Il dono della vita dei bambini, soggetti capaci di insegnare la felicità agli adulti

Il filosofo tedesco Theodor Adorno, nella prima metà del secolo scorso, scriveva: "La vera felicità del dono è tutta nell'immaginazione della felicità del destinatario: e ciò significa scegliere, impiegare tempo, uscire dai propri binari, pensare l'altro come un soggetto: il contrario della smemoratezza. Di tutto ciò quasi nessuno è più capace". È quanto bisognerebbe cogliere e coltivare nel secolo attuale contro le corse per essere felici o per diventare genitori a tutti i costi: la vera felicità della genitorialità, non nell'avere un figlio nella vita, ma nel dare un figlio alla vita. Un figlio non è un oggetto della propria vita ma soggetto della sua vita.

Già nell'Ottocento, lo scrittore e filosofo russo Fëdor Michajlovič Dostoevskij affermava: "Amare qualcuno significa vederlo com'era nelle intenzioni di Dio". Amare un figlio significa amarlo secondo le intenzioni della vita, secondo le sue intenzioni che rappresentano l'ignoto. Ogni figlio è un progetto di vita, non un oggetto della propria vita. Di questo ci si dovrebbe ricordare soprattutto nei casi di conflittualità esacerbata ma anche nel consentire al figlio serene (e non controllate o filtrate) relazioni extrafamiliari, da quelle con i nonni a quelle con i pari nelle quali non bisogna intervenire e interferire se non realmente necessario. "Il figlio ha diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti" (art. 315 bis comma 2 cod. civ.).

"Felicità non vuol dire soddisfare ogni genere di desiderio, ma quei bisogni fondamentali che rendono la vita bella - secondo l'accademico Luca Mercalli -. Ed essa dipende dalla nostra capacità di relazione, dai valori della convivialità, della cultura". Col "sacrificio" ("fare cosa sacra") la famiglia è felicità. Non far mancare ai bambini l'amore, vero pane di vita: questo è non tradire la loro fede nei genitori e in tutti gli adulti e alimentare la loro fede nella vita. I figli sono gigli che nascono per dare bellezza non alla vita dei genitori e degli adulti ma alla vita in sé. Infatti, in un capoverso del Preambolo della Convenzione Internazionale sui Diritti dell'Infanzia si legge che "occorre preparare appieno il fanciullo ad avere una vita individuale nella società, ed allevarlo nello spirito degli ideali […]". È necessario instillare, perciò, fiducia ("avere fede", che è alla base delle relazioni interpersonali) ed entusiasmo (per i più "essere ispirato in Dio"), elementi che vengono meno proprio negli adulti.

I diritti dei bambini sono inscritti in loro stessi perché rappresentano il meglio della vita, per cui uno dei primi diritti potrebbe essere il diritto alla bellezza di essere bambini, quella bellezza di essere bambini espressa nell'art. 31 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell'Infanzia in cui è disciplinato il diritto al gioco, ovvero il diritto alla gioia, che per i bambini s'identifica con la vita stessa. I diritti dei bambini

sempre, non solo dalla prima infanzia ma dal grembo: il primo diritto ce l'hanno scritto nella parola stessa "figli" che, secondo alcuni etimologi, ha la stessa radice di felicità, quindi diritto alla felicità che è qualcosa che si ha e non da cercare invano perdendo tempo, risorse, relazioni ed emozioni. Purtroppo i diritti dell'infanzia (ma anche altri diritti) sono calpestati ovunque. Anche nei paesi occidentali, in famiglie lacerate o non consentendo ai bambini di essere veramente bambini ma piccoli adulti già dalla nascita, basti guardare l'abbigliamento o i giocattoli o ancora tante altre circostanze quotidiane o apparentemente banali. Basterebbe, invece, mettersi, e non scendere (come potrebbe sembrare), all'altezza dei bambini e si riscoprirebbe o scoprirebbe un mondo diverso, sempre nuovo: quello delle vere emozioni. "Spontaneità", etimologicamente da "spingere verso", verso la vita: chi più dei bambini? Mettersi all'altezza dei bambini fa ri-scoprire la fatica, la necessità e la bellezza del crescere e dell'alzarsi: diritto-dovere dei bambini e degli adulti, proprio secondo il significato di "allevamento" (di cui si parla espressamente nella Convenzione Internazionale sui Diritti dell'Infanzia), che richiama l'elevare e il sollevare, compiti dei genitori e dell'educazione.

Il pedagogista Pino Pellegrino richiama l'attenzione: "Festeggiare il compleanno è bellissimo! Festeggiare il compleanno è festeggiare la vita. Festeggiare il compleanno di un piccolo, poi, è passargli tanti messaggi positivi che gli impiantano quella fiducia di fondo indispensabile per vivere. Festeggiare il compleanno del bambino è dirgli: "Siamo felici che ci sia!". "Tu per noi sei prezioso!". "Sei degno d'amore!". "Ti vogliamo felice!". Dunque nessuna condanna delle feste del compleanno; ma, nello stesso tempo, decisa disapprovazione della perdita del buon senso! L'impostazione di certe megafeste di compleanno stanno all'educazione come la sabbia sta alla farina, come l'aceto sta al vino". Il miglior dono: pensare l'altro, pensare all'altro, pensare con l'altro. Allora si è felici insieme: essere al servizio l'uno dell'altro, essere e vivere la famiglia. Ogni scelta genitoriale si deve basare sull'equilibrio e mirare alla felicità del bambino e non alla realizzazione dei propri desideri da adulti o progetti di adulti. Il bambino è "felice" ("fecondo" che, secondo alcuni etimologi, avrebbe la stessa radice anche di femmina, feto, fertile) già per il fatto di esserci perché foriero di vita e potenzialità. "Lo sviluppo integrale del bambino e la sua felicità richiedono ancora, quella che sia la sua situazione, che egli possa riflettere sul senso della sua vita, e che si rispetti la dimensione spirituale che è in lui" (dalla Charte du Bureau International Catholique de l'Enfance, Parigi, giugno 2007). La felicità non è qualcosa da raggiungere o ottenere, è già quello che si è e in cui si è, bisogna comprenderlo e farlo comprendere altrimenti si va alla ricerca di surrogati che diventano, sovente, oggetto di dipendenze, a cominciare dalla dipendenza affettiva.

"Mia madre non me l'ha mai detto, che le ho rovinato l'esistenza. Anzi. Quand'ero bambina si aggrappava a me come a una zattera minima, e io di questo ero fiera, desideravo riuscire a portarla al sicuro oltre i marosi della sua vita. Ma non ho salvato nessuno. Né me, né lei. Da giovane adulta ho provato a fuggire dalla mia incapacità di farla felice" (dal romanzo "Eva dorme" di Francesca Melandri). I figli non nascono per rendere felici, ma per essere felici perché loro stessi rappresentano la felicità, la fertilità, la fecondità della vita: questa è la loro vita, questo richiede la vita. Nella realtà, invece, ci sono figli orfani di genitori vivi anche perché costoro non hanno inteso ciò. "Gli Stati parti riconoscono che ogni fanciullo ha un diritto innato alla vita. Gli Stati parti si impegnano a garantire nella più alta misura possibile la sopravvivenza e lo sviluppo del fanciullo" (art. 6 Convenzione Internazionale sui Diritti dell'Infanzia). "Nella più alta misura possibile la sopravvivenza e lo sviluppo", non solo in senso fisico ma anche contro eventuali pressioni, ansie, aspettative, condizionamenti, programmi o progetti irrealizzati dei genitori. Infatti, nella Convenzione Internazionale sui Diritti dell'Infanzia, tra le espressioni più ricorrenti e aggettivate vi sono "sviluppo" ("togliere dai viluppi") e "vita", per esempio, nelle locuzioni "vita individuale" (nel Preambolo), "vita privata" (art. 16), "vita soddisfacente" (art. 23), "responsabilità della vita" (art. 29), "vita artistica e culturale" (art. 31).

Ai bambini basta poco per parlare di felicità e portarla e, invece, agli adulti basta poco per parlare di infelicità e portarla. La felicità: bisogna cominciare a parlarne (l'etimo di "parlare" è "parabola", per cui significa "narrare", come si fa per le favole e le fiabe) per crederci e accrescerla. Nel Preambolo della Convenzione Internazionale sui Diritti dell'Infanzia si legge: "[…] il fanciullo per il pieno ed armonioso sviluppo della sua personalità deve crescere in un ambiente familiare, in un'atmosfera di felicità, amore e comprensione". Assunto ripetuto nel Preambolo della Convenzione africana sui diritti e il benessere del fanciullo (1990), in cui si aggiunge che "il minore occupa una posizione unica e privilegiata nella società africana". Perché non si deve pensare che la felicità del bambino sia responsabilità degli altri: ogni cosa comincia da ognuno e riguarda ciascuno. Come si ricava dai riferimenti testuali della Carta di Ottawa per la promozione della salute (1986), ove si parla tra l'altro di "approccio socio-ecologico alla salute" (nel paragrafo "Creare ambienti favorevoli"). "Salute" che letteralmente significa "salvezza" e, nel 1968, la scrittrice Elsa Morante pubblicava "Il mondo salvato dai ragazzini": i bambini possono salvare ora il mondo, basterebbe ascoltarli, già nei conflitti familiari. I bambini sono esemplari per gli adulti, già dal loro modo di comunicare che va oltre il parlare ed ogni vocabolario. I bambini: quando vedono piangere, accarezzano le lacrime (e non solo il volto) chiedendo e chiedendosi il perché della sofferenza. Le loro manine rappresentano il contatto di Dio-Amore. Il pensiero dei bambini è vera filosofia di vita perché manifestazione sincera. I bambini hanno chiara la semplicità della felicità, poi da adulti ci si complica la vita o ci si smarrisce.

"Un uomo gira tutto il mondo alla ricerca di quello che gli occorre, poi torna in famiglia e lo trova qui" (lo scrittore tedesco J. W. Goethe). I figli sono destinati come foglie, fiori, frutti o semi a staccarsi dall'albero ma, prima o poi, per un vento contrario o favorevole potrebbero tornare ai piedi dell'albero e, comunque, diverranno humus della madre terra. A proposito di ritorno dei figli alla casa familiare, si ricorda la "permanenza in casa" quale provvedimento della giustizia minorile per minorenni che abbiano commesso reati (art. 21 D.P.R. 22 settembre 1988 n. 448), anche per far sì che i genitori s'interroghino sul disagio del figlio e ristabiliscano un dialogo o un rapporto, per ripristinare l'"ambiente familiare" e dare quell'assistenza morale (artt. 147 e 315 bis comma 1 cod. civ.) che, forse, è venuta a mancare. Giacché "la prima felicità di un fanciullo è sapersi amato" (l'educatore don Giovanni Bosco). Ogni bambino non ha un mero diritto a una felicità astratta ma ha diritto a un'"infanzia felice" (espressione più incisiva ed efficace rispetto a "felicità") , la sua infanzia (e non quella teorica, di manuali e specialisti), come già riconosciuto nel Preambolo della Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo del 1959, ma spesso non rispettato proprio dai genitori, sempre più egocentrati o adultescenti, troppo presi da un'acuta conflittualità tra di loro. Essere genitori non è solo concepire ma essere "motori" di vita.

Il filosofo Adriano Fabris sostiene: "Felicità è invece, potremmo dire, saper vivere appieno la propria incarnazione. Il che significa sapersi esporre al mondo, e a tutto ciò che di bello potrà venire da esso, in modo costruttivo, sereno, fiducioso. Amando ciò che l'altro mi può donare e amandolo per questo suo dono. Promuovendo sempre e comunque relazioni buone". Felicità è fecondità, fertilità e non può essere solo per se stessi, ma per altro e per l'altro. Il bambino ha, pertanto, diritto alla felicità e il dovere di essere educato alla felicità come si ricava dagli indici normativi, dal Preambolo della Dichiarazione dei diritti del fanciullo alla Charte du Bureau International Catholique de l'Enfance.

Giovanni Cucci, esperto di filosofia e psicologia, scrive: "La felicità è tornata a essere degna di nota da poco tempo: chi ne ha fatto oggetto dei propri studi ha notato come essa sia riconducibile agli aspetti fondamentali dell'esistere, come la creatività, il gusto di vivere, la qualità e profondità delle relazioni, la capacità di affrontare con successo situazioni stressanti (resilienza), la stima di sé, ma anche la salute, il riposo, l'appetito, il coltivare interessi". Quello di cui hanno bisogno i bambini per rimanere felici, per crescere felici. Un valido orientamento è fornito dalla Carta dei diritti dei bambini all'arte e alla cultura (Bologna, 2011), che è una declinazione dell'art. 31 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell'Infanzia. Tra le disposizioni più significative della Carta di Bologna, quella dell'art. 9 che recita che i bambini hanno diritto "a condividere con la famiglia il piacere di un'esperienza artistica".

Sul piacere di condividere esperienze G. Cucci aggiunge: "Tra le caratteristiche principali della felicità viene ricordato soprattutto l'amore, in particolare la possibilità di vivere relazioni affettive durature e stabili, grazie alla presenza di comunità di riferimento rilevanti, a cominciare dalla famiglia e dalle comunità religiose. Interrogando gruppi e persone soddisfatti della propria vita, sono emerse alcune caratteristiche costanti: le relazioni in famiglia, l'economia, la professione, gli amici, la salute, e a seguire i valori e la libertà". I bambini hanno, solo e tanto, soltanto bisogno di amore e felicità, come si legge nel Preambolo della Convenzione Internazionale sui Diritti dell'Infanzia, poi segue il resto.

"Io sono sempre stato convinto - dice lo scrittore Simone Perotti - che la felicità sia come un pranzo al sacco, di quelli che mettiamo nello zaino al mattino per poi andare a fare una bella scampagnata: ce la portiamo dietro di noi, da casa, dovunque andiamo, qualunque cosa facciamo. Alla felicità non andiamo mai incontro, non la troviamo a destinazione. Non sono i luoghi a renderci tristi e demotivati, o felici e pieni di allegria. Siamo noi a essere felici o tristi in quei luoghi (spesso rendendoli tristi o felici intorno a noi)!". Felicità non è cercarla ma farla, costruirla con chi si ha accanto, con quel che si ha dentro: casa, famiglia (l'origine della parola "famiglia" è proprio "casa"). Non a caso i bambini nei loro disegni o giochi simbolici rappresentano frequentemente la famiglia e la casa, le quali sono pure il principale oggetto dei loro sogni e progetti per il futuro.

"Sapessi come è facile essere felici, sapessi come è facile amare quello che già hai. Ama quello che hai già!" (dal film "La voce dell'amore", 1998). Amare la propria famiglia è la prima fonte di felicità.

Felicità è fare di tutto per rendere un bambino felice e bearsi di quello che, man mano, dice: la gioia della vita, il gioco nella vita ma non prendersi gioco della vita!


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