La sentenza del tribunale di Roma che affronta il tema dell'usura nell'ambito dei rapporti bancari e la giurisprudenza delle sezioni unite della Cassazione in materia

Avv. Giuseppe de Simone - La sentenza del tribunale di Roma n. 20400/2019 (sotto allegata) affronta il delicato tema dell'usura nell'ambito dei rapporti bancari.

Usura in danno del correntista: la vicenda

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Nella fattispecie, l'attore aveva agito giudizialmente nei confronti della Banca allo scopo di far accertare la nullità degli addebiti operati in suo danno, principalmente per superamento del tasso soglia previsto dalla legge.

La Banca, costituendosi in giudizio, aveva ribadito la legittimità del proprio operato, confermando il saldo negativo a carico del cliente.

Espletata ctu contabile, oggetto di successiva integrazione, il Tribunale definiva la vicenda rideterminando il saldo in favore dell'attore (che risultava a credito e non più a debito) e condannando la convenuta al pagamento delle spese legali e delle spese della consulenza d'ufficio.

La sentenza in oggetto merita particolare attenzione sia per i profili considerati sia, prima ancora, per aver riconosciuto l'esistenza di usura in danno del correntista, troppo spesso trascurata nelle aule giudiziarie.

La Cassazione sull'usura nella fase esecutiva del rapporto

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La questione di diritto su cui si sono concentrate le avverse difese è quella della rilevanza dell'usura che sopraggiunga nella fase esecutiva del rapporto.

Sul punto, come noto, la Suprema Corte, a Sezioni Unite, con sentenza numero 24675 del 19 ottobre 2017, ha stabilito il seguente principio di diritto: "Allorché il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell'usura come determinata in base alle disposizioni della L. n. 108 del 1996, non si verifica la nullità o l'inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all'entrata in vigore della predetta legge, o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula; né la pretesa del mutuante di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di tale soglia, contraria al dovere di buona fede nell'esecuzione del contratto".

All'indomani di detta sentenza si sono susseguite, come prevedibile, discordanti opzioni interpretative.

L'approccio "filobancario"

Secondo un approccio, per così dire "filobancario", si è giunti a sostenere che il principio espresso dagli Ermellini non solo avrebbe efficacia per tutti i rapporti bancari, di qualunque natura, ma che esso precluderebbe, in radice, ogni verifica di usurarietà dei rapporti di conto corrente diversa da quella eseguibile al momento della stipula dell'originario contratto.

Sulla base di tale impostazione, in altri termini, una volta appurato che il tasso originariamente pattuito (al momento della sottoscrizione del contratto di apertura del conto ovvero del contratto di affidamento) sia rispettoso della soglia di legge, a nulla potrebbero rilevare le successive variazioni del medesimo, che risulterebbero esenti da ogni possibile scrutinio sotto tale profilo.

L'interpretazione appena richiamata, in realtà, non convince.

L'interpretazione che non convince

Non convince, in primo luogo, per un rilievo di pura semantica giuridica: il vigente art. 644 c.p., infatti, nell'incriminare l'usura, proibisce e punisce la condotta non solo di chi si fa "promettere" ma anche di chi si fa "dare" "interessi o altri vantaggi usurari".

La ratio legis appare, obiettivamente, chiara.

Il legislatore, nell'ottica di massima oggettivizzazione della fattispecie, ha inteso reprimere il fenomeno dell'usura in tutte le sue possibili estrinsecazioni, incriminando, oltre alla pura pattuizione di interessi illegittimi (la "promessa", appunto), anche la dazione, ovvero il concreto ed effettivo pagamento dei suddetti interessi ("dare", come recita la norma).

L'usura, come insegna anche la migliore dottrina, si configura come reato ad esecuzione differita o prolungata: commette usura, infatti, anche chi, a distanza di tempo dalla concessione del denaro, di fatto incassi interessi che, in quel preciso momento, risultino usurari proprio perché non rispettosi della soglia di legge.

Peraltro, sarebbe opportuno contestualizzare con precisione l'ambito di intervento delle stesse Sezioni Unite in tema di usura "sopravvenuta".

Il caso: usura "sopravvenuta"

Nel caso sottoposto al Supremo Collegio, infatti, oggetto del contendere era un contratto di mutuo stipulato anteriormente all'entrata in vigore della Legge 108/1996 (per la precisione, nel 1990), nel quale gli interessi, originariamente pattuiti nell'ambito del tasso soglia, erano poi risultati usurari a seguito dell'operatività della nuova legge.

La parte mutuataria aveva convenuto in giudizio la banca mutuante al fine di sentir dichiarare la nullità della clausola contrattuale che fissava un tasso di interessi superiore al tasso soglia stabilito dalla legge del 7 marzo del 1996, n. 108 in materia di usura, entrata in vigore nel corso del rapporto.

Parte attrice chiedeva, altresì, la condanna della convenuta al rimborso degli interessi già riscossi (con conseguente gratuità del mutuo) o comunque al rimborso delle somme per la parte di tali interessi eccedente il tasso legale o quello ritenuto giusto, nonché la condanna al risarcimento dei danni, anche morali, conseguenti al reato di usura commesso dalla banca che, peraltro, si era rifiutata di rinegoziare il tasso di interessi dopo l'entrata in vigore della legge n. 108.

In primo grado, il Tribunale di Milano aveva accolto la domanda ed aveva condannato il convenuto al rimborso degli interessi riscossi per la parte eccedente il tasso soglia.

La Corte di Appello, su impugnazione dell'istituto di credito soccombente, aveva riformato integralmente la sentenza pronunciata in primo grado, ritenendo legittima la clausola degli interessi a causa della qualificazione del contratto in termini di mutuo fondiario, ai sensi del d. P. R. 1 gennaio 1976, n. 7 sul credito fondiario, con conseguente inapplicabilità della disciplina recata dalla legge n. 108 del 1996.

La società mutuataria aveva quindi proposto ricorso per Cassazione.

La Prima Sezione, con ordinanza interlocutoria n. 2484/2017, dopo aver ricondotto nell'alveo della legge n. 108 del 1996 anche i contratti di mutuo fondiario, rimetteva gli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della questione relativa all'incidenza del sistema normativo antiusura rispetto ai contratti stipulati prima della sua entrata in vigore.

Le Sezioni Unite si esprimevano evidenziando il principio di diritto sopra riportato.

La soluzione delle SS.UU. non può valere erga omnes

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A ben guardare, detta soluzione, opportunamente rapportata al caso di specie (la sentenza fa stato solo tra le parti, nel nostro sistema processuale), non può valere, indistintamente, erga omnes.

Un conto, infatti, è discutere dell'applicabilità di una norma anche a vicende antecedenti l'entrata in vigore della legge che la contempli, altro è quello di cristallizzarne la portata in un momento ben definito, con ciò neutralizzandone, o, quantomeno, riducendone sensibilmente, gli effetti e la portata.

Ma non solo.

Molti rapporti bancari sono ontologicamente strutturati per evolversi, mutevolmente, nel tempo.

Pensiamo ad un mutuo, a tasso variabile, di durata trentennale.

Pensiamo, ancora, ad un rapporto di conto corrente, con affidamento, che si sviluppi per anni, in presenza di costante esercizio, da parte della Banca, del ius variandi.

Possiamo ragionevolmente ritenere che, in questi casi, la normativa antiusura non debba trovare applicazione ?

Possiamo ritenere lecito che il rapporto si evolva ad libitum, a beneficio del finanziatore, senza alcuna possibilità di controllo sull'entità degli interessi o comunque dei vantaggi pretesi ed incassati quale controprestazione?

La tesi affermativa conduce, a ben guardare, ad una sostanziale eliminazione del presidio giuridico costituito dalla Legge 108.

La relazione governativa alla legge n. 108/1996

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Interessante appare, sotto tale aspetto, riportare alcuni passi della relazione governativa al disegno di legge n. 4941 di "Conversione in legge del decreto-legge 29 dicembre 2000, n. 394, concernente interpretazione autentica della legge 7 marzo 1996, n. 108, recante disposizioni in materia di usura".

In particolare, evidenziamo i seguenti passaggi del relatore.

"In vigenza della precedente disciplina, la dottrina dominante e la giurisprudenza costante della Corte di Cassazione individuavano il momento consumativo dell'usura nella pattuizione degli interessi; di conseguenza quando era previsto che gli interessi dovessero corrispondersi periodicamente, ricorreva la figura del cosiddetto reato istantaneo con effetti permanenti. Intervenuta la modifica del reato di usura con la legge n. 108 del 1996, è stato ipotizzato che il delitto di usura possa ora considerarsi un reato permanente, con la conseguenza che il reato potrebbe essere consumato anche per il solo fatto di ricevere corrispettivi divenuti usurari, indipendentemente dalla liceità originaria della pattuizione.

"Si e posta la rilevante questione interpretativa circa la configurabilità del delitto di usura per i prestiti stipulati prima dell'entrata in vigore della nuova legge in particolare per i mutui, nel momento in cui il tasso convenuto supera del 50 per cento la misura dei tassi medi effettivi globali".

"La sentenza della Corte di Cassazione 14899/2000 in materia di usura, depositata il 17 novembre 2000, si inscrive nell'articolato dibattito in ordine agli effetti della legge 7 marzo 1996, n. 108, sui contratti stipulati antecedentemente alla data di entrata in vigore della stessa. La Cassazione osserva che l'obbigazione di interessi non si esaurisce in una sola prestazione, concretandosi in una serie di prestazioni successive. Pertanto, in caso di contratti di mutuo costituiti e non esauriti prima dell'entrata in vigore della legge n. 108 del 1996, quest'ultima, pur non essendo di per sè retroattiva, tuttavia è «di immediata applicazione nei correlativi rapporti, limitatamente alla regolamentazione degli effetti ancora in corso, quindi, per l'appunto, la corresponsione degli interessi». Rilevante ai fini della qualificazione usuraria degli interessi sarebbe, quindi, il momento della dazione e non quello della stipula del contratto".

La decisione del tribunale di Roma

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Venendo alla sentenza oggetto di commento, va rilevato che le difese delle Banca, volte a sostenere l'irrilevanza, ai fini della disciplina di cui alla Legge 108/1996, delle modifiche delle condizioni economiche unilateralmente operate nel corso del rapporto, sono state disattese dal Tribunale.

Il Giudice, facendo proprie le risultanze della consulenza tecnica d'ufficio, ha riconosciuto l'esistenza di usura in tutte le ipotesi di superamento del tasso soglia nel corso del rapporto imputabili all'avvenuto esercizio del ius variandi.

In particolare, dall'istruttoria espletata è emerso che l'Istituto convenuto, nel periodo 2005 - 2015, aveva superato il tasso soglia in sette trimestri.

Addirittura, nel primo trimestre esaminato, si è potuto accertare un TEG pari al 42,05% a fronte di un tasso soglia pari al 18,70%.

Il Tribunale ha pertanto dimostrato di condividere l'orientamento, maggioritario, che continua a ritenere operante il presidio della Legge 108/1996 per le variazioni delle condizioni economiche dei conti correnti operate dalle banche nell'esercizio del ius variandi ex art. 118 TUB.

Si pone, allora, una questione di evidente disparità di trattamento giudiziario nell'ambito dei contratti bancari: il titolare di un mutuo a tasso variabile, che vede il costo degli interessi mutare nel corso del tempo, non potrà evocare alcuna tutela, sotto tale profilo, a differenza del correntista che, invece, trovandosi a subire la medesima sorte, ben potrà vedere la controparte addirittura condannata per usura.

Con buona pace del principio costituzionale di eguaglianza di fronte alla legge.

Ma, forse, su questo, le Sezioni Unite hanno ritenuto di non dover riflettere.

Avvocato Giuseppe de Simone

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