La Corte Costituzionale definisce i limiti per la sanatoria della morosità dell'inquilino, non valicabili nemmeno ove intervenga il libero apprezzamento del giudice

di Silvia Cermaria - La Corte Costituzionale con sentenza n. 79 del 2020 si è espressa su due questioni di legittimità costituzionale sollevate in relazione all'art. 55 della legge n. 392/1978 (Disciplina delle locazioni di immobili urbani), in riferimento agli articoli 2 e 3, comma 2, e 111 della Costituzione, nella parte in cui prevede che il pagamento nel termine di grazia concesso dal giudice esclude la risoluzione del contratto, non comprendendo in tale fattispecie anche il caso in cui vi sia stato un pagamento parziale del debito, ossia residuino solo una frazione di canone scaduto e le spese processuali.

Pagamento parziale dei canoni e degli oneri accessori

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Dinanzi al Tribunale di Modena si incardinavano a distanza di breve tempo, uno dall'altro, due procedimenti di intimazione per convalida di sfratto per morosità con domanda di risoluzione del contratto di locazione ad uso abitativo, ciò in quanto i rispettivi convenuti, in qualità di conduttori degli immobili, avevano omesso il pagamento dei canoni locatizi e degli oneri accessori.

In entrambi i procedimenti, alla prima udienza il giudice concedeva il termine cosiddetto di grazia ex art. 55 della legge n. 392 del 1978 per sanare la morosità. Alla successiva udienza, decorso il citato termine, l'intimante, proprietario dell'immobile, dichiarava la persistenza della morosità, seppur solo parziale, insistendo come di rito per la convalida dello sfratto.

Tenuto conto della lettera della legge e del limitato ammontare del debito che in entrambi i casi residuava, il giudice adito sollevava d'ufficio con due ordinanze di analogo tenore, questioni di legittimità costituzionale dell'art. 55 della legge n. 392 del 1978, nella parte in cui non prevede la possibilità che il giudice possa negare la convalida dello sfratto tenendo in considerazione l'entità del residuo debito dell'inquilino e, in ogni caso, possa evitare la caducazione del rapporto contrattuale negando la risoluzione dello stesso per la medesima ragione. Ciò in quanto si ammetta il giudice alla valutazione delle reciproche posizioni delle parti, rispetto alle quali i rimedi sopra esposti possano rappresentare un sacrificio sproporzionato all'interesse abitativo del conduttore e, in generale, all'equilibrio contrattuale.

Regime di sanatoria morosità e contrasto con principi costituzionali

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Il Tribunale rimettente sostiene in primo luogo che l'art. 55 della legge 392/78, ove non consenta al giudice di rigettare la domanda di risoluzione del contratto di locazione a fronte dell'avvenuto pagamento parziale dei canoni e di ulteriori oneri o spese dovuti, contrasti con l'art. 2 Cost. ed in particolare con il principio di buona fede che ne è espressione. Ed infatti, si tratta a ben vedere, nella fase sommaria del procedimento, di valutare ed eventualmente ristabilire il corretto equilibrio tra le obbligazioni corrispettive delle parti caratterizzanti il rapporto contrattuale, così come degli interessi di ciascuna di esse. Proprio in merito all'equilibrio di tali rapporti si evidenzia che la normativa, per come formulata, infligge al conduttore la compromissione, che deve presumersi certa e attuale, del suo interesse abitativo, pur non essendo chiara l'incidenza altrettanto rilevante del debito residuo per canoni di locazione, oneri accessori o spese processuali nella sfera giuridica del locatore, importi che il locatore potrebbe comunque ottenere in forza della sentenza conclusiva del giudizio di merito, una volta mutato il rito.

Così dunque la legge non rispecchiando la ratio sottesa all'affermazione del principio di buona fede finisce per disattendere la regola generale in ambito contrattuale dell'imposizione del minor sacrificio possibile al debitore tenuto conto dell'interesse del creditore.

Il Tribunale rimettente denuncia inoltre la violazione dell'art. 3, secondo comma, Cost. ove la norma detta una disciplina identica per fattispecie molto diverse tra loro. Ed invero, sottolinea il giudice di merito, non può non notarsi che l'interesse del creditore nel caso in cui vi sia stato un inadempimento totale della prestazione di corrispondere i canoni dovuti, oltre eventuali oneri e spese previste, risulti di gran lunga più compromesso rispetto al caso, come quello di specie, in cui l'inadempimento sia solo parziale ed esiguo.

In ultimo, il Tribunale assume violato il parametro rappresentato dal principio del «giusto processo» di cui all'art. 111 Cost., ove la risoluzione di un contratto si ammetta anche a fronte di situazioni di patologia contrattuale di lieve entità, pur essendo tale strumento in grado di compromettere gravemente l'interesse abitativo del conduttore, non valorizzando lo sforzo prestato per adempiere anche solo parzialmente la propria prestazione.

La Corte Costituzionale sana la morosità solo se il debito è completamente estinto

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Le questioni di legittimità giunte al vaglio della Corte Costituzionale vengono da quest'ultima trattate congiuntamente, con riunione dei giudizi, poiché ritenute sostanzialmente identiche sul piano giuridico.

Nel giudizio non si costituiscono le parti del procedimento principale, ma solo il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato la quale conclude chiedendo che venga pronunciata la manifesta infondatezza delle sollevate questioni di legittimità costituzionale. In particolare, l'Avvocatura deduce che la normativa debba intendersi quale espressione della discrezionalità del legislatore. Quest'ultimo è infatti titolare del potere di decidere quale debba essere il corretto equilibrio da attribuirsi in via astratta al rapporto contrattuale, tenuto conto della corrispettività delle prestazioni delle parti, nonchè quali siano le circostanze atte a provocare il fallimento del rapporto contrattuale con conseguente accesso agli strumenti rimediali tipici della sua fase patologica.

D'altro canto, l'Avvocatura evidenzia che la norma tiene correttamente conto della possibile difficoltà ad adempiere del conduttore e proprio per tale ragione prevede che lo stesso possa chiedere ed ottenere all'interno dl procedimento di convalida di sfratto ex art. 658 c.p.c. il termine di grazia. Di conseguenza, è necessario che, a fronte di tale favorevole opportunità, l'inquilino adempia completamente le sue obbligazioni.

La Corte Costituzionale individua in prima analisi il quadro normativo nel quale si collocano le questioni incidentali sollevate e dunque prende le mosse dall'art. 1453 e seguenti c.c. in tema di risoluzione per inadempimento dei contratti a prestazioni corrispettive, tra i quali rientra quello di locazione.

Il Codice civile prevede il rimedio della risoluzione contrattuale solo ove l'inadempimento del debitore sia grave e di non scarsa rilevanza, tenuto conto dell'interesse creditorio alla prestazione (art. 1455 c.c.). Solo al ricorrere di tali presupposti, il giudice può accogliere, con pronuncia che ha valore costitutivo, la domanda di risoluzione. Il medesimo meccanismo opera anche nel caso di contratti a prestazioni corrispettive, ove una parte sia inadempiente così da legittimare il rifiuto all'adempimento dell'altra parte, ovvero la sospensione da parte di quest'ultima dell'esecuzione della prestazione (art. 1461 c.c.).

L'operatività dei meccanismi esposti che prevedono quale esito possibile la risoluzione contratto è subordinata all'attento esame del giudice il quale deve valutare se il comportamento complessivo delle parti, tenuto conto dei rispettivi interessi e dell'oggettiva entità degli inadempimenti, sia conforme al principio di buona fede e se l'alterazione del sinallagma contrattuale possa imputarsi alle violazioni perpetrate da una di esse (Corte di cassazione, sezione seconda civile, sentenza 30 maggio 2017, n. 13627, e ordinanza 22 maggio 2019, n. 13827), fermo rimanendo l'impossibilità di "sanare l'inadempimento", ossia di adempiere la propria obbligazione, una volta che l'altro contraente abbia proposto la domanda di risoluzione (art. 1453 c.c.), salvo quest'ultimo possa volontariamente accettarlo.

Si inserisce in tale disciplina anche il contratto di locazione, trattandosi di una fattispecie a prestazioni corrispettive, ed allora ove ricorra l'inadempimento di una delle parti è possibile invocare la risoluzione contrattuale.

Ma il legislatore nel dettare la disciplina del contratto di locazione dimostra di aver tenuto conto idei particolari interessi che siffatto accordo mira a regolare, in particolare, del conduttore a mantenere la propria stabilità abitativa e del locatore a trarre i frutti provenienti dalla proprietà privata.

È così che il legislatore fa un passo aventi rispetto alla disciplina sul contratto in generale, individuando in via astratta quale sia il limite tra l'inadempimento rilevante e non rilevante, ai fini della risoluzione del contratto. In altre parole, è il legislatore che decide quando il sinallagma contrattuale deve ritenersi irrimediabilmente alterato.

Con riferimento, dunque, al procedimento di intimazione di sfratto per morosità volto a formare un titolo esecutivo che il locatore può spendere per ottenere il rilascio dell'immobile locato, con contestuale risoluzione del contratto, l'art. 658, primo comma, c.p.c. prescrive che l'intimazione è possibile «in caso di mancato pagamento del canone di affitto alle scadenze».

E così, è la morosità di almeno un canone, da attestarsi in giudizio come persistente a cura del locatore (art. 663 c.p.c.), che rileva ai fini della valutazione dell'inadempimento del conduttore. Inadempimento sanabile fintanto che il giudice non abbia convalidato l'intimazione di sfratto.

Ma la disciplina in ambito locatizio non è solo quella dettata dal Codice civile, bensì con questa concorre anche quella apprestata dalla legge n. 392 del 1978.

In riferimento alle locazioni di immobili urbani ad uso abitativo l'art. 5 della suddetta legge dispone che la risoluzione contrattuale può essere invocata dal locatore ove l'inadempimento del conduttore riguardi il mancato pagamento del canone decorsi venti giorni dalla scadenza prevista, ovvero degli oneri accessori quando l'importo non pagato superi quello di due mensilità del canone.

Così dunque le valutazioni legali tipiche della gravità dell'inadempimento del conduttore di cui il giudice deve tener conto in sede monitoria o nel procedimento ordinario (anche conseguente a mutamento del rito ex art. 667 c.p.c.), di origine codicistica e legislativa speciale, si completano tra loro, disegnando il confine della pronuncia di risoluzione.

Ed ancora, fondamentale nel sistema normativo anzi descritto è l'art. 55 della legge n. 392 del 1978 che oggetto di diverse pronunce anche della Corte Costituzionale, quest'ultima ha ritenuto applicabile, non solo al giudizio di intimazione di sfratto, bensì anche a quello ordinario di cognizione (sent. N. 3 del 1999), offrendo al conduttore di un immobile ad uso abitativo (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 28 aprile 1999, n. 272), una disciplina speciale di maggior favore.

Il conduttore si vede riconoscere, in virtù dell'applicazione della disposizione in parola, la possibilità per non più di tre volte nel corso di un quadriennio di versare in sede giudiziale gli importi dovuti, comprensivi anche degli oneri accessori e delle spese processuali, evitando la risoluzione del contratto. La medesima possibilità di pagamento "sanante" è prevista pur ove lo stesso non si realizzi immediatamente, bensì entro il termine di novanta giorni (o centoventi giorni ex art. 55 ult. comma), concesso dal giudice su richiesta del conduttore per comprovate condizioni di difficoltà.

Svolta la ricostruzione del quadro normativo entro cui si collocano le questioni di legittimità e le richieste dell'Avvocatura generale di Stato, la Corte Costituzionale individua sin da subito la corretta interpretazione dell'art. 55 della legge 392 del 1978 evidenziando che il pagamento ritenuto utile al fine di escludere la risoluzione del contratto di locazione è quello che estingue completamente il debito maturato, senza che si presenti la necessità di sottoporre al vaglio del giudice il debito residuo ai fini della decisione sulla sua gravità (ex multis, Corte di cassazione, sezione terza civile, sentenza 29 luglio 2013, n. 18224).

Per le ragioni esposte afferenti alla ratio della norma e allo spirito di maggior favore che la caratterizza a tutela dell'interesse del conduttore, la Corte Costituzionale ritiene non fondata la questione di legittimità dell'art. 55 della legge n. 392 del 1978 per violazione dell'art. 3, secondo comma, Cost.

Ed ancora, la Corte Costituzionale prosegue evidenziando che le censure mosse alla norma, in ragione di un'asserita violazione delle garanzia previste dall'art. 24 Cost., perpetrata mediante la predisposizione a favore del locatore di uno strumento processuale speciale come quello della convalida di sfratto, sono infondate. Evidente infatti che il diritto di difesa del conduttore è, in ogni caso assicurato, dalla possibilità dello stesso di poter accedere a un giudizio a cognizione piena ed esauriente sulla risoluzione del contratto. Questa, infatti, è la sede deputata alla valutazione delle eccezioni proposte dal convenuto, pur nel caso in cui vi sia stata la pronuncia dell'ordinanza provvisoria di rilascio dell'immobile.

Ma vi è di più, l'art. 55 accorda, infatti, una speciale protezione proprio ai soggetti meno abbienti, laddove consente a questi ultimi di richiedere al giudice l'assegnazione di un termine per la sanatoria della morosità, per comprovate condizioni di difficoltà del conduttore (ordinanza n. 315 del 1986).

La Corte Costituzionale evidenzia dunque la forza dello strumento processuale individuato dall'art. 55 in termini di effettivo esercizio del diritto di difesa del convenuto moroso, privilegiando l'interesse non solo economico, ma anche afferente al diritto all'abitazione che la Corte ha più volte definito quale bene di "primaria importanza" (Corte Cost., sent. n. 44/2020).

È evidente che l'art. 55 sia espressione dell'opera di bilanciamento operata dal legislatore tra interessi contrapposti che come si è dimostrato non vede soccombere il conduttore dinanzi alle prerogative della controparte.

L'equilibrio menzionato non viene meno nemmeno ove le spese processuali si facciano rientrare nell'ammontare complessivo del debito maturato, con obbligo di corresponsione entro il termine di grazia, pena la decadenza dal beneficio della sanatoria.

D'altra parte, occorre considerare che il locatore risente dell'attesa dell'esecuzione della prestazione per tutto il periodo concesso dal giudice al conduttore, non ottenendo alla prima udienza la convalida dell'intimazione di sfratto.

In ultimo, la Consulta ritiene infondata la censura mossa nei confronti dell'art. 55 in riferimento all'art. 111 Cost., ossia al principio del giusto processo. Ciò in quanto, non appare alla Corte che l'art. 55 costituisca un limite all'affermazione concreta del divieto di utilizzare lo strumento processuale in modo strumentale e sproporzionato rispetto all'interesse sostanziale che si vuole tutelare. Invero, la Corte ritiene che l'impossibilità per il giudice di valutare il debito residuo, ove vi sia stato solo un adempimento parziale dell'obbligazione, non costituisca un eccessivo sacrificio per il conduttore rispetto al diritto del locatore. Occorre scongiurare il rischio che il conduttore moroso, pur se ritenuto dal legislatore del 1978 la parte debole contrattuale, abusi del diritto di difesa a danno del locatore, protraendo illegittimamente il godimento dell'immobile locato.

Tanto più che nel periodo storico attuale, in un mercato dell'offerta saturo, si affacciano sempre più istanze volte a ridimensionare lo stato di debolezza del debitore, non tanto in termini assoluti, quanto in relazione al corrispondente stato del locatore, proprietario dell'immobile.

Avv. Silvia Cermaria

Studio Legale Cermaria

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