Dopo le Sezioni Unite un'altra sentenza della Cassazione chiarisce che la cannabis light va sequestrata per verificare se ha effetti psicogeni e se la vendita configura reato

di Annamaria Villafrate - La sentenza n. 46236/2019 (sotto allegata) della Cassazione precisa che chi vende derivati dalla coltivazione della cannabis sativa L, commette reato a meno che non si riesca a dimostrare che tali sostanze siano prive di efficacia drogante. I valori di tolleranza di THC fino a 0,6% indicati dall'art. 4, comma 5, I. n. 242 del 2016 si riferiscono solo al principio attivo presente sulle piante in coltivazione, non al prodotto oggetto di commercio. Da qui la necessità di procedere al sequestro dei prodotti commercializzati, per verificare se producono effetti psicogeni e se la vendita configura reato.

Cannabis light e decreto di sequestro

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Un'ordinanza convalida il decreto di sequestro emanato da un Pm e dalla Pg in relazione ai "reati di cui agli artt. 17, 73 e 82 d. P. R. n. 309 del 1990, per aver istigato all'uso di sostanze stupefacenti, come i prodotti derivati dalle infiorescenze di canapa sativa L, in violazione di quanto stabilito dalla legge n. 242 del 2016, e per aver svolto attività di proselitismo per l'uso delle predette sostanze, detenendole allo scopo di cederle ad altri, mediante l'offerta in vendita" presso alcuni esercizi commerciali.

I ricorsi in Cassazione

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Due dei soggetti colpiti dai suddetti provvedimenti lamentano come la cannabis sativa L, nei limiti di THC di 0, 6 % non rientri nell'ambito di applicazione d. P. R. n. 309 del 1990. La legge n. 242 del 2016 sancisce infatti la liceità della coltivazione e di tutta la filiera agro-industriale. Per cui la commercializzazione delle infiorescenze di cannabis sativa L prodotta dalle coltivazioni effettuate a norma della legge n. 242/ 2016 non è assoggettata ai limiti derivanti dagli usi che potrebbe farne chi la acquista. La legge n, 242/2016 conferirebbe liceità anche all'uso ricreativo di detta sostanza. Tutto alla luce anche di quanto sancito dal parere del Consiglio superiore di sanità del 10 aprile 2018, dalla circolare del Ministero degli Interni del 31 luglio 2018 e dalla sentenza

n. 4920/2018 della Cassazione. L 'art. 4, comma 7, della legge n. 242 del 2016 ammette pertanto il sequestro e la distruzione solo se il contenuto di THC è superiore allo 0,6% misura che non è stata riscontrata nel caso di specie. Il giudice quindi ha confermato un provvedimento carente di motivazione sul fumus commissi delicti.

Un altro soggetto si difende presentando argomentazioni non diverse da quelle dei primi due soggetti, precisando che, se il legislatore con la legge n. 242 del 2016 ha fissato che nel limite dello 0,6% la coltivazione non produce effetti stupefacenti giuridicamente rilevanti, tale regola debba valere anche per chi commercializza la sostanza.

Altri due soggetti colpiti lamentano invece l'assenza di specificità del capo di imputazione visto che il decreto di convalida fa riferimento sia a droga che a cannabis sativa L. Per quanto riguarda poi gli altri oggetti indicati nel provvedimento di sequestro, come documenti, telefoni e documenti non si comprende il vincolo pertinenziale con le condotte ipotizzate, risultando generico il riferimento alla necessità di ricostruire le condotte e individuare gli autori.

Si contesta inoltre "la rilevanza penale del consumo personale ricreativo della c. d. "canapa light", tanto più che la finalità ricreativa è uno scopo su cui il commerciante non ha potere di controllo e che quindi non condiziona l'attività di vendita. L'importante è che il prodotto venduto rientri nei limiti soglia del THC e appartenga alle categorie previste dalla direttiva UE.

Non dissimili le argomentazione avanzate dagli ultimi due soggetti colpiti dal provvedimento. Tutti chiedono pertanto l'annullamento dell'ordinanza impugnata.

La cannabis light deve essere sequestrata per verificare

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La Cassazione, con sentenza n. 46236/2019 rigetta i ricorsi avanzati. Soffermandoci solo sulle parti della motivazione relative alla questione giuridica principale, si evidenzia come gli Ermellini richiamino prima di tutto la S.U del 30 maggio 2019, la quale è giunta alla conclusione che: "la commercializzazione di cannabis sativa L e, in particolare, di foglie, di infiorescenze, olio, resina, ottenuti dalla coltivazione della predetta varietà di canapa, non rientri nell'ambito di applicazione della legge n. 242 del 2016, che qualifica come lecita unicamente l'attività di coltivazione di canapa delle varietà iscritte nel catalogo comune delle specie di piante agricole, ai sensi dell'art. 17 della direttiva 2002/ 53/CE del 13 giugno 2002, che elenca tassativamente i derivati dalla predetta coltivazione che possono essere commercializzati."

Ne consegue che chi cede, vende e commercializzazione al pubblico, a qualsiasi titolo, prodotti derivati dalla coltivazione della cannabis sativa L, commette reato ai sensi dell'art. art. 73, comma 4, d. P. R. n. 309 del 1990 a meno che questi prodotti siano privi di efficacia drogante.

Del resto "I valori di tolleranza di THC consentiti dall'art. 4, comma 5, I. n. 242 del 2016 (0,2-0,6%) si riferiscono solo al principio attivo rinvenuto sulle piante in coltivazione, non al prodotto oggetto di commercio. La detenzione, commercializzazione dei derivati dalla coltivazione disciplinata dalla predetta legge, costituiti dalle infiorescenze (marijuana) e dalla resina (hashish),rimangono, pertanto, sottoposte alla disciplina di cui al d. P. R n. 309 del 1990."

Da quanto detto emerge naturalmente la necessità di stabilire se il prodotto abbia o meno efficacia drogante. Risultato a cui è possibile pervenire solo attraverso accertamenti tecnici finalizzati ad appurare con precisione il contenuto di principio attivo e tutte le altre caratteristiche della sostanza rilevanti per stabilire se, anche una sola assunzione, è in grado di produrre effetti psicogeni.

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Scarica pdf Cassazione sentenza n. 46236-2019

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