Per la Cassazione, in sede penale, per il reato di omessa dichiarazione il giudice penale può avvalersi delle risultanze del processo tributario anche mediante gli studi di settore

Avv. Fulvio Graziotto - Per il reato di omessa dichiarazione il giudice penale può avvalersi delle risultanze del processo tributario anche mediante gli studi di settore. E' quanto emerge dalla sentenza della terza sezione penale della Cassazione n. 36207/2019 (sotto allegata).

Reato di omessa dichiarazione

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La sentenza della Corte di appello confermava la sentenza del Tribunale di condanna per il reato di cui all'art. 5 del D. Lgs. n. 74 del 2000 perché, nella qualità di rappresentante legale di una SRL, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, non presentava, essendovi obbligato, la dichiarazione dei redditi realizzando un'evasione di imposta accertata in oltre euro 120mila in materia di IRES e oltre euro 160mila in materia di IVA. Con l'atto di appello il ricorrente aveva evidenziato che l'accertamento induttivo dell'evasione fiscale non doveva ritenersi ammissibile in sede penale, essendo il giudice tenuto a verificare la sussistenza della contestata evasione tramite specifiche indagini.

Il Tribunale si era però limitato ad escutere il teste dell'Agenzia delle Entrate, che aveva confermato l'accertamento induttivo basato sull'applicazione degli studi di settore.

La Corte d'Appello aveva precisato che, solo in caso di emersione nel corso del contraddittorio di elementi contrastanti con l'accertamento induttivo, il Giudice avrebbe dovuto compiere una autonoma verifica.

Nel ricorso si deduce che nella specie non potrebbe operare alcuna inversione dell'onere della prova, restando sempre compito del giudice penale quello di un'autonoma valutazione degli elementi emersi.

Gli studi di settore incastrano l'evasore in sede penale

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La Cassazione ritiene il motivo di ricorso infondato: per il Collegio, «nessuna norma vieta al giudice penale di avvalersi, ai fini, in generale, della prova della sussistenza degli elementi costitutivi dei reati tributari, ivi compreso, evidentemente, quello, contestato nella specie, di cui all'art. 5 del d.lgs. n. 74 del 2000, delle risultanze degli accertamenti operati in sede tributaria, ciò discendendo, se non altro, dal principio di atipicità dei mezzi di prova operante nel principio penale e di cui è espressione la previsione dell'art. 189 cod. proc. pen., restando peraltro salva la necessità che tali elementi siano, ove necessario, in conformità delle peculiarità dei fatti giudicati e dei rilievi delle parti, fatti oggetto di una autonoma valutazione idonea a coniugare la valorizzazione di tali risultanze con i criteri in generale dettati dall'art. 192, comma 1, cod. proc. penale».

Richiamandosi a precedente giurisprudenza, ricorda che «il giudice penale può legittimamente avvalersi, ai fini della ricostruzione delle imposte dovute e non dichiarate, dell'accertamento induttivo, mediante gli studi di settore, compiuto dagli Uffici finanziari per la determinazione dell'imponibile».

Analizzando il caso concreto, osserva che «nella specie il giudice di primo grado ha precisato in sentenza come il procedimento logico deduttivo seguito dal'Agenzia delle Entrate sia stato rigoroso, coerente e approfondito in particolare con riferimento alla puntuale valorizzazione degli studi di settore relativi ad aziende operanti nello stesso ambito territoriale, con un volume di affari sovrapponibile a quello della società rappresentata dall'imputato, ed aventi ad oggetto la stessa attività in materia lattiero-casearia con conseguente attendibilità della percentuale di ricalcolo individuata ed applicata».

Per la Suprema Corte, la motivazione della sentenza del Giudice di appello appare corretta nella parte in cui ha chiarito come spettasse all'interessato contestare il percorso argomentativo della sentenza di primo grado, e porre in discussione il metodo utilizzato ed i risultati derivati.

Al contrario, invece, l'imputato, si è limitato, in ricorso, ancora una volta, a contestare genericamente l'utilizzazione degli accertamenti svolti in sede tributaria non spiegando, sul piano concreto, le ragioni della non valorizzabilità, nella specie, del metodo induttivo.

Essendo però maturata nel frattempo la prescrizione, la Cassazione rileva l'estinzione del reato e annulla senza rinvio la sentenza impugnata.

La massima della Cassazione

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Nessuna norma vieta al giudice penale di avvalersi, ai fini, in generale, della prova della sussistenza degli elementi costitutivi dei reati tributari, delle risultanze degli accertamenti operati in sede tributaria.

Ciò sulla base del principio di atipicità dei mezzi di prova operante nel principio penale e di cui è espressione la previsione dell'art. 189 cod. proc. pen., restando peraltro salva la necessità che tali elementi siano, ove necessario, in conformità delle peculiarità dei fatti giudicati e dei rilievi delle parti, fatti oggetto di una autonoma valutazione idonea a coniugare la valorizzazione di tali risultanze con i criteri in generale dettati dall'art. 192, comma 1, cod. proc. penale.

Il giudice penale può legittimamente avvalersi, ai fini della ricostruzione delle imposte dovute e non dichiarate, dell'accertamento induttivo, mediante gli studi di settore, compiuto dagli Uffici finanziari per la determinazione dell'imponibile.

Fulvio Graziotto è avvocato in Sanremo, Imperia
http://www.studiograziotto.com/

Scarica pdf sentenza Cassazione n. 36207/2019

Foto: 123rf.com
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