Una redattrice professionista del "Messaggero", G.V., già pubblicista (dal 18 giugno 1990), iscritta d'ufficio nel Registro dei praticanti con effetto retroattivo, è stata licenziata in seguito ad una sentenza della Corte di Cassazione che nega valore alle decisioni della Corte d'Appello di Pescara che le aveva riconosciuto un rapporto di dipendenza di natura giornalistica ai sensi del Contratto collettivo ("G. V. si recava tutti i giorni nella redazione del Messaggero in Pescara, partecipava alle riunioni di redazione, espletava i compiti che le venivano assegnati dal caposervizio, si tratteneva sul posto di lavoro fino a sera tardi; l'attività da svolgere era concordata con lei sia settimanalmente che quotidianamente, anche in base alla presenza degli altri collaboratori; G.V. si occupava in prevalenza di spettacolo; quando, nel 1992, erano stati introdotti in redazione i computers, ella utilizzava la password di altri redattori, non essendole stata assegnata una propria"). Alla giornalista spetta soltanto il pagamento delle retribuzioni per le prestazioni professionali espletate (art. 2126 Cc). La Corte d'Appello dell'Aquila (in riforma della decisione del Tribunale di Pescara del 29 settembre 2000/2 gennaio 2001) aveva precisato che, proprio in forza dell'iscrizione nell'elenco dei giornalisti pubblicisti, doveva essere affermata la legittimità del rapporto instaurato, con la conseguente illegittimità del recesso intimato a G.V.. Lo stesso giudice aveva escluso infatti che vi fosse stata una risoluzione consensuale del rapporto, ed ha poi determinato le differenze retributive spettanti alla V., prendendo a parametro il compenso stabilito per i giornalisti praticanti nel contratto collettivo
di categoria, ordinando alla società di reintegrare l'appellante nel posto di lavoro "con la qualifica di giornalista professionista da intendersi conseguita dalla data del superamento dell'esame". Ha scritto al Cassazione: "E' da premettersi che in linea generale - come rilevato più volte in analoghe controversie - il rapporto di lavoro giornalistico può essere qualificato subordinato se, come per altre attività lavorative, vi è l'assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, estrinsecantesi in ordini specifici oltre che in una vigilanza e un controllo assiduo delle prestazioni lavorative, da valutarsi, nel lavoro del giornalista, con riferimento alla peculiarità dell'incarico conferito al lavoratore e alle modalità della sua attuazione. E, in particolare, si è notato che in questo tipo di rapporto di lavoro, la subordinazione non è esclusa dal fatto che il prestatore goda di una certa libertà di movimento e non sia obbligato al rispetto di un orario predeterminato o alla continua permanenza sul luogo di lavoro, non essendo neanche incompatibile con il suddetto vincolo la commisurazione della retribuzione a singole prestazioni (Cass. 17 agosto 2004 n. 16038), essendo invece determinante che il giornalista si tenga stabilmente a disposizione dell'editore, anche nell'intervallo fra una prestazione e l'altra, per evaderne richieste variabili e non sempre predeterminate e predeterminabili, eseguendone direttive e istruzioni, e non quando prestazioni predeterminate siano singolarmente convenute, in base ad una successione di incarichi, ed eseguite in autonomia (cfr. Cass. 26 marzo 2002 n. 4338, Cass. 1 luglio 2004 n. 12095, Cass. 3 febbraio 2005 n. 2005)". Ha specificato la Cassazione: "La giurisprudenza di questa Corte è consolidata nel senso che per l'esercizio del lavoro giornalistico di redattore ordinario, cioè del giornalista professionista stabilmente inserito nell'ambito di una organizzazione editoriale o radiotelevisiva, con attività caratterizzata da autonomia della prestazione, non limitata alla mera trasmissione di notizie, ma estesa alla elaborazione, analisi e valutazione delle stesse, è necessaria l'iscrizione nell'albo dei giornalisti professionisti, e che non è idonea ad integrare detto requisito la iscrizione nel diverso albo dei giornalisti pubblicisti (Cass. 21 maggio 2002 n. 7461, Cass. 5 aprile 2005 n. 7016, Cass. 3 febbraio 2005 n. 2142, Cass. 1 luglio 2004 n. 12095 e numerose altre). Si è tuttavia evidenziato che la nullità del rapporto di lavoro instaurato con soggetto non iscritto nell'albo dei giornalisti professionisti, non derivando dall'illiceità dell'oggetto o della causa, ma dalla violazione della norma imperativa dettata dalla L. 3 febbraio 1963, n. 69, art. 43, non produce effetto nel periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, secondo l'espresso disposto dell'art. 2126 c.c.; ciò comporta, limitatamente a tale periodo, che il lavoro prestato in carenza di iscrizione deve essere retribuito, con eventuale adeguamento della misura della retribuzione ex art. 36 Cost., comma 1, ma non da diritto alla tutela reintegratoria e risarcitoria di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18. Erroneamente perciò la sentenza impugnata ha affermato la validità del rapporto in base alla accertata iscrizione della V. nell'elenco dei giornalisti pubblicisti. Ed a nulla rileva che l'Ordine dei giornalisti d'Abruzzo avesse iscritto la V. con efficacia retroattiva, con decorrenza retrodata, nell'albo dei praticanti giornalisti, poiché - come pure hanno rimarcato le richiamate pronunce - tale provvedimento vale soltanto nei rapporti fra l'aspirante giornalista e l'ordine professionale, limitatamente alla durata della pratica al fine dell'esame di abilitazione professionale, e non anche per convalidare un contratto nullo per difetto di un requisito essenziale, inammissibile essendo la convalida ai sensi dell'art. 1423 c.c.. Lo stesso deve affermarsi quanto al conseguimento da parte della V. della iscrizione nell'albo dei giornalisti professionisti, quando cioè il rapporto era stato risolto ad iniziativa della società editoriale". (Franco Abruzzo - Presidente Ordine dei Giornalisti della Lombardia) LaPrevidenza.it,
Cassazione, sez. lavoro, sentenza 7.9.2006 n° 19231 - Franco Abruzzo

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