L'ordinanza regionale 514 ed il dpcm 22.3.2020: cosa prevale? Analisi delle disposizioni e una possibile soluzione di compromesso

Avv. Mario Claudio Capponi - Il 21 marzo 2020, con ordinanza n. 514 intitolata "Ulteriori misure per la prevenzione e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19" (reperibile sul sito della regione Lombardia), il Presidente della Regione Lombardia ha disposto, tra l'altro, che "sono chiuse le attività degli studi professionali salvo quelle relative ai servizi indifferibili ed urgenti o sottoposti a termini di scadenza" (lett. a, comma 12), con "effetto dal 22/03/2020 fino al 15/04/2020" (lett. b).

Il successivo 22 marzo 2020 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (leggi Coronavirus: ecco il nuovo decreto) ove, all'art. 1, lettera a), si prevede che "Le attività professionali non sono sospese e restano ferme le previsioni di cui all'articolo 1, punto 7, decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 11 marzo 2020" .

Disposizioni in contrasto?

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La rapida successione di disposizioni in apparente contrasto tra loro (contrasto che parrebbe confermato dal Presidente Fontana, che ha dichiarato di avere richiesto l'intervento del Viminale affinché sia dichiarato quale dei due testi normativi debba ritenersi prevalente) ha creato una grave situazione di confusione ed incertezza nell'ambito forense lombardo, ove numerosi professionisti si sono chiesti se procedere o meno, lunedì 23 marzo, all'apertura dei propri studi ed alla prestazione della propria attività.

La questione è stata ritenuta di tale rilevanza che persino il Presidente dell'Ordine degli Avvocati di Milano ha ravvisato la necessità d'intervenire pubblicamente sull'argomento, dichiarando all'ANSA che "Gli studi legali non possono chiudere del tutto, come gli studi notarili, e credo che l'interpretazione del provvedimento sia senza possibilità di equivoci, ossia che si possa andare nel proprio studio per gli affari urgenti, ad esempio per ritirare fascicoli urgenti che non sono digitalizzati".

Ciò che ci si propone con il presente intervento è di contribuire a riportare la vicenda entro i suoi corretti confini tecnici, e di proporre al contempo una soluzione pratica di compromesso ed equilibrio che consenta il contemperamento di valori costituzionali tutti di rango primario, quali il diritto alla salute, il diritto al lavoro ed il diritto alla difesa, spettanti ad ogni cittadino prima ancora che ad ogni professionista.

Potere normativo regionale e statale

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Il tema di fondo della questione, da un punto di vista squisitamente tecnico, coinvolge, come pare aver individuato il Presidente della Regione Lombardia, il delicato rapporto tra potere normativo statale e potere normativo regionale che, dopo la riforma operata con legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, si è andato delineando con caratteristiche forse meno nette e parzialmente difformi rispetto al più semplice sistema gerarchico previgente e così come caratterizzato nelle Preleggi.

Come noto, l'art. 117 Cost., così come riformulato con la riforma del 2001, con riferimento alla potestà legislativa fa riferimento alle tre figure della legislazione esclusiva, attribuita allo Stato, della legislazione concorrente, di spettanza delle Regioni salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, che rimane in capo allo Stato, e legislazione residuale (per tale intendendosi quella relativa ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato), di competenza unicamente regionale.

Fra le materie di legislazione concorrente, e perciò di spettanza delle Regioni, l'art. 117 Cost. indica sia la tutela della salute, sia le professioni. Parrebbe pertanto indiscutibile che, nel caso specifico, si sia in presenza d'argomento che a buon diritto la Regione Lombardia ha ritenuto di propria competenza.

Il fatto è che il potere normativo regionale è limitato: secondo quanto previsto all'art. 120 Cost., "La Regione non può istituire dazi ... né limitare l'esercizio del diritto al lavoro in qualunque parte del territorio nazionale".

Una lettura coordinata degli artt. 117 e 120 Cost., in altri termini, induce a concludere che se pure le Regioni possono introdurre specifiche discipline in materia di tutela della salute e di professioni, tuttavia esse non dispongono del potere di limitare l'esercizio di queste ultime. Altrimenti detto, la Regione Lombardia poteva dettare una disciplina che imponesse, per lo svolgimento delle attività professionali, l'adozione di predeterminate modalità e cautele idonee a consentire il contenimento della diffusione del contagio da COVID-19, ma non disponeva affatto del potere d'inibire tout court le attività professionali stesse, così come invece pare aver inteso fare.

Un simile potere rimane se mai in capo allo Stato, ed in tal senso appare corretto che la questione afferente la chiusura o meno di attività produttive, commerciali e di servizi sia stata resa oggetto d'una disciplina di derivazione statale, quale appunto il dpcm 22 marzo 2020, che ad avviso di chi scrive deve ritenersi sullo specifico punto la normativa di esclusivo riferimento, come del resto risulterebbe confermato dal tenore dell'art. 2 d.l. 25 marzo 2020, n. 19, che attribuisce il potere di attuazione delle misure emergenziali di contenimento al Presidente del Consiglio dei Ministri o, in subordine, al Ministro della Salute, e dal successivo art. 3 del medesimo decreto legge che, per quanto concerne eventuali misure regionali, dispone che esse possano essere assunte soltanto nelle more dell'adozione dei provvedimenti attuativi del Presidente del Consiglio e con efficacia limitata fino a tale momento, ed in ogni caso "esclusivamente nell'ambito delle attività di loro competenza e senza incisione delle attività produttive".

Così inquadrata la questione, il sollevato problema in termini di prevalenza o meno del testo normativo regionale su quello statale appare in realtà inesistente. Per le parti concernenti la disciplina in ordine alla possibilità di svolgimento o meno, in sé, di attività lavorative, si dovrà in effetti fare riferimento esclusivamente a quanto disposto nel dpcm 22 marzo 2020, secondo cui, per l'appunto, "le attività professionali non sono sospese", senza tener conto in alcun modo di eventuali differenti disposizioni regionali, tra l'altro temporalmente anteriori rispetto a tale provvedimento ed in contrasto con esso, e che risulterebbero inammissibilmente limitative del diritto al lavoro spettante ad ogni professionista.

L'inciso "servizi indifferibili e urgenti o sottoposti a termini di scadenza"

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L'ordinanza regionale in esame appare inidonea ad inibire lo svolgimento dell'attività degli studi legali anche sotto un altro, ulteriore aspetto, consistente nell'esenzione dall'obbligo di chiusura per le attività relative ai "servizi indifferibili ed urgenti o sottoposti a termini di scadenza".

Specialmente con riferimento agli studi legali che si occupano di attività giudiziale, se è pur vero che a norma dell'art. 83, comma 2, d.l. 17 marzo 2020, n. 18, "dal 9 marzo 2020 al 15 aprile 2020 è sospeso il decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali", è altrettanto vero che il compimento di quei medesimi atti resta pur sempre sottoposto a termine di scadenza, anche se differito.

I servizi prestati da studi legali che si occupano del patrocinio in giudizio sono per definizione sottoposti a termini di scadenza, e ben potrebbero pertanto ritenersi esentati, come tali, dall'obbligo di chiusura di cui all'ord. reg. Lombardia 514/2020.

Una siffatta conclusione interpretativa, che di per sé sola potrebbe risultare di sapore meramente letterale e formalistico, viene tuttavia corroborata anche da una considerazione di buon senso di più ampio respiro.

Come noto, la sospensione delle udienze e dei termini processuali introdotta dapprima con d.l. 8 marzo 2020, n . 11, e poi reiterata con modifiche con d.l. 17 marzo 2020, n. 18 (da cui l'infelice formulazione "dal 9 marzo 2020" contenuta all'art. 83 d.l. 18/2020 e che lo fa così apparire allo stato come norma retroattiva in violazione del principio di cui all'art. 11 Preleggi, secondo cui "la legge non dispone che per l'avvenire: essa non ha effetto retroattivo"), non investe in realtà tutti i procedimenti, escludendone al contrario una lunga serie.

In tempi di processo telematico, non è affatto inimmaginabile che anche nel momento in cui si scrive un soggetto residente o con sede in Lombardia possa venire coinvolto ex novo in un procedimento giudiziale e si trovi nella necessità di richiedere assistenza legale. Basti pensare all'ipotesi, per formularne una fra le tante possibili, d'un procedimento cautelare avviato da privato residente a Napoli, nei confronti di editore con sede a Milano, che lamenti la violazione d'un diritto all'immagine, notificato dall'avvocato napoletano del ricorrente via PEC.

In tale contesto, apparirebbe gravemente ingiusto, se non financo lesivo del diritto alla difesa riguardato nella sua pienezza, che l'editore milanese non potesse rivolgersi al proprio legale di fiducia soltanto perché al medesimo è stata inibita l'attività per effetto del provvedimento regionale 514/2020, ed anche sotto tale profilo appare pertanto più ragionevole una sua lettura meno restrittiva rispetto a quanto non sia stato inizialmente inteso da più parti.

Una possibile soluzione pratica di compromesso

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Concludere che la chiusura delle attività professionali di cui all'ordinanza della Regione Lombardia n. 514/2020 non riguarda le attività degli studi legali non deve indurre il professionista a ritenersi libero da ogni vincolo.

L'avvocato è tenuto a conformarsi ai princìpi ispiratori della sua professione, e perciò a tutelare sì in ogni sede il diritto alla libertà ed alla inviolabilità ed effettività della difesa, ma anche l'affidamento della collettività nella sua figura (art. 1 Cod. Deont.) ed a tenere comportamenti idonei a salvaguardare l'immagine della professione forense (artt. 2 e 63 Cod. Deont.).

Sarebbe francamente irresponsabile, nel contesto emergenziale attuale, fruire dei privilegi che la funzione avvocatizia attribuisce per tenere comportamenti stridenti con l'esigenza generale di contenere la diffusione d'un contagio epidemico, sfruttando le pieghe che una normazione che, almeno a prima vista, sembrerebbe quantomeno frettolosa ed imprecisa, è venuta suo malgrado a creare.

Altrimenti detto, appare ineludibile, da un lato, l'obbligo dell'avvocato di far sì che ogni cittadino sia lasciato in grado di ricevere adeguata difesa, e di non rinunciare conseguentemente allo svolgimento della propria attività. E' tuttavia parimenti doveroso che l'avvocato si faccia carico della propria responsabilità sociale, attivandosi affinché lo spirito che muove l'attuale legislazione emergenziale, per quanto di infelice formulazione, trovi la sua attuazione.

In questo apparente contrasto tra diritto alla salute, diritto al lavoro e diritto alla difesa, la soluzione che lo scrivente ritiene d'aver trovato è la seguente: mantenere l'apertura degli studi, così da assicurare un presidio per eventuali situazioni in cui si renda indifferibile ed urgente il ricorso ad un avvocato, ma nel contempo limitare radicalmente l'organico in attività ai soli componenti assolutamente indispensabili, ed assicurandosi in ogni caso che sia lo svolgimento del lavoro, sia gli spostamenti per recarsi in ufficio o all'interno dell'ufficio medesimo avvengano con modalità idonee ad evitare il diffondersi del contagio o anche soltanto la creazione di situazioni di rischio di diffusione.

Sul sito dello studio è presente una pagina ove si legge che "in attesa d'un coordinamento normativo, lo Studio Legale Capponi, a tutela dei propri Assistiti ma nel contempo della salute pubblica e dei propri collaboratori, si è determinato a dare disposizioni al proprio personale affinché sia assicurata la presenza in ufficio, per ogni giorno lavorativo, d'un solo singolo componente, scelto tra quanti siano in grado di spostarsi con mezzi propri individuali e non pubblici, che svolgerà le funzioni di presidio telefonico per il ricevimento ed eventuale smistamento di chiamate d'emergenza, ricezione ed esame di fax e corrispondenza, trasmissione telematica di scansioni di scritti e documenti necessari per l'operatività dei collaboratori da casa". Si auspica francamente che molti avvocati s'incamminino su questa via.

Avv. Mario Claudio Capponi

studiolegale@capponilegalstudio.it

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