Il riconoscimento della cittadinanza italiana per i discendenti di donne sposate con cittadino straniero prima del 1948. La giurisprudenza della Consulta e della Cassazione
di Paolo Garrone - La cittadinanza, lo sappiamo, è una condizione personale con i caratteri dell'assolutezza, dell'originarietà, dell'indisponibilità e dell'imprescrittibilità.

Perdita cittadinanza: il regime legislativo precostituzionale

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Prima dell'entrata in vigore della nostra Costituzione, l'acquisizione della cittadinanza era regolata dalla legge n. 555 del 1912, la quale prevedeva, al terzo comma dell'art. 10, l'automatica perdita della cittadinanza per la donna che avesse contratto matrimonio con un cittadino straniero.

Dunque, prima del 1948, bastava che la donna, cittadina italiana, fosse emigrata all'estero (in genere, l'America latina) e si fosse sposata con un cittadino straniero perché poi, ex lege, perdesse la propria, originaria, cittadinanza italiana.

L'intervento della Corte Costituzionale

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In seguito all'entrata in vigore della Costituzione

italiana, con la sentenza n. 87 del 1975 della Corte Costituzionale, la disciplina di cui all'art. 10 della legge n. 555 del 1912 è stata dichiarata incostituzionale, poiché in contrasto, come invero presumibile, con gli artt. 3 e 29 della Costituzione, ove attribuiscono pari dignità sociale ed uguaglianza a tutti i cittadini, senza distinzione di sesso.

La pronuncia della Corte Costituzionale è stata successivamente recepita dalla legge n. 123 del 1983, e poi dalla vigente legge n. 91 del 1992, ove è stato stabilito il diritto della donna a mantenere la cittadinanza italiana, anche in caso di matrimonio con un cittadino straniero, con conseguente diritto del proprio figlio (e, di conseguenza, del nipote, del pronipote e via di seguito) di acquisire la cittadinanza italiana per discendenza.

Che cosa dice la Cassazione

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Interessante è l'analisi della giurisprudenza di legittimità.

La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, ha stabilito che "per effetto delle sentenze della Corte Cost. n. 87 del 1975 e 30 del 1983, la cittadinanza italiana deve essere riconosciuta in sede giudiziaria alla donna che l'abbia perduta ex art. 10 l. 555 del 1912, per aver contratto matrimonio con cittadino straniero anteriormente al 1 gennaio 1948 indipendentemente dalla dichiarazione resa ai sensi dell'art. 219 l. n. 151 del 1975, in quanto l'illegittima privazione dovuta alla norma dichiarata incostituzionale non si esaurisce con la perdita non volontaria dovuta al sorgere del vincolo coniugale, ma continua a produrre effetti anche dopo l'entrata in vigore della Costituzione, in violazione del principio fondamentale della parità tra i sessi e dell'uguaglianza giuridica e morale tra i coniugi, contenuti negli art. 3 e 29 cost.". Dunque, prosegue la Corte, "la limitazione temporale dell'efficacia della dichiarazione d'incostituzionalità al 1 gennaio del 1948 non impedisce il riconoscimento dello status di cittadino, che ha natura permanente ed imprescrittibile ed è giustiziabile in ogni tempo, salva l'estinzione per effetto della rinuncia del richiedente. In applicazione del principio, riacquista la cittadinanza italiana dall'1 gennaio 1948 anche il figlio di donna nella situazione descritta, nato prima di tale data e nel vigore della l. n. 555 del 1912, e tale diritto si trasmette ai suoi figli, determinando il rapporto di filiazione, dopo l'entrata in vigore della Costituzione, la trasmissione dello status di cittadino, che gli sarebbe spettato di diritto in assenza della legge discriminatoria." (Cass. Civ. S.U. 4466/2009).

In conclusione, secondo l'insegnamento delle giurisdizioni superiori e sulla base dei principi costituzionali, è riconoscibile la cittadinanza italiana, in primis, alla donna che l'avesse perduta, prima dell'entrata in vigore della Costituzione, per essersi coniugata con un cittadino straniero e, di conseguenza, al figlio della stessa nato prima del 1948 e ai successivi discendenti.

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