I contratti di collaborazione sportiva al tempo del Covid-19. Tra i possibili rimedi giuridici: la sospensione, risoluzione o rinegoziazione delle condizioni contrattuali

di Marta De Leucio - La lotta al Coronavirus ha imposto importanti cambiamenti anche nel mondo dello sport.

A seguito della chiusura degli impianti sportivi e la sospensione di numerosi eventi agonistici per contenere la pandemia in atto da Covid -19, infatti, è stato possibile continuare a svolgere attività sportiva nella propria dimora e, con stringenti limitazioni, all'aperto.

I contratti di collaborazione sportiva

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Queste nuove pratiche, pertanto, hanno posto numerosi interrogativi sulla sorte dei contratti di collaborazione sportiva sottoscritti in Italia da oltre 120.000 lavoratori.

La gran parte dei collaboratori dello sport, infatti, sono lavoratori autonomi occasionali. Il loro regime contrattuale è, quindi, disciplinato dall'art. 2222 c.c. che definisce come lavoratore autonomo occasionale quel soggetto che si obbliga a compiere un'opera, o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio, senza vincolo di subordinazione.

Le circolari INPS del 22 gennaio e del 6 luglio 2004, ad integrazione della suddetta definizione, hanno specificato che tale forma contrattuale necessita, altresì, di piena autonomia rispetto al committente e non prevede vincoli di prevalenza.

I caratteri peculiari, pertanto, sarebbero: l'assenza di coordinamento con l'attività del datore di lavoro; il mancato inserimento nell'organizzazione aziendale; l'episodicità della prestazione lavorativa e, infine, la completa autonomia del lavoratore circa i modi e i tempi dell'attività.

Incidenza delle limitazioni previste per il contenimento della pandemia da Covid -19

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L'elevata indipendenza dei lavoratori in questione ha, altresì, comportato una diversa incidenza delle limitazioni previste per il contenimento del Covid -19 sulla contrattualistica di settore.

Ogni considerazione in merito, infatti, richiede un'inevitabile analisi delle prestazioni oggetto di contratto, nonché delle evoluzioni subite dalle stesse successivamente all'emergenza sanitaria.

Invero, alcune attività professionali sono strettamente vincolate a una presenza costante presso gli impianti sportivi o, comunque, necessitato di contatti interpersonali. È questo il caso, ad esempio, dei responsabili di sala attrezzi, dei supervisori dei campi sportivi o dei vigilanti alla balneazione.

Per queste figure non è, pertanto, auspicabile una prestazione a distanza e appare configurabile, ai sensi dell'articolo 1256, comma 2, c.c., una temporanea impossibilità all'espletamento dell'attività lavorativa che esonererà l'obbligato dal ritardo nell'adempimento finchè, la stessa, perdurerà.

Per altre professionalità, invece, il distanziamento sociale ha favorito lo svolgimento dell'attività lavorativa attraverso l'utilizzo di piattaforme on-line o altri sistemi di comunicazione da remoto. E' il caso, ad esempio, degli allenatori e dei responsabili tecnici.

In tali ipotesi, è difficile eccepire un'impossibilità totale, seppur temporanea, della prestazione, e ciò anche alla luce del D.L. 18/2020 che incentiva il c.d. smart working.

L'utilizzo di piattaforme digitali per la gestione ed il monitoraggio degli allenamenti o lo svolgimento di corsi on-line, infatti, comportano una tracciabilità delle prestazioni che ne dimostra l'espletamento anche se in modalità differenti.

Sicchè, in tali casi si potrebbero configurare tuttalpiù l'ipotesi di cui all'art. 1464 c.c., se l'attività lavorativa fosse espletabile solo in parte, o quella ex art. 1467 c.c. se, la stessa, fosse divenuta eccessivamente onerosa per uno dei contraenti. Ciò, pertanto, giustificherebbe una rinegoziazione delle obbligazioni oggetto di contratto o la risoluzione dello stesso.

Invero, ai sensi dell'art. 1464 c.c., in un contratto a prestazioni corrispettive se l'obbligato si trovasse nella condizione di poter eseguire solo parte della prestazione, a causa di un impedimento a lui non imputabile, l'altro contraente potrebbe accettare un'esecuzione parziale e, al contempo, impegnarsi ad effettuare la propria prestazione in misura proporzionale. Potrebbe, altresì, in caso contrario optare per la risoluzione del contratto.

Nell'ipotesi in cui, invece, la prestazione di una delle parti fosse divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di eventi straordinari e imprevedibili, la parte obbligata potrebbe chiedere la risoluzione del contratto ex art. 1467 c.c. salvo che, però, la maggiore onerosità non rientri nella sua alea naturale.

La risoluzione, in tal caso, sarebbe lecita ma potrebbe essere evitata se la parte creditrice, come previsto dal terzo comma dell'art. 1467 c.c, si renda disponibile a modificare secondo equità le condizioni contrattuali.

Il DPCM del 26 aprile 2020

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Con il recente DPCM del 26 aprile scorso, si è stabilita la ripresa delle sessioni di allenamento per gli atleti delle discipline sportive individuali - riconosciuti di interesse nazionale dal CONI, dal CIP e dalle rispettive federazioni - da eseguirsi dal prossimo 4 maggio e nel rispettato del distanziamento sociale, del divieto di assembramento e dell'obbligo di esecuzione a porte chiuse.

E' stata confermata, invece, la sospensione di eventi e competizioni sportive di ogni ordine e disciplina, delle manifestazioni organizzate, di eventi e spettacoli anche di natura sportiva, nonchè la chiusura di tutti gli impianti sciistici.

Sicchè, dal 4 maggio, si dà inizio ad una lenta riapertura del settore che, purtroppo, riguarderà pochi interessati.

A quanto pare, anche per le sue intrinseche caratteristiche, al mondo dello Sport viene richiesto un ulteriore sacrificio per il contenimento della pandemia da Covid - 19.

Va evidenziato, pertanto, che le prestazioni degli atleti spesso sono il frutto del lavoro di decenni e che, purtroppo, possono essere compromesse anche a causa di qualche allenamento saltato.

Ne consegue che tali peculiarità dovrebbero essere oggetto di specifiche attenzioni da parte della funzione pubblica tanto da necessitare un intervento mirato; considerato anche che, ad oggi, appare del tutto insufficiente la misura di integrazione al reddito prevista dall'art. 96 del "Decreto Cura Italia" per i lavoratori autonomi.


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