E' lecito l'utilizzo di più contratti a termine con lo stesso lavoratore nel rapporto di lavoro pubblico, in deroga alla previsione che dispone la trasformazione a tempo indeterminato. Questo è quanto ha dichiarato la Corte Europea di Giustizia, con sentenza del 7 settembre 2006, causa C-53/04 e C-180/04, in cui ha affermato la piena legittimità, rispetto all'ordinamento comunitario, del d.lgs n. 165/2001 nella parte in cui ammette alle pubbliche amministrazioni l'utilizzazione di più contratti a termine, con lo stesso lavoratore, senza che questi siano trasformati in rapporto a tempo indeterminato, così come avviene con la normativa del settore privato. Tuttavia, il rinnovo continuato da diritto ad un risarcimento del danno in favore del lavoratore interessato. La vicenda vede interessato un cuoco di un'azienda ospedaliera pubblica che dopo di due successivi contratti a tempo determinato (il primo per il periodo 5 luglio 2001 - 4 gennaio 2002 e il secondo, firmato il 2 gennaio 2002 fino all'11 luglio 2002) si presenta sul posto di lavoro al termine del secondo contratto
e viene formalmente licenziato. L'interessato impugna la decisione di licenziamento dinanzi al Tribunale di Genova, chiedendo a quest'ultimo, da una parte, di dichiarare, sulla base del d.lgs. n. 368/2001, la sussistenza di un rapporto lavorativo a tempo indeterminato con l'azienda ospedaliera e, dall'altra, di condannare l'azienda stessa al pagamento delle retribuzioni dovute e al risarcimento del danno subito. L'azienda ospedaliera resiste opponendo l'inapplicabilità dell'art. 5 del d.lgs. n. 368/2001, in virtù dell'art. 36 del d.lgs. n. 165/2001 che vieta alle pubbliche amministrazioni di stipulare contratti di lavoro a tempo indeterminato. Il giudice, pur ritenendo che l'art. 36 del d.lgs. n. 165/2001, ha la natura di una lex specialis risultante dai principi costituzionali in materia di funzionamento e di organizzazione dei pubblici servizi, decide di sospendere il giudizio e di sottoporre la questione alla Corte.
Orbene, com'è noto, il lavoro a termine è disciplinato dal d.lgs 6 settembre 2001, n. 368, che prevede la legittima instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo determinato tutte le volte in cui ricorrano ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo. Nel novero della fattispecie dei rapporti a termine devono rientrare tutti i contratti reiterati, indipendentemente dal periodo di stacco. Invero, la Corte di Giustizia è intervenuta in merito con la sentenza del 04/07/2006, considerando non conforme alle finalità della normativa europea la normativa nazionale che intenda per rapporti a tempo determinato solo i contratti o rapporti di lavoro separati gli uni dagli altri da un lasso temporale pari o non superiore a 20 giorni lavorativi, in quanto tale previsione consentirebbe l'assunzione di lavoratori in modo precario per anni, consentendo un eventuale utilizzo abusivo di tali rapporti da parte dei datori di lavoro.
La violazione di precise disposizioni imperative, sfocianti in ipotesi patologiche del contratto a termine, comporta, quale effetto sanzionatorio la trasformazione del rapporto di lavoro da determinato ad indeterminato. Effetto che è precluso dal d.lgs n. 165 nel settore pubblico, in cui per il differente trattamento è stata chiamata in causa anche la Corte Costituzionale che con la sentenza n. 89 del 2003, ha respinto la richiesta di incostituzionalità dell'articolo 36 del decreto legislativo citato. Il rigetto si è fondato sulla necessità di salvaguardare il principio del concorso nell'accesso al pubblico impiego, la cui deroga è legittima solo quando è posta a miglior tutela dell'interesse pubblico, nei limiti della non manifesta irragionevolezza, ed è attuata mediante l'individuazione per legge di casi eccezionali. Nel settore privato, invece, la conversione del rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato è prevista dall'articolo 5 del d.lgs 368/2001 e scatta con efficacia retroattiva in modo automatico dalla data di stipula del primo contratto, quando due assunzioni si siano succedute senza soluzione di continuità, ovvero dalla data di assunzione di un secondo contratto a tempo determinato, se la riassunzione sia intervenuta in un periodo di dieci o venti giorni dalla data di scadenza del contratto (quando è rispettivamente di durata inferiore o maggiore di sei mesi) ovvero ancora dal ventunesimo o dal trentunesimo giorno successivo alla scadenza contrattuale, nel caso di prosecuzione indennizzata del rapporto. Nel settore del pubblico impiego, diversamente, si nega l'applicazione della conversione del rapporto, non tanto per la presenza di elementi di incompatibilità intrinseci all'istituto, bensì in ragione della sussistenza di specifiche norme di settore che escludono esplicitamente detta trasformazione. Al riguardo, la Corte Europea di Giustizia - che nella sentenza 4.7.2006 aveva già affermato la difformità al diritto comunitario di una legislazione nazionale che vieti in maniera assoluta, solo nel settore pubblico, la trasformazione di una successione di contratti, che hanno lo scopo di soddisfare fabbisogni permanenti e durevoli del datore di lavoro, a tempo determinato in un contratto di lavoro a tempo indeterminato - ha precisato che una normativa nazionale che preveda norme imperative relative alla durata e al rinnovo dei contratti a tempo determinato deve poter prevedere delle misure che presentino garanzie effettive di tutela dei lavoratori al fine di sanzionare debitamente tale abuso ed eliminare le conseguenze della violazione del diritto comunitario. Tanto premesso, - concludono i giudici della Corte - l'attuale normativa nazionale italiana, che nel settore pubblico, in caso di abuso derivante dall'utilizzo di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato, esclude che questi ultimi siano trasformati in contratti o in rapporti di lavoro a tempo indeterminato, diversamente da come avviene nel settore privato, in linea di principio, non osta, con il diritto comunitario, se tale normativa contenga un'altra misura effettiva destinata ad evitare e, se del caso, a sanzionare un utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato da parte di un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico. Sanzione che nel vigente ordinamento italiano trova applicazione con il diritto ad un risarcimento del danno in favore del lavoratore interessato. (Nota di Gesuele Bellini) LaPrevidenza.it, 24/11/2006
Corte di Giustizia UE , sez. II, sentenza 07.09.2006 n° C-180/04 - Gesuele Bellini

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