabilità" all'interno del d.l. Rilancio, bisognerebbe verificare se questo termine è stato recentemente definito in altro strumento legislativo.

La normativa più prossima al d.l. Rilancio, in tal senso, è l'art. 73 del d.l. 18/2020.

Se così fosse, per analogia con la disciplina prevista per i consigli dei comuni, delle province e delle città metropolitane e le giunte comunali, le commissioni esaminatrici potrebbero trovarsi esse stesse a dover definire la tracciabilità e a garantirla, ancora una volta, con buona pace del principio di uguaglianza stabilito dall'art. 3 della Costituzione.

Correzione degli scritti 2019. Quali interessi protegge lo Stato?

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Nella Relazione sull'amministrazione della giustizia 2011 e in particolare per ciò che concerne l'accesso alla professione forense, il Ministero della Giustizia scriveva: "si evidenza il contenzioso [giudiziario] in esame in quanto indicativo della necessità di interventi nella materia e, permanendo l'attuale sistema, sulle commissioni esaminatrici anche con opportuni accorgimenti volti a razionalizzare ed ottimizzare la qualità dell'attività che le commissioni stesse sono chiamate a svolgere".

Nove anni più tardi, il Governo non solo non si è preoccupato di risolvere quella situazione (preferendo l'aleatorietà indiscriminata alla certezza della meritocrazia), ma l'ha addirittura esasperata.

La confusione e l'eccesso di funzioni devolute alle commissioni esaminatrici, infatti, non faranno altro che ritardare la correzione degli elaborati e obbligare la maggior parte dei candidati a ripresentarsi alle prove scritte del 2020.

Pare quindi logico concludere che il Governo abbia introdotto nel contesto legislativo una moratoria di fatto all'accesso alla professione forense, assecondando indirettamente diversi interessi: quelli del potere giudiziario che vuole limitare il numero degli avvocati in Italia per ridurre il contenzioso; quelli di una parte dell'avvocatura che pretende di proteggere privilegi corporativi consolidatisi negli anni e quelli dei privati i cui affari attorno all'esame di avvocato non verranno intaccati nemmeno da un'emergenza sanitaria di ordine planetario.

Il re è nudo, nonostante dichiari di aver indossato i panni del praticante avvocato di cui dice di difendere le legittime aspettative.

Resta solo da capire quando e se deciderà di vestirsi, specie di fronte a una categoria capace di leggere e interpretare la legge, persino quella che oggi chiaramente nega i diritti all'uguaglianza e al lavoro.

La scommessa statale sull'istruzione, poi diventata istruzione universitaria di massa, ha contribuito a un più alto livello culturale della popolazione, che ha progressivamente preferito la "giudizializzazione" del conflitto sociale, come è normale che accada in un paese dove vige lo stato di diritto.

A una maggiore domanda avrebbe dovuto corrispondere un potenziamento dell'amministrazione di giustizia, ma i tribunali sono sovraccarichi perché lo Stato non ne potenzia capacità e risorse.

Limitare ai cittadini l'accesso alla giustizia attraverso la limitazione del numero degli avvocati e per giunta con il metodo attuale equivale a contraddire ogni pregressa politica in materia di istruzione e a minare lo stato di diritto nelle sue basi più profonde.


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