il Consiglio di Stato fissa i paletti del riparto delle competenze nell'ambito delle ordinanze statali, regionali e sindacali
Avv. Antonio Sette - Come già anticipato (leggi Decreto Lockdown Italia: misure di contenimento e inasprimento delle sanzioni), uno degli obiettivi del D.L. n. 19/2020 era quello di fissare in maniera certa il riparto di competenza nell'adozione dei provvedimenti di natura amministrativa (DPCM, ordinanze ministeriali, DPGR, ordinanze sindacali) "pro futuro" (art. 2, comma 1) ovvero in situazioni di urgenza (art. 3, comma 1), soprattutto allo scopo di mettere un argine alla frenetica ed ipertrofica produzione di ordinanze adottate dai Presidenti delle Regioni e financo da parte dei Sindaci, il più delle volte destinata a disciplinare fenomeni non necessariamente legati a specifiche situazioni emergenziali del territorio regionale (o comunale) di riferimento.

La deroga al riparto delle competenze

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L'art. 2, comma 1, secondo periodo, prevede, infatti, che sia i provvedimenti destinati ad avere efficacia sull'intero territorio nazionale che quelli destinati ad avere efficacia solo su un territorio regionale (o su parte di esso) ovvero in più regioni siano adottati dal Presidente del Consiglio dei Ministri; nel primo caso su proposta del Ministro della Salute, nel secondo caso su proposta dei Presidenti delle Regioni interessate.
Tale disciplina, motivata dalla necessità di garantire un coordinamento delle misure in sede statale e dalla necessità di costituire un corpus normativo unico ed uniforme più facilmente comprensibile sia dai destinatari delle misure sia dai soggetti deputati ad effettuare i controlli sull'osservanza delle stesse, costituisce deroga (che trova ampia e giustificata motivazione in relazione alla rilevanza nazionale ed internazionale dell'epidemia legata alla diffusione del virus COVID-19) rispetto al riparto delle competenze in vigore in caso di emergenze sanitarie ovvero in materia di sanità pubblica quale quello individuato dall'art. 32 della legge 23/12/1978 n. 833, dall' art. 117 del d.lgs. 31/3/1998 n. 112 e dall'art. 50, comma 5, del d.lgs. 18/8/2000 n. 267.

L'obiettivo perseguito, in primo luogo con la completa copertura legislativa di riferimento (decreto legge n. 19/2020), assume particolare rilievo perché i provvedimenti amministrativi emanati dai vari organi (statali, regionali e locali) avevano avuto un impatto diretto ed incisivo anche su diritti fondamentali di rango costituzionale, quali il diritto di libera circolazione (art. 16 Cost.) e il diritto di iniziativa economica privata (art. 41 Cost.), nonché indirettamente anche sulla libertà personale inviolabile (art.13 Cost.), pur nella consapevolezza che tali limitazioni sono state adottate allo scopo di tutelare altro diritto fondamentale quale quello alla salute (art. 32 Cost.) in una conclamata situazione pandemica[1].
Tali criticità erano assolutamente presenti allo stesso legislatore d'urgenza tanto che il Presidente del Consiglio dei Ministri nella relazione di presentazione alla Camera dei Deputati del decreto legge n. 19 ha affermato che "Per la prima volta dalla fine del secondo conflitto mondiale siamo stati costretti a limitare alcune delle libertà fondamentali garantite dalla Costituzione, in particolare la libertà di circolazione e soggiorno, la libertà di riunione nelle sue varie forme, la libertà di coltivare financo di contenere pratiche religiose. I principi ai quali ci siamo attenuti nella predisposizione delle misure contenitive del contagio sono stati quelli della massima precauzione ma contestualmente anche dell'adeguatezza e della proporzionalità dell'intervento rispetto all'obiettivo perseguito".

Ordinanze regionali

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Il DPCM (previsto dal D.L. n. 19/20) è stato adottato in data 1/4/2020 con effetti a partire dal 4/4/2020 e pertanto dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del richiamato DPCM deve ritenersi che i Presidenti delle Regioni non possano (avrebbero potuto) disporre nulla di diverso da quanto previsto nel DPCM, salvo le situazioni di urgenza in presenza dei presupposti indicati dall'art. 3, comma 1, del richiamato decreto legge.

Nonostante ciò anche successivamente all'adozione del DPCM dell'1 aprile (con efficacia su tutto il territorio nazionale dal 4 aprile) si è verificato un ulteriore proliferare di ordinanze dei Presidenti delle Regioni che tra il 3 e il 6 Aprile hanno dato ampio spazio alla loro creatività a prescindere dalla sussistenza della loro competenza ordinaria e nella maggior parte dei casi a prescindere dalla sussistenza di "specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario" legittimanti l'esercizio di un potere di ordinanza con misure ulteriormente restrittive rispetto a quelle nazionali.

Quanto alla competenza ordinaria si assiste alle più diverse soluzioni:

a) la Regione Lombardia da un lato dà atto di aver inoltrato una proposta, ma allo stesso tempo ritenendo la sussistenza dell'urgenza adotta una sua ordinanza "urgente";

b) la Regione Veneto dà atto che la propria proposta non è stata accolta e comunque adotta un'ordinanza dagli stessi contenuti qualificandola "urgente";

c) alcune Regioni (Toscana, Campania) alla luce dell'art. 2, comma 1, qualificano la loro ordinanza allo stesso tempo "proposta" (ai sensi dell'art. 2, comma 1) e "ordinanza urgente" (ai sensi dell'art. 3, comma 1);

d) altre Regioni (Piemonte, Friuli Venezia Giulia, Marche e Sicilia) trascurano del tutto la questione della loro competenza ordinaria verosimilmente ritenendo di dover implicitamente qualificare la loro ordinanza come "urgente".

Misure di contenimento

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Quanto al presupposto di merito richiesto per esercitare il potere ex art. 3 del decreto legge deve rilevarsi che (fatta eccezione la Regione Lombardia e la sua indubbia specifica situazione rispetto a quella nazionale) in nessuna delle ordinanze emanate dopo il DPCM dell'1/4/2020 vengono puntualmente descritte nella parte motivazionale quali sarebbero le "specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario" nella regione di riferimento, in quanto le dette ordinanze nella maggior parte dei casi si limitano a ripetere in maniera tautologica come mera clausola di stile la previsione normativa senza alcun supporto di dati statistici epidemiologici evidenzianti aggravamenti rispetto alla situazione fotografata dal DPCM avente efficacia sul territorio nazionale ovvero in qualche caso (ordinanza FVG del 3/4/2020) sono addirittura motivate dalla "situazione di possibile sofferenza delle strutture sanitarie conseguente ad un eventuale ulteriore incremento del numero dei contagiati e dei ricoverati" ovvero (ordinanza FVG del 7/4/2020) motivate dalle "possibili situazioni di aggravamento del rischio sanitario che si potrebbero verificare nel territorio regionale".

Tutte queste ordinanze devono ritenersi illegittime per carente e/o appare motivazione in quanto, come affermato dal Consiglio di Stato (Sez. I) in sede di parere (n. 7 del 7/4/2020) per l'annullamento straordinario di un'ordinanza sindacale del Sindaco di Messina, l'articolo 3 del D.L. 25/3/2020 n. 19 riconosce un'autonoma competenza ai Presidenti delle Regioni e ai Sindaci ma "solo al ricorrere di questi presupposti e delle seguenti condizioni:

a) nelle more dell'adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri di cui all'articolo 2, comma 1, e con efficacia limitata fino a tale momento;

b) in relazione a specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario verificatesi nel loro territorio o in una parte di esso; tali circostanze, in applicazione delle ordinarie regole sulla motivazione del provvedimento amministrativo, non devono solo essere enunciate, ma anche dimostrate;

c) esclusivamente nell'ambito delle attività di loro competenza;

d) senza incisione delle attività produttive e di quelle di rilevanza strategica per l'economia nazionale."

D'altra parte non può sottacersi che le ordinanze regionali sono state emanate nel giorno successivo (a quello della pubblicazione in GU del DPCM) in assenza di dati epidemiologici differenti sul punto, se non addirittura in presenza di dati in controtendenza in quanto rappresentanti curve di contagio decrescenti pur in presenza di un numero tendenzialmente maggiore di tamponi effettuati.

Tale situazione comporta che le misure adottate non soddisfano i principi di adeguatezza (idoneità della misura a raggiungere lo scopo) e proporzionalità (misura restrittiva indispensabile per affrontare la concreta esigenza esistente, senza richiedere alcun inutile sacrificio ai destinatari).

Profili sanzionatori

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Gli evidenziati profili di illegittimità, sia sotto il profilo della competenza sia sotto il profilo di merito delle ordinanze emanate, portano a ritenere che eventuali contestazioni sulla base delle stesse da parte degli organi di controllo in materia di attività motorie, chiusura domenicale degli esercizi commerciali e obbligo di guanti e mascherine potranno risultare inutilmente elevate nella misura in cui siano contestate condotte conformi a quanto previsto dal DPCM, ma difformi dalle singole ordinanze regionali, specie se si osserva che in alcuni casi le misure regionali (ad es. nel caso del divieto totale di svolgimento di attività motoria nelle Regioni Friuli Venezia Giulia, Campania e Sicilia) impattano, sino ad annullarla completamente, sulla libertà personale dell'individuo (art. 13 Cost.) ovvero su diritti costituzionalmente tutelati quali il diritto di iniziativa economica (chiusura esercizi commerciali).

Ordinanze dei Sindaci

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Le considerazioni sopra svolte devono essere ulteriormente ribadite, se non rafforzate, in riferimento all'esercizio del potere di ordinanza dei Sindaci [2] ex art. 50, comma 5, del d.lgs n. 267/2000, anche perché il fenomeno delle ordinanze sindacali, oltre a presentare diversi profili di illegittimità in relazione all'art. 3 comma 2, del D.L. n. 19/2020, risulta essere palesemente ipertrofico se non addirittura abnorme e del tutto privo dei necessari requisiti di adeguatezza e proporzionalità come evidenziato nel sopra richiamato parere del Consiglio di Stato relativo all'ordinanza del Sindaco di Messina del 5/4/2020 con cui lo stesso aveva introdotto l'obbligo per "Chiunque intende fare ingresso in Sicilia attraverso il Porto di Messina (Rada San Francesco, Porto Storico), sia che viaggi a piedi sia che viaggi a bordo di un qualsiasi mezzo di trasporto" di registrarsi, almeno 48 ore prima dell'orario previsto di partenza, "nel sistema di registrazione on-line www.sipassaacondizione.comune.messina.it, disponibile sul web e sulla pagina istituzionale del Comune di Messina", fornendo una serie di dati identificativi personali e relativi alla località di provenienza, a quella di destinazione e ai motivi del trasferimento, e di "Attendere il rilascio da parte del Comune di Messina, e per esso della Polizia Municipale alla quale è demandata l'attuazione e la vigilanza sulla esecuzione della presente Ordinanza, del Nulla Osta allo spostamento".

Si evidenzia, inoltre, che in molti Comuni sono state emanate ordinanze sindacali prive di qualsivoglia riferimento a specifiche situazioni locali in cui è stato disposto addirittura l'ordine di accedere agli esercizi commerciali in giornate diverse (in alcuni casi anche una sola volta a settimana) in base all'ordine alfabetico, prevedendo contestualmente la deroga a tale regime (e quindi consentendo l'accesso giornaliero) ai tabaccai ovvero in alcuni casi sanzionando penalmente (ex art. 650 c.p.) l'eventuale violazione; E' evidente che tali ordinanze dovranno ritenersi del tutto inefficaci come espressamente previsto dall'art. 3, comma 2, del D.L. n. 19/2020 e le sanzioni (amministrative o penali che siano) inutilmente irrogate.

[1] Sul punto per ulteriore approfondimento si rinvia a C. Roseto, "Il potere di ordinanza dei sindaci al tempo del coronavirus" in www.studiocataldi.it

[2] Sul punto F. Filice e G.Locati "Lo Stato democratico di diritto alla prova del contagio" su www.questionegiustizia.it


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