Il "diritto di visita" in affidamento condiviso conduce la Cassazione a sorprendenti affermazioni sulle "facoltà" di genitori e figli. Delineato un modello incompatibile con principi generali e norme specifiche

di Marino Maglietta - Ineccepibile il ragionamento che conduce la Cassazione (SC nel seguito) a sostenere l'impossibilità di utilizzare l'art. 614-bis c.p.c. per obbligare un genitore non collocatario a frequentare il figlio. Purtroppo, tuttavia, l'intera costruzione si fonda su malfermi e discutibili presupposti giuridici. La SC, infatti, tratta la materia senza fare alcun riferimento ai profondi cambiamenti della normativa avvenuti con la riforma del 2006 e non preoccupandosi di confrontarsi con alcun riferimento che sia diverso da se stessa, senza neppure accorgersi che i precedenti che utilizza sono addirittura anteriori all'introduzione dell'affidamento condiviso. La verifica è quanto mai semplice, perché interi antichi passaggi logici vengono riprodotti pressoché inalterati, curando solo di sostituire nominalisticamente a " genitore non affidatario" " genitore non collocatario"; come è già stato recentemente mostrato (v. Affido condiviso: la Cassazione torna indietro di mezzo secolo).

Ci sarebbe, quindi da chiedersi cosa ha di interessante una pronuncia che si pone nel solco di tantissime altre. E' presto detto. Cass. n. 6471/2020 evidenzia e tratta esplicitamente tutto ciò che concettualmente si limitava a serpeggiare tra le righe e che formalmente emergeva solo in atti semiufficiali come la modulistica per le separazioni.

Incompatibilità del "diritto di visita" con l'affidamento condiviso

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Accade così che tutto l'armamentario terminologico antecedente alla riforma del 2006 venga testualmente conservato, a partire proprio dal concetto di "diritto di visita", oggetto dell'ordinanza, che non può trovare ospitalità in un contesto di affidamento condiviso.

Non si comprende, infatti, come in quel regime, una volta ammesso che a prendersi cura dei figli sono chiamati pariteticamente entrambi i genitori, entrambi affidatari, si possa sostenere che i figli siano legittimamente da pensare conviventi con uno solo di essi, presso il quale l'altro genitore ha facoltà di andarli a trovare di tanto in tanto, e solo se ne ha voglia. Pertanto, l'incoercibilità del diritto di visita è effettivamente dimostrata con un ragionamento formalmente valido, ma solo se si ammette di trovarsi in un regime di affidamento esclusivo.

A dimostrazione di ciò, essendo non contestabile la pari investitura dei genitori nei confronti dei figli, se non altro ai sensi dell'articolo 30 della Costituzione, la discrezionalità nel mantenersi in contatto con i figli dovrebbe valere anche per il genitore collocatario; un'affermazione dalla quale conseguirebbe il diritto, in linea di principio, dei genitori di abbandonare la prole. Chi scrive è perfettamente consapevole del fatto che la SC non ha dimenticato che resterebbero sanzionabili, anche penalmente, le conseguenze della mancanza di contatto. Solo che riservare a quegli aspetti l'esercizio o meno del diritto-dovere di contatto (ovvero limitarsi a sanzionare le conseguenze del mancato esercizio) significa rinunciare ad una impostazione coerente con i principi generali - che oltre tutto avrebbe una efficace funzione preventiva - e accontentarsi di punire il manifestarsi di effetti collaterali indesiderati, a danno subito.

Citazioni modificate della normativa vigente

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Allo stesso tempo, appare evidente che l'esercizio di un "diritto di visita" da parte di un genitore definito "convivente" appare inconcepibile, il che rimarca le differenze tra genitori di natura giuridica sostanziale che questo approccio costruisce. E difatti la SC non lo discute e non lo ipotizza neppure. Tuttavia, forse consapevole di porsi su posizioni indifendibili e nel tentativo di prevenire inevitabili e pesanti obiezioni ricorre all'inaccettabile espediente di modificare, nel citarlo, lo stesso testo della norma, forse sperando nella distrazione dei lettori. Il rapporto dei figli con ciascuno dei genitori (loro diritto indisponibile) che l'art. 337-ter comma I c.c. caratterizza come "equilibrato e continuativo" viene dalla Corte di legittimità illegittimamente ribattezzato come "equilibrato e significativo", equiparando in tal modo il rapporto dei figli con i genitori a quello con gli ascendenti, soggetto in tutt'altra relazione con gli interessati: "l'esercizio in comune della responsabilità genitoriale che è destinato … attraverso l'affido condiviso, a mantenere rapporti equilibrati e significativi con entrambi i genitori (art. 337-ter cod. civ.)." Operazione che ripete più avanti, amputando anche il termine "equilibrato" e nuovamente utilizzando il termine "significativo" ("Al diritto del genitore non convivente di continuare a mantenere rapporti significativi con i figli minori corrisponde…"), così privando la norma di qualsiasi concretezza e oggettività.

Interpretazioni "soggettive" della legge 54/2006

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Né si ferma qui. Al comma II dell'art. 337-ter c.c., infatti, il legislatore, dopo che è stato pronunciato l'affidamento a entrambi i genitori, non può fare a meno di incaricare il giudice di definire le occasioni e le modalità di contatto tra i figli e ciascuno di essi ("determina i tempi e le modalita' della loro presenza presso ciascun genitore"), poiché lui solo, in caso di disaccordo, dovrà stabilire quali sono i giorni in cui stanno dalla madre e quelli in cui deve occuparsene il padre nonché, ad es., a chi e quando spetta andarli a prendere o accompagnarli. Tuttavia la SC in 6471/2020 si posiziona diversamente e si sbilancia a sostenere fantasiosamente che il legislatore con quel passaggio ha inteso attribuire al giudice la declinazione del "diritto di visita"; ovvero che di quella prescrizione non è destinatario l'intero gruppo familiare, ma solo il genitore non collocatario: "le parti - o in caso di mancato accordo il giudice - dopo aver determinato il genitore con il quale i minori continueranno a convivere, stabiliscono anche i tempi e le modalità di presenza dei figli presso il genitore non collocatario". Una procedura che si sposa perfettamente con la prassi dominante, in forza della quale in sostanza il giudice è chiamato a stabilire se il genitore emarginato potrà "vedere e tenere con sé" (come si legge nei prestampati di quasi tutte le cancellerie) i figli il mercoledì e il giovedì pomeriggio o solo il giovedì; oltre al fatidico w-e alternato. Ma al tempo stesso tesi di incredibile audacia, visto che si scontra con la sistematica cancellazione operata dal legislatore di ogni minimale differenza tra i genitori presente nell'antica formulazione, alla quale ci si aspettava che una corte di legittimità dedicasse la necessaria attenzione.

Innovativa definizione della bigenitorialità

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Viceversa, una volta schieratasi a favore del modello a genitore prevalente risulta indispensabile alla SC intervenire anche sul concetto stesso di bigenitorialità, dandone una personale definizione coerente con la scelta fatta, evidentemente incompatibile con quella del legislatore del 2006: "… da intendersi quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio che sia idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, nel dovere dei primi di cooperare nell'assistenza, educazione ed istruzione del secondo (ex multis: Cass. 23/09/2015 n. 18817; Cass. 22/05/2014 n. 11412; Cass.9764/2019).". Una definizione nella quale salta agli occhi l'inserimento surrettizio del concetto di "stabilità", da non intendersi come pieno mantenimento dei precedenti legami affettivi e contributo educativo, ma come aziendale tutela di una collocazione materiale fissa presso l'abitazione di un solo genitore. Le espressioni che si riferiscono alla duplice responsabilità genitoriale appaiono, infatti, in forza del contesto generale, come una eterogenea giustapposizione a preventiva autodifesa all'interno di una evidente opzione a favore della monogenitorialità, totalmente mancando di sostanza e costituendo solo un non credibile, astratto e del tutto virtuale riferimento ai valori e ai diritti che l'affidamento condiviso intende concretamente stabilire e tutelare.

Legame diretto con l'affidamento esclusivo

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E che questa sia la lettura corretta del pensiero della SC è confermato pienamente dalle successive citazioni (giustamente ex multis), introdotte a sostegno della propria tesi, senza percepire che in realtà testimoniano (ove pertinenti) solo una concezione dell'affidamento filiata direttamente da quello esclusivo, riproducendone fedelmente i cardini; come qui inizialmente osservato. Vediamole in dettaglio. Il rinvio a Cass. 9764/2019 nulla aggiunge alle tesi di Cass. 6471/2020 essendone la redazione della stessa mano, tanto che la pag. 4 di quel provvedimento ripete, copia e incolla, le identiche parole sopra riportate, citazioni incluse. D'altra parte, è difficile comprendere quale contributo possa venire dalla sentenza 11412/2014, visto che l'unico accenno al modello applicativo recita: "Nella concreta fattispecie proprio tenuto conto dell'interesse esclusivo del minore e della consumata violazione (per condotta imputabile alla ricorrente e per la conflittualità in atto tra i genitori) del suo diritto alla bigenitorialità, la Corte territoriale ha affidato il minore stesso al Servizio Sociale di xz". Nel resto si parla di tutt'altro.

Resta, ed è indubbiamente interessante, il riferimento a Cass. 18817/2015, ove si legge: "La corte di merito ha dovuto prendere atto della particolare situazione venutasi a creare a seguito della cessazione della convivenza more uxorio, e segnatamente dell'avvenuto trasferimento della residenza della G… in una città diversa da quella in cui viveva … che ha reso necessarie scelte appropriate in ordine all'individuazione dei tempi e delle modalità di permanenza del minore presso ciascun genitore." Quindi nel caso particolare per la discriminazione tra i genitori, contestata dal ricorrente, ci si giustifica con le difficoltà materiali prodotte dalla distanza. Tuttavia, non cogliendo il vizio logico (si sarebbe dovuto e potuto saltare ogni giustificazione se si fosse creduto davvero nella necessità di un genitore prevalente), per quanto attiene ai criteri generali si ripetono pedissequamente e acriticamente - come già osservato - quelli utilizzati a suo tempo per l'affidamento esclusivo: "… l'individuazione del genitore collocatario deve aver luogo sulla base di un giudizio prognostico circa la capacità dello stesso di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione determinata dal fallimento dell'unione, giudizio da formularsi con riferimento ad elementi concreti, emergenti non solo dalle modalità con cui ciascuno dei genitori ha svolto in passato i propri compiti, ma anche con riguardo alla rispettiva capacità di relazione affettiva, attenzione, comprensione, educazione e disponibilità ad un assiduo rapporto, nonché alla personalità del genitore, alle sue consuetudini di vita ed all'ambiente sociale e familiare che è in grado di offrire al minore."

Da cui emerge che si sta operando una selezione tra i due genitori, alla ricerca del migliore dei due, quello (ogni espressione è al singolare) che provvederà a crescerlo ed educarlo. Dove? Nell'ambiente dove lui vive e dove quindi vivrà il figlio. L'altro scompare. Anzi no, può andare a visitarlo; se vuole. E già con questo, con la distinzione di ruoli e competenze, la bigenitorialità non esiste più.

Rileva comunque, se ce ne fosse ancora bisogno, mettere accanto a questi concetti quelli utilizzati in Cass. 6312/1999 per l'individuazione del genitore cui attribuire l'affidamento esclusivo dei figli: "… il giudice della separazione e del divorzio deve attenersi al criterio fondamentale - posto per la separazione dal legislatore della riforma del diritto di famiglia nell'art. 155 comma 1 c.c. … dell'esclusivo interesse morale e materiale della prole, privilegiando quel genitore che appaia il più idoneo a ridurre al massimo - nei limiti consentiti da una situazione comunque traumatizzante - i danni derivati dalla disgregazione del nucleo familiare e ad assicurare il migliore sviluppo possibile della personalità del minore, in quel contesto di vita che risulti più adeguato a soddisfare le sue esigenze materiali, morali e psicologiche". I concetti sono del tutto analoghi, ma nel 1999 il citato legislatore era quello del 1975, per cui l'estensore del provvedimento era perfettamente legittimato dalla normativa di allora a evidenziare la necessità di individuare un genitore più idoneo dell'altro e a dettarne i criteri. Non così chi scrive nel 2020. Ovvero si usano le identiche considerazioni per spiegare due riforme che si pongono agli antipodi, tanto che la seconda è stata definita "rivoluzione copernicana" rispetto alla prima.

Dovere di frequentazione da includere in diritto cura e assistenza morale

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D'altra parte, sviluppate queste considerazioni e negata l'esistenza di un "diritto di visita", sembrerebbe che il giudicante resti ancor più disarmato di fronte a un genitore che rifiuti la frequentazione del figlio; non a caso nella fattispecie negato il ricorso all'art. 614 bis c.p.c. si invocano velleitari percorsi di recupero, subordinati all'accordo tra i soggetti, che nulla hanno di giuridico. A meno che, si dice, non ricorrano gli estremi per sanzioni penali conseguenti al disinteresse.

Viceversa una soluzione esiste, dettata da una lettura più attenta e fedele della normativa stessa. Il legislatore, infatti, ha declinato in modo più specifico ed esatto le prescrizioni dell'articolo 30 Cost., sostituendo il ben più ampio concetto di cura al termine mantenimento. E percorrendo questa via il problema neppure si pone. Nel momento in cui ciascuno dei genitori ha l'obbligo di soddisfare determinati bisogni del figlio ciò comporta automaticamente la necessità di incontrarlo. L'assegnazione di compiti di cura, in partenza, ad entrambi i genitori, entrambi investiti di identiche responsabilità anche se articolate in ambiti diversi, permetterebbe di realizzare il contatto nel modo più fisiologico - il medesimo che si realizza all'interno della famiglia non separata - senza introdurre tra di essi discriminazioni non previste dalla legge e senza ricorrere all'invenzione di un concetto come quello del "diritto di visita", estraneo al contesto dell'affidamento condiviso. È infatti evidente che non si può svolgere alcun compito educativo e/o di cura senza frequentare chi ne è oggetto. Quindi se, nel suo approccio puerocentrico, la legge 54/2996 attribuisce al figlio il diritto indisponibile a un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori (e questo lo si legge) non si vede come sostenere che tuttavia il genitore resta libero di vedere il figlio oppure no, a sua discrezione (e infatti non c'è scritto). Esattamente come definire facoltativa la frequentazione si pone in contrasto anche con il diritto dei figli alla "assistenza morale" da parte di ciascuno dei genitori, di più recente introduzione, intrinsecamente collegato alla presenza fisica (si veda la giurisprudenza sul danno esistenziale).

D'altra parte, la precisazione dei giorni in cui il figlio è rimesso alla custodia di uno dei genitori viene ad avere l'unico senso di razionalizzarne la gestione, fermo restando che la presenza di quel genitore deve necessariamente esserci. È' sottintesa. Esattamente come, si potrebbe aggiungere, nel concetto di cura è sottintesa la forma diretta del contributo al mantenimento economico. Riassumendo: non ci si può prendere cura di un figlio, non lo si può educare e confortare, non si può provvedere ai suoi bisogni senza essere presenti nella sua giornata e senza assumere oneri economici.

Questo è il modello scelto dal legislatore, in forza del quale, se rispettato, sarebbero giuridicamente improponibili soppressioni della frequentazione che fossero desiderate sia dal genitore che dal figlio.

Figlio la cui disponibilità agli incontri sarebbe viceversa essenziale, nell'approccio della SC qui discusso. Difatti, le non condivisibili considerazioni sul facoltativo "diritto di visita" sono accompagnate dall'altrettanto sorprendente affermazione di ulteriore aleatorietà di rapporto, che viene subordinato anche alla buona o mala voglia dei figli di avere a che fare con quel genitore: "Rimarca, in via speculare, il carattere non obbligato ed incoercibile del dovere di frequentazione del genitore, il diritto del figlio minore di frequentare il genitore quale esito di una sua scelta, libera ed autodeterminata, per caratteri tanto più obiettivamente inverabili quanto più vicina sia la maggiore età e che, in quanto tali, possono spingersi fino al rifiuto stesso (Cass. 13/08/2019 n. 21341 non massimata, p. 8). Ovviamente non stupisce che la citata ordinanza del 2019 abbia avuto la medesima fonte redazionale della presente.

Conclusioni

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Comunque, nella speranza che almeno la dottrina voglia raccogliere quanto qui segnalato, potrebbe sommessamente suggerirsi una diversa formulazione del principio di diritto oggetto del presente commento. Ovvero:

"Il diritto-dovere di frequentazione del figlio minore che spetta a ciascuno dei genitori non è suscettibile di coercizione neppure nella forma indiretta di cui all'art. 614-bis c.p.c., ma deve trovare diretta e automatica soddisfazione nei compiti di educazione e cura che ad entrambi compete in regime di affidamento condiviso".

Concludendo, rammentando che la Suprema Corte è depositaria di decisioni non reclamabili, per cui gli esposti orientamenti, che si stanno confermando e rafforzando a ritmo crescente nei tempi recenti, non sono modificabili per vie interne alla giurisprudenza, è ancora più doloroso e preoccupante prendere atto della attuale non percorribilità della via legislativa, già tentata innumerevoli volte per gli identici motivi di rammarico qui espressi, essendo il Parlamento necessariamente chiamato ad occuparsi delle note emergenze, adesso e chissà per quanto tempo ancora.

Leggi anche Non si può obbligare il genitore a vedere il figlio


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